Chi ci guadagna con le pubblicità delle scommesse nel calcio
Non solo le società di scommesse: è uno dei motivi per cui non si parla molto delle loro conseguenze sociali e sanitarie

La maggioranza di destra che sostiene il governo di Giorgia Meloni ha avviato una discussione in parlamento per abolire il divieto di pubblicità al gioco d’azzardo, e in particolare ai siti di scommesse. È una misura che riguarda principalmente il mondo del calcio e che risponde a forti pressioni, non solo delle aziende di scommesse, ma anche delle società calcistiche, che nel caso riceverebbero gran parte degli investimenti sotto forma di sponsorizzazioni. Le richieste in questo senso durano da anni e hanno trovato spesso sostegno da giornali e televisioni, a loro volta fra i destinatari degli introiti delle pubblicità. Per questo i potenziali effetti sociali e sanitari dell’abolizione del divieto sono spesso poco raccontati, nonostante le scommesse online siano considerate dalle associazioni che ne se occupano uno dei fattori crescenti dei problemi di dipendenza, o disturbo, da gioco d’azzardo.
In Italia le pubblicità di siti di scommesse sulle maglie delle squadre di calcio, su banner e cartelloni negli stadi, sui giornali e in televisione sono vietate dal 2018, con il cosiddetto “decreto dignità”, voluto fortemente dal primo governo di Giuseppe Conte. L’obiettivo di quel decreto era tra le altre cose di tutelare le categorie di giocatori più a rischio, come anziani e minorenni. La sua introduzione fu accolta con soddisfazione dalle associazioni che si occupano di ludopatia e che cercano di limitare la diffusione del gioco d’azzardo, ma criticata dagli operatori del settore.
Le società di scommesse sono infatti molte e in grande competizione fra loro. Hanno giri d’affari notevoli e grandi disponibilità economiche, che investono principalmente nel settore sportivo e in quello del calcio in particolare, il più seguito e quello che genera la maggior parte delle scommesse. I soldi delle agenzie di scommesse quindi ricadevano – e ancora ricadono – su società sportive, mezzi di informazione, alcuni influencer specializzati e anche sui conti dello Stato.
Quando nel 2018 entrò in vigore il decreto dignità, ben 15 delle 20 squadre di Serie A avevano accordi commerciali con operatori delle scommesse. La Roma, per esempio, dovette rinunciare a 15 milioni in tre anni di un contratto con Betway per la sponsorizzazione delle maglie da allenamento. Ma società di scommesse erano state sponsor principali (quindi con il nome sulle maglie da gioco), anche per Milan e Juventus, solo per citare due fra le squadre più importanti. Le società di scommesse spesso garantiscono più soldi rispetto agli sponsor normali, per questioni legate al marketing e alla coincidenza fra pubblico delle partite e quello di potenziali giocatori. Varie stime hanno valutato intorno ai cento milioni di euro l’anno l’entità delle sponsorizzazioni possibili senza il divieto, solo per la Serie A.

Francesco Totti, ex capitano della Roma, a un evento sponsorizzato da una società di scommesse (ANSA)
Oggi circa il 14 per cento degli sponsor di maglia dei primi dieci campionati europei sono società di scommesse. Sono 11 su 20 in Premier League, la lega inglese, che è la più importante e ricca. In alcuni casi, i contratti sono particolarmente vantaggiosi per le squadre rispetto al loro valore di mercato, come i quasi 50 milioni di euro l’anno per l’Aston Villa (Betano) o i quasi 17 per il Nottingham Forest (Kaiyun Sports). Peraltro la Premier League, con una decisione propria, ha già stabilito di vietare queste sponsorizzazioni dalla stagione 2026-2027.
In Italia anche oggi società di scommesse sponsorizzano squadre di calcio, con soluzioni che aggirano i divieti. Le sponsorizzazioni sulle maglie o nei cartelloni pubblicitari riguardano siti che formalmente danno notizie e aggiornano sui risultati sportivi, pur contenendo nel nome un riferimento piuttosto esplicito ad altri siti di scommesse online, come starcasino.sport o pokerstarsnews.it (dove le società di scommesse da cui derivano i due siti sono StarCasinò e PokerStars: ma sono solo due esempi fra molti). L’Inter ha come principale sponsor sulla maglia uno di questi siti definiti di infotainment (informazione e intrattenimento), betsson.sport, che è sponsor anche di Torino, Napoli e Palermo.
La cancellazione del divieto di pubblicità favorirebbe economicamente non solo le società di scommesse stesse (che potrebbero raggiungere un numero più ampio di potenziali giocatori d’azzardo) e le società sportive (con un incremento delle sponsorizzazioni), ma anche televisioni e giornali, che in passato sono stati destinatari di notevoli investimenti pubblicitari.
Secondo le linee guida dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) già oggi è possibile pubblicare o mandare in onda contenuti in cui si confrontano le quote dei risultati tra i vari siti di scommesse. Sono comuni prima della trasmissione delle partite, o durante l’intervallo fra il primo e il secondo tempo, e nei quotidiani e siti sportivi. Alcuni operatori del settore come DAZN, Sky o RCS, editore della Gazzetta dello Sport, oltre che del Corriere della Sera e di altre testate, possono contare su agenzie collegate o che richiamano le testate principali nel nome, come DAZN Bet, Sky Bet o GazzaBet. Ma le inserzioni pubblicitarie in passato hanno riguardato una platea di media e giornali più ampia. Confindustria Radio TV nel 2018 stimò in 60 milioni di euro l’anno i mancati introiti dopo l’introduzione del divieto di pubblicità, solo per le televisioni.
Sui social e su piattaforme come Twitch e YouTube negli ultimi anni hanno poi trovato visibilità e seguito influencer specializzati nel dare consigli sulle scommesse sportive, definiti tipster (letteralmente “suggeritori”).
Lo Stato infine ottiene dalle scommesse sportive entrate importanti: le scommesse sono tassate al 20,5 per cento se la raccolta avviene sulla rete fisica (agenzia di scommesse) e al 24,5 per cento per le puntate online. L’imponibile, cioè la parte tassata, è la differenza fra le somme giocate e le vincite corrisposte. Nel 2022 (ultimo anno di cui sono disponibili dati ufficiali e complessivi) in Italia sono stati giocati in scommesse sportive 18,7 miliardi di euro (all’interno di un mercato del gioco d’azzardo molto più ampio), con proventi per lo stato di 600 milioni. Le varie associazioni che si occupano di contrasto al gioco d’azzardo e ludopatia sostengono però che le spese sanitarie e sociali conseguenti, difficilmente stimabili, sono crescenti e particolarmente onerose.