La difficile vita degli esuli russi in Serbia

La comunità che si è molto ingrandita dopo l'invasione dell'Ucraina fa fatica a integrarsi e ha difficoltà a fare attivismo contro Putin, in un paese che è storicamente amico della Russia

di Rodolfo Toè

Un uomo seduto in un caffè di Belgrado (AP/Darko Vojinović)
Un uomo seduto in un caffè di Belgrado (AP/Darko Vojinović)
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Da quando nel 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina decine di migliaia di cittadini russi hanno lasciato il proprio paese per trasferirsi in Serbia. Molti di loro se ne sono andati per esprimere dissenso nei confronti del presidente russo Vladimir Putin, e una volta in Serbia hanno iniziato a manifestare contro il regime. In diversi casi hanno però dovuto fare fronte alle resistenze delle autorità serbe, che sono storicamente vicine alla Russia e che hanno reso complicato l’attivismo anti-russo.

Alexei, un uomo sui quarant’anni originario di Mosca, è arrivato in Serbia nella primavera del 2022. Insieme a lui c’erano la moglie e il figlio: nessuno di loro aveva un lavoro e non sapevano bene come fare per riuscire a mantenersi. «Volevo aprire un’attività, ma c’è voluto un po’ di tempo per capire cosa piacesse ai serbi e cosa piacesse anche ai molti altri russi che si trovano qui», ha raccontato. Oggi Alexei gestisce un bar in cui si guardano eventi sportivi e si possono fare scommesse a Novi Sad, una cittadina a sessanta chilometri dalla capitale Belgrado. L’attività va bene: «ai serbi piace molto scommettere».

Alexei ha deciso di lasciare la Russia immediatamente dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina. «Non volevo più vivere in un paese omicida», ha detto. Ha venduto il suo appartamento a Mosca, ha messo via un po’ di soldi per la sopravvivenza e poi è partito. Per Alexei è stata una scelta definitiva: non ha intenzione di tornare in Russia e in futuro vorrebbe aprire un altro locale, questa volta a Belgrado. «Mi piacerebbe aprire un posto dove poter giocare al biliardo russo [una variante del biliardo nota come “piramide”, e che si gioca con bilie quasi della stessa dimensione delle buche]: in Serbia non c’è ancora un posto dove poterlo fare», ha raccontato, «anche se qui ci sono ormai tantissimi russi».

Alcune persone sedute su un muretto nel centro di Belgrado (AP/Pavel Golovkin)

Alcune persone sedute su un muretto nel centro di Belgrado (AP/Pavel Golovkin)

Non si conosce il numero esatto di russi che si sono trasferiti in Serbia. Secondo dati pubblicati in un recente rapporto del Belgrade Centre for Security Policy e basati sulle cifre fornite dal governo serbo, sarebbero quasi 30mila i cittadini russi che hanno ottenuto la residenza nel paese l’anno scorso. È comunque plausibile che il numero sia più alto, dal momento che i cittadini russi possono trascorrere un periodo di 30 giorni in Serbia senza un visto: tanti restano nel paese senza mai chiedere un permesso di residenza, semplicemente uscendo e poi rientrando, oppure trascorrendo un periodo negli altri paesi della regione in cui possono entrare senza visto (come la Bosnia Erzegovina e il Montenegro).

Per molti russi la Serbia è un paese conveniente in cui emigrare. Il costo della vita è contenuto, ha spiegato Yulia, che è arrivata qui da Mosca pochi mesi dopo la guerra e ha un figlio adolescente che parla molto bene serbo: «la cultura e lo stile di vita sono molto simili, non avrei mai potuto trasferirmi in un paese come il Kazakistan o la Georgia», paesi che hanno accolto altre comunità di russi dal 2022.

I russi che hanno lasciato il proprio paese per andare in Serbia — esattamente come quelli che sono andati in altri paesi come la Turchia, la Georgia o l’Armenia — sono per lo più persone giovani, istruite, che vengono dalle grandi città. Molti di loro, soprattutto gli uomini, sono fuggiti per evitare la possibilità di essere richiamati nell’esercito in un momento in cui la Russia stava iniziando la parziale mobilitazione dei riservisti. C’è chi lavora a distanza nel settore dei servizi digitali, e chi invece per imprese che si sono trasferite fuori dalla Russia a causa delle sanzioni internazionali.

Ci sono però anche tante persone che sono arrivate in Serbia senza avere un lavoro e che hanno poi provato ad avviare un’attività. In Serbia è relativamente semplice farlo ed è un modo abbastanza sicuro per ottenere un visto. Secondo i dati forniti dalla Serbia, più di 11mila imprese russe sono attualmente registrate nel paese.

È una presenza che sta cambiando l’immagine e la vita delle due principali città serbe: a Belgrado e a Novi Sad è molto comune imbattersi in negozi, caffè o ristoranti gestiti da russi e frequentati principalmente da russi. Molti di loro fanno fatica a integrarsi e rimangono in una comunità separata rispetto alla popolazione serba. Diversi giornali della regione hanno parlato di come, di fatto, gli esuli russi stiano creando una “piccola Russia” in Serbia.

Anche se non tutti i russi presenti in Serbia si interessano di politica, molti di loro una volta arrivati nel paese hanno iniziato a esprimere piuttosto apertamente il loro dissenso nei confronti di Putin, e fino a qualche tempo fa anche le proteste contro il governo russo erano piuttosto comuni. A organizzarle, fino a poco tempo fa, era tra gli altri Peter Nikitin, che ha la doppia cittadinanza russa e nederlandese e che in passato è stato presidente della Società democratica russa, un’associazione di attivisti russi anti-Putin e vicini all’Ucraina.

Nikitin è arrivato in Serbia prima del 2022. Dice che la cittadinanza nederlandese lo ha fatto sentire più al sicuro nel manifestare il suo dissenso verso Putin. Per i russi che si trovano a Belgrado il rischio maggiore è infatti quello di perdere il diritto al permesso di soggiorno ed essere espulsi, dovendo magari fare ritorno in Russia. «Nello scenario peggiore, io sarei stato espulso verso i Paesi Bassi», ha raccontato Nikitin.

Dopo il febbraio 2022 Nikitin ha organizzato diverse proteste: contro la detenzione del dissidente Alexei Navalny, morto l’anno scorso; contro la coscrizione in Russia; e a sostegno della resistenza ucraina. Alcune di queste sono state numerose e partecipate da migliaia di russi. Nikitin ha inoltre coordinato azioni di sostegno a favore degli abitanti dell’Ucraina, per esempio acquistando generatori elettrici.

Peter Nikitin con in mano una bandiera russa dove è scritto "Putin non è la Russia", insieme a diverse persone in coda per votare alle ultime elezioni presidenziali russe a Belgrado

Peter Nikitin con in mano una bandiera russa dove è scritto “Putin non è la Russia”, insieme a diverse persone in coda per votare alle ultime elezioni presidenziali russe a Belgrado (AP/Darko Vojinović)

Il governo serbo in generale ha accettato senza grandi problemi la presenza di migliaia di russi, anche per i rapporti di amicizia che legano i due paesi.

La Serbia è un paese storicamente molto vicino alla Russia, come dimostrano alcuni episodi della storia recente: per esempio la Russia non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, alla quale il governo serbo si è sempre opposto, e il governo serbo non ha introdotto sanzioni contro la Russia dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Media che diffondono la propaganda russa, come Russia Today e Sputnik, sono attivi e parecchio seguiti in Serbia. L’attuale presidente serbo, Aleksandar Vučić, ha anche buone relazioni con Vladimir Putin e l’aeroporto di Belgrado è connesso con voli diretti a Mosca, a San Pietroburgo e, stagionalmente, anche a Kazan e Sochi.

La simpatia serba verso la Russia è condivisa anche da una parte considerevole della popolazione, cosa che genera a volte situazioni un po’ bizzarre per molti russi di idee liberali che si trovano esuli in un paese dove Putin non è visto con sfavore.

Un murale con i ritratti di Putin e di Trump, e la scritta "Il Kosovo è Serbia", a Belgrado

Un uomo cammina di fronte a un murale con i ritratti di Putin e del presidente americano Donald Trump, e la scritta “Il Kosovo è Serbia”, a Belgrado (AP/Darko Vojinović)

Da qualche tempo la vita degli esuli russi in Serbia si è però complicata. Il governo serbo ha cominciato ad adottare politiche ostili verso i russi che si sono più esposti durante le proteste, e Nikitin e gli altri dissidenti sono stati oggetto di campagne di diffamazione da parte di diversi giornali serbi.

Il governo di Belgrado ha anche iniziato a non rinnovare i permessi di residenza citando ragioni legate alla «sicurezza nazionale» e minacciando gli esuli di espulsione. Nel 2023 anche Nikitin è stato bloccato in aeroporto in Serbia dopo un viaggio all’estero. Le autorità serbe non volevano permettergli di entrare nel paese sulla base di informazioni riservate che sarebbero state fornite dalla BIA (l’Agenzia per l’intelligence e la sicurezza nazionale serba). Dopo 48 ore in aeroporto, Nikitin è stato lasciato andare.

Nonostante la Società democratica russa non esista più come associazione, le proteste contro il governo russo continuano, anche se con una frequenza più contenuta rispetto al passato.

«Ovviamente molti di noi sono spaventati e cerchiamo di mantenere un certo equilibrio», ha raccontato Evgeniia, una donna che faceva parte della Società democratica russa e che continua a partecipare ad azioni di dissenso contro Putin. In genere, ha aggiunto Evgeniia, «protestiamo proprio quando non possiamo farne a meno, soprattutto in occasione di anniversari importanti, come quello della morte di Navalny o l’inizio della guerra in Ucraina. Queste sono occasioni in cui dobbiamo necessariamente fare qualcosa».

Alcune persone partecipano a una protesta contro la Russia nel terzo anniversario dell'inizio dell'invasione, a Belgrado

Alcune persone partecipano a una protesta contro la Russia nel terzo anniversario dell’inizio dell’invasione, il 24 febbraio 2025 a Belgrado (AP/Darko Vojinović)

Gli esuli russi che vivono in Serbia e contestano Putin collaborano con altre organizzazioni attive in diversi paesi europei, anche se viaggiare e ottenere un visto può essere difficile. Si ritrovano regolarmente per poter spedire lettere e cartoline ai prigionieri politici nelle carceri russe, o per organizzare attività insieme ad altre organizzazioni serbe contro la guerra, tra cui la più famosa è probabilmente quella delle Žene u crnom (le donne in nero), un’associazione di attiviste femministe e antimilitariste attiva fin dagli anni Novanta.

Alle ultime elezioni presidenziali in Russia, che si sono tenute nel 2024, la rete di attivisti in Serbia ha aiutato i politici contrari a Putin a ottenere le firme necessarie per potersi candidare. Molti si sono anche organizzati per andare a votare e dimostrare pubblicamente l’opposizione a Putin: migliaia di persone hanno deciso di andare a votare a mezzogiorno, come era stato chiesto dall’opposizione russa. Secondo i risultati ufficiali, il 90 per cento delle persone a Belgrado ha votato contro Putin.

La situazione di molti esuli russi che si oppongono a Putin non è semplice, ha detto Nikitin: «tanti di loro hanno pochi soldi, non hanno un altro paese dove andare, non hanno un piano B, e sono impauriti». Molti stanno anche abbandonando l’attività politica. Lo stesso Nikitin non ha più un ruolo attivo nell’organizzare azioni di dissenso.

Anna, russa originaria di Mosca che vive dal 2022 a Belgrado, dice che per lei partecipare alle manifestazioni è un obbligo morale: «è stupido emigrare perché il tuo paese dà inizio a una guerra così spaventosa, e poi continuare a vivere come se nulla fosse. Sarebbe una cosa ingiusta, immorale. Noi in Serbia possiamo comunque far sentire più liberamente il nostro dissenso: in Russia la gente viene arrestata quando ha il coraggio di esprimere le proprie idee».