• Mondo
  • Venerdì 16 febbraio 2024

Alexei Navalny, il dissidente

Negli ultimi 15 anni è stato il più importante oppositore a Vladimir Putin, e la più grande minaccia al suo potere: per questo è stato aggredito, avvelenato, imprigionato

Un uomo mostra un poster con una fotografia di Navalny durante una manifestazione in Germania, il 16 febbraio 2024
Un uomo mostra un poster con una fotografia di Navalny durante una manifestazione in Germania, il 16 febbraio 2024 (AP Photo/Markus Schreiber)
Caricamento player

Alexei Navalny, che secondo il servizio penitenziario russo è morto il 16 febbraio in un carcere di massima sicurezza nel nord della Russia, era il principale oppositore del presidente autoritario russo Vladimir Putin. Aveva 47 anni e da circa 15 era la figura più importante del movimento per la democrazia in Russia, oltre che la principale minaccia interna al potere di Putin.

Grazie alla Fondazione anticorruzione, l’organizzazione da lui fondata, e a una strategia politica basata sul rivelare la corruzione e il malcostume dell’élite politica russa, Navalny era diventato una figura politica popolare. Anche per questo, lui e la sua organizzazione sono stati oggetto di una repressione brutale: a Navalny era stato impedito più di una volta di candidarsi alle elezioni, la Fondazione anticorruzione era stata resa illegale, e lui e altri suoi collaboratori erano stati colpiti da procedimenti giudiziari ritenuti da molti politicamente motivati. Negli anni, inoltre, Navalny aveva subìto più di un attentato alla sua vita, compreso un gravissimo avvelenamento per il quale erano accusati i servizi di sicurezza russi.

Navalny era detenuto da tre anni in Russia in condizioni estremamente dure, tanto che i suoi collaboratori avevano denunciato una sistematica negligenza rispetto alle cure che avrebbe dovuto ricevere per le sue condizioni di salute, piuttosto fragili. Stava scontando numerose pene che ammontavano complessivamente a decine di anni di carcere, tutte per accuse ritenute politicamente motivate, e portate avanti dal regime di Vladimir Putin per impedire la sua attività politica. A fine dicembre era stato trasferito nella prigione di massima sicurezza IK-3, che si trova al di sopra del Circolo polare artico, a oltre 1.900 chilometri dalla capitale Mosca. La prigione IK-3, un ex gulag del periodo sovietico, si trova nella regione autonoma di Yamalo-Nenets ed è nota per le brutali condizioni a cui sono sottoposti i detenuti.

Blog e politica
Alexei Navalny, nato in una cittadina fuori Mosca nel 1976 e avvocato per formazione, cominciò a interessarsi alla politica nei primi anni 2000, quando si candidò con il partito liberale e nazionalista Yabloko per alcune cariche locali. Divenne però davvero noto negli anni successivi: nel 2006 aprì un blog in cui cominciò a pubblicare articoli che denunciavano e smascheravano la corruzione e l’enorme ricchezza dell’élite politica russa, e che accusavano Vladimir Putin di essere a capo di un regime di «ladri e corrotti».

Il messaggio di Navalny, tutto basato sulla lotta alla corruzione, faceva leva su un malcontento diffuso tra i russi. Inoltre era reso estremamente forte dalla sua eccellente retorica e da numerose iniziative piuttosto celebri e fantasiose che Navalny e i suoi organizzarono nel corso degli anni: per esempio alle proteste e alle manifestazioni da lui organizzate iniziarono a vedersi pupazzi e gonfiabili gialli a forma di papera, che diventò un simbolo della corruzione del governo.

Oltre alla lotta alla corruzione, è piuttosto difficile definire le posizioni politiche di Navalny, soprattutto perché con il passare del tempo si sono evolute in maniera decisa. All’inizio della sua carriera le sue posizioni politiche erano più controverse e Navalny avrebbe potuto essere qualificato come un politico nazionalista. Nel 2008 approvò l’invasione russa della Georgia, e a quegli anni risalgono varie dichiarazioni razziste e discriminatorie contro i popoli del Caucaso e dell’Asia centrale, contro i quali nella popolazione russa esistono forme di razzismo estremamente radicate.

Negli anni, man mano che la sua posizione come leader dell’opposizione si consolidava e che aumentavano i contatti con l’Occidente, Navalny moderò o eliminò del tutto queste opinioni. Si disse a favore dei diritti delle persone omosessuali, approfondì il suo pensiero democratico e condannò l’imperialismo russo di Vladimir Putin. Nel 2022 si espresse con durezza contro l’invasione dell’Ucraina. Nonostante questo, la tv di stato russa ha continuato a indicarlo come un pericoloso estremista.

Contro Putin
Tra il 2011 e il 2012 Navalny si unì alle enormi proteste organizzate dall’opposizione russa contro i risultati delle elezioni legislative e presidenziali di quegli anni, che secondo vari osservatori erano state falsate a favore di Vladimir Putin. Quelle gigantesche manifestazioni, che coinvolsero centinaia di migliaia di persone soprattutto nelle grandi città come Mosca e San Pietroburgo, furono le più grandi della storia del regime di Putin e fecero emergere una nuova generazione di leader di opposizione, di cui Navalny era probabilmente la figura più popolare. Assieme a lui c’erano Boris Nemtsov, che era stato vice primo ministro ai tempi del vecchio presidente Boris Eltsin, il campione di scacchi Garry Kasparov e altri.

Putin represse con eccezionale durezza le manifestazioni di quegli anni. Migliaia di persone furono messe in prigione, tra cui Navalny, che iniziò ad avere i primi grossi guai giudiziari proprio in quel periodo. Garry Kasparov fu costretto a fuggire all’estero. Boris Nemtsov fu ucciso nel 2015 a Mosca, a due passi dal palazzo del Cremlino, in circostanze che non sono mai state davvero chiarite.

Dopo quel periodo di dura repressione, Navalny divenne di fatto l’unico vero leader dell’opposizione in Russia, e su di lui si concentrarono le minacce e le azioni repressive del regime.

Nei dieci anni successivi, Navalny si candidò oppure organizzò l’opposizione praticamente a tutte le elezioni indette in Russia: quelle per il sindaco di Mosca nel 2013, le presidenziali del 2018, quelle per il consiglio comunale di Mosca del 2019 e le legislative del 2021.

A ciascuna di queste elezioni, Navalny e i suoi dovettero subire la repressione durissima dell’apparato statale russo. Le varie formazioni politiche con cui Navalny si candidò furono rese illegali, lui stesso fu incriminato di vari reati ritenuti politicamente motivati, come corruzione, evasione fiscale, vandalismo e un non meglio precisato «estremismo». Nella maggior parte dei casi gli fu impedito di presentarsi alle elezioni, come successe alle presidenziali del 2018, quando la commissione elettorale russa giudicò illegale la sua candidatura.

Una questione che spesso divide gli esperti di politica russa è se Navalny abbia davvero costituito un pericolo politico per il regime di Vladimir Putin.

Dal punto di vista elettorale, la risposta è probabilmente no. Anche secondo le agenzie di sondaggi considerate più affidabili, Navalny non è mai stato un candidato sufficientemente forte da poter battere Putin. Lo stesso presidente russo in più di un’occasione ha fatto capire di considerare Navalny come non più che un fastidio, un avversario non alla sua portata.

Bisogna però considerare che il regime di Putin ha impedito l’attività politica di Navalny in maniera sistematica e capillare, con censure, atti giuridici e burocratici, aggressioni fisiche. E questo è un segnale del fatto che Putin vedeva nella leadership carismatica di Navalny un chiaro pericolo, capace di mettere a rischio il suo potere.

All’azione politica Navalny affiancò quella di attivista contro la corruzione. Grazie a varie organizzazioni – l’ultima delle quali è la Fondazione anticorruzione, creata nel 2020 – Navalny pubblicò alcune celebri indagini che mostravano le ricchezze enormi (e illegittime, secondo Navalny) di Putin e dei suoi alleati. La più nota tra queste inchieste fu pubblicata nel 2021 e sosteneva che Putin si fosse fatto costruire un gigantesco e lussuosissimo palazzo sulla costa del mar Nero, costato 1,1 miliardi di euro e finanziato almeno in parte con fondi illeciti.

– Leggi anche: L’inchiesta sul presunto palazzo di Putin

In quegli anni Navalny subì molti attentati e aggressioni. Nel 2017 alcune persone gli gettarono addosso sostanze caustiche che gli provocarono ustioni. Nel secondo di questi attacchi perse l’80 per cento della visione dall’occhio destro. Nel 2019, mentre si trovava in prigione per uno dei suoi numerosi arresti, sviluppò quella che le autorità definirono un’«allergia» che provocò gravi danni alla sua pelle e ai suoi occhi. In seguito i suoi medici dissero che i danni erano stati provocati da agenti chimici.

L’attacco più grave contro la vita di Navalny avvenne però il 20 agosto del 2020, quando collassò mentre si trovava su un aereo partito dalla città di Tomsk, in Siberia, e diretto a Mosca. L’aereo fu fatto atterrare nella città più vicina, Omsk, dove Navalny fu ricoverato in terapia intensiva. I medici dell’ospedale dissero inizialmente di non aver trovato segni di avvelenamento. Dopo un paio di giorni di tensione, le autorità russe consentirono di trasferire Navalny all’ospedale Charité di Berlino. Lì i medici scoprirono che Navalny era stato avvelenato con un agente nervino che era stato messo nella sua biancheria intima, cosa poi confermata da altri laboratori indipendenti e dall’OPCW, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.

Navalny trascorse un periodo in coma, poi riuscì a riprendersi e a rimettersi, seppure con enorme fatica e con una salute sempre più fragile. Varie indagini successive, alcune delle quali fatte dalla Fondazione anticorruzione, altre da testate internazionali, hanno dimostrato in maniera piuttosto credibile che Navalny fu avvelenato da agenti dell’FSB, i servizi di sicurezza interni della Russia.

Il ritorno in Russia
Dopo il gravissimo avvelenamento Navalny trascorse alcuni mesi in Germania, dove le autorità erano pronte a fornirgli rifugio, ma lui, nel gennaio del 2021, annunciò che sarebbe tornato in Russia. Navalny era perfettamente consapevole del rischio che correva: era appena stato avvelenato da quelli che con ogni probabilità erano i servizi di sicurezza russi, e nel frattempo la giustizia russa aveva emesso nuovi mandati d’arresto contro di lui. Navalny sapeva che, nel momento in cui avesse rimesso piede in Russia, sarebbe stato arrestato.

Eppure, disse, «per me non è mai esistita la questione se tornare o meno, mai. Semplicemente perché non me ne sono andato».

Il viaggio di ritorno in Russia fu un evento per molti versi eccezionale: tornò nel paese con sua moglie Yulia Navalnaya su un aereo di linea pieno di giornalisti (lui aveva annunciato in anticipo che aereo avrebbe preso, e tutti comprarono i biglietti). Durante il viaggio salutò definitivamente la moglie. Una volta atterrato a Mosca le diede un bacio, prima di essere arrestato dalla polizia.

Navalny trascorse più di due anni in un carcere non troppo lontano da Mosca, dove i suoi avvocati potevano comunicare con lui con sufficiente facilità. Grazie a loro riuscì a mantenere le comunicazioni con il mondo esterno, a inviare messaggi che potevano essere pubblicati sui social media e a organizzare almeno in parte la sua Fondazione anticorruzione. Tra le altre cose, condannò duramente l’invasione russa dell’Ucraina.

All’inizio di dicembre del 2023 fu trasferito nella prigione IK-3, così isolata che le comunicazioni con l’esterno si diradarono. Il trasferimento da un carcere all’altro fu un evento già di per sé piuttosto brutale, che richiese 20 giorni di tempo, durante i quali nessuno seppe niente di dove si trovasse Navalny. Quando a fine dicembre riuscì infine a comunicare con l’esterno, scrisse su Twitter: «Sto bene, non vi preoccupate per me».