Perché hanno tutte il vestito di Elsa di Frozen
«Il personaggio è potente, crea un castello enorme, spara il ghiaccio come Spider-Man lancia le ragnatele e combatte i nemici con i suoi poteri. Anche i maschi vogliono essere lei così come noi, da bambine, sognavamo di essere Robin Hood e non Lady Marian»

Ogni volta che accompagno mia figlia di tre anni a scuola c’è qualche compagna (se non lei stessa) che indossa una maglia, una felpa, una gonna, un calzino, un fermaglio a tema Elsa di Frozen, la principessa dei ghiacci del cartone Disney uscito nel novembre del 2013, 11 anni fa. Esatto: 11 anni fa, e nonostante questo Elsa è talmente potente che resiste nei sogni di immedesimazione di molte bambine e anche bambini. Vale anche per altri personaggi, come Batman, Zorro o Spider-Man, che esistono da molto più tempo, ma il successo di Elsa stupisce perché ha attecchito oggi che ogni desiderio è rimpiazzato velocemente da un altro, e lei non si è fatta spazzare via dalle principesse venute dopo.
Di per sé Elsa non è così affascinante. È un’adolescente introversa, insicura, in cerca di se stessa, forse anche un po’ queer, e la vera eroina del film è la sorella Anna: divertente, coraggiosa, generosa, è lei che sacrificandosi salva Elsa e che racchiude il messaggio della storia.
L’incredibile successo di Elsa sta tutto in una scena, tre minuti e mezzo su 102 minuti di film: quella in cui scappa dal regno soffocante di Arendelle, dov’era costretta a omologarsi e nascondere i suoi poteri magici, e si rifugia su una remota montagna innevata. Qui può essere finalmente se stessa e scoprire che la sua natura è qualcosa di meraviglioso, non di cui vergognarsi: dà vita a un pupazzo di neve, fa sorgere un incredibile castello di ghiaccio e infine scaglia lontano i guanti e la corona, scioglie lo stretto chignon in una lussureggiante treccia e trasforma la divisa monacale che indossava in un abito sensuale e luccicante.

Lady Diana, un’altra principessa oppressa dalle convenzioni di corte, fuggita per essere se stessa. Qui è stata fotografata a New York pochi mesi dopo l’annuncio del divorzio dall’allora principe Carlo, nel 1996: era al Met Gala, la più importante serata di beneficenza del mondo della moda, e indossava una sottoveste blu con pizzo nero disegnata da John Galliano (Richard Corkery/NY Daily News via Getty Images)
Mentre fa tutto questo Elsa canta quello che prova e la sua voglia di libertà in una canzone, Let It Go, che nella versione originale è interpretata da Idina Menzel e che Disney ha adattato in altre 41 lingue. Il risultato è una specie di videoclip per bambini dove la storia trova forza negli abiti e nella musica.
A oggi sul canale ufficiale di Disney il video per karaoke di Let It Go è stato visto 3,4 miliardi di volte mentre la versione italiana All’alba sorgerò, cantata da Serena Autieri, ha collezionato 107 milioni di visualizzazioni (a cui sento di aver profondamente contribuito negli ultimi due mesi). Non ci sono dati recenti sugli ascolti di Let It Go, ma nel 2019 era stata trasmessa su Spotify 280,5 milioni di volte, diventando la canzone di Disney più ascoltata dal 1989, quando uscì La Sirenetta; è stata trasmessa 94,3 milioni di volte in più del secondo arrivato How Far I’ll Go del film Moana (Oceania, in italiano) uscito nel 2016. E parliamo solo di Spotify.
Il successo della canzone va di pari passo con quello del vestito, che colse Disney impreparata. Un anno dopo l’uscita del film in Nordamerica erano stati venduti 3 milioni di vestiti di Elsa e Anna (a un costo tra i 50 e 100 dollari) e a Halloween 2,6 milioni di bambini si vestirono come un personaggio di Frozen. Da allora il merchandising si è moltiplicato. Cercando “Frozen” sul negozio online di Disney vengono fuori 31 risultati, tra occhiali, tazze, costumi da bagno, bambole e peluche; sul sito di H&M ci sono ben tre diversi costumi di Elsa, oltre a felpe, pigiami, pantofole, cappellini, borracce, persino mutande. Le librerie vendono libri pop-up su Frozen, le edicole giornalini da colorare o da riempire di sticker, di cose di Elsa sono pieni anche Amazon e Vinted, rendendo più economico e facile soddisfare il desiderio di avere un abito azzurro con i fiocchi di neve (o più faticoso non trasformare la casa in un parco divertimenti a tema Frozen).
Ovviamente il costume viene indossato anche nella vita quotidiana, e non solo dalle bambine. Elsa, infatti, piace anche ai maschi, e più di un genitore mi ha raccontato di aver comprato il costume per il figlio o di essere sfinito dai suoi ascolti casalinghi ma comunque ossessivi di Let It Go. La mia esperienza non è isolata: internet è pieno di racconti simili e di video di padri e figli che ballano e cantano insieme la canzone vestiti da Elsa: anche voi potreste aver visto il più famoso, quello del comico norvegese Ørjan Burøe con il figlio di 4 anni.
Non è solo una questione di fluidità di genere, come potrebbe suggerire qualcuno: Elsa è potente, crea un castello enorme, spara il ghiaccio come Spider-Man lancia le ragnatele e combatte i nemici con i suoi poteri. I maschi vogliono essere lei così come noi, da bambine, sognavamo di essere Robin Hood e non Lady Marian, Aladdin e non Jasmine, o una più ambigua Lady Oscar.
Per chi ricorda questa campagna: anche Elsa avrebbe corso «più veloce che puoi»
Ma forse piace sia ai maschi sia alle femmine perché racconta quello che vivono ogni giorno. Stanno imparando a stare seduti tante ore, rispettare regole che non sempre capiscono, controllare gli impulsi, mitigare la voglia di urlare NO furibondi, ed Elsa li conforta perché fa quello che tutti loro vorrebbero fare: ribellarsi al mondo degli adulti. Ballando insieme a Elsa possono battere i piedi a terra, urlare e scagliare via gli elastici che impediscono ai capelli indisciplinati di finire sugli occhi. Ad altri, quel vestito può dare coraggio: il New York Times scrive che quando Elsa canta con quell’abito sembra diventare invincibile, e alcuni genitori hanno detto che ha lo stesso effetto sui loro bambini: e qual è in fondo il compito di un vestito che amiamo se non farci sentire la versione migliore di noi stessi?
Per finire dobbiamo ammettere, da genitori, che l’ossessione per Elsa è colpa nostra. Il suo messaggio fa presa su una generazione così candidamente individualista come quella Millennial, così desiderosa di essere amica dei propri figli e di stare dalla loro parte da non rizzare le orecchie quando Elsa canta Così non va, non sentirò un altro no, per cantarlo a squarciagola, entusiasti, insieme a loro. Sarò sincera: non mi stancherò mai veramente di cantare e ballare Let It Go con mia figlia, perché insegna proprio quello che vorrei per lei: the perfect girl is gone / da oggi il destino appartiene a me.

Una piccola Elsa irriducibile (Il Post)