Un cooperante italiano è in carcere in Venezuela dal 15 novembre, senza accuse
Alberto Trentini lavora per una ong che fa assistenza umanitaria: da allora la sua famiglia non ha più avuto notizie

Lo scorso 15 novembre in Venezuela è stato arrestato il cooperante italiano Alberto Trentini, che è di Venezia e ha 45 anni. Trentini si trovava in Venezuela dallo scorso ottobre per la ong internazionale Humanity & Inclusion, che aiuta le persone con disabilità. Quando è stato arrestato, stava andando per lavoro dalla capitale Caracas a Guasdualito, nel sudovest del paese. Insieme a lui è stato fermato anche l’autista della ong che lo accompagnava.
Le notizie sul conto di Trentini sono poche. Si sa soltanto che si trova in carcere a Caracas, ma a suo carico non è stata formulata alcuna accusa e le sue condizioni non sono note. Secondo quanto risulta alla famiglia e alla sua avvocata, Alessandra Ballerini, nessuno ha ancora potuto incontrare Trentini né parlargli, nemmeno l’ambasciatore italiano in Venezuela.
«Da quasi due mesi nulla sappiamo sulle sorti di Alberto, tenuto anche conto che soffre di problemi di salute e non ha con sé le medicine né alcun genere di prima necessità», ha scritto martedì la famiglia in un comunicato in cui chiede al governo italiano di impegnarsi per la sua liberazione (Trentini soffre di ipertensione). In un primo momento la famiglia di Trentini aveva chiesto il silenzio stampa, più o meno come fatto a un certo punto dai genitori della giornalista Cecilia Sala, per agevolare eventuali trattative per il rilascio.
Il 7 gennaio il caso di Trentini era stato raccontato in una risoluzione della Commissione interamericana dei diritti umani (CIDH), un organo dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) di cui fanno parte il Venezuela e altri 33 paesi americani. Il testo però non era stato concordato con la famiglia.
Chiedeva alle autorità venezuelane informazioni sulle condizioni di Trentini, facendo una ricostruzione e alcune ipotesi intorno al suo arresto che in seguito sono state riprese in un articolo del quotidiano Domani. La risoluzione sostiene per esempio che il giorno prima dell’arresto Trentini avesse scritto in un messaggio WhatsApp di avere intenzione di lasciare la ong, ma alla famiglia non risulta, anche perché era arrivato in Venezuela solo un mese prima.
Martedì il Partito Democratico ha presentato un’interrogazione urgente al ministro degli Esteri, Antonio Tajani, chiedendogli «quali siano le iniziative del governo per garantire che tutti i diritti processuali e di detenzione siano garantiti a Trentini».
La settimana scorsa al confine tra Colombia e Venezuela era stato arrestato, e poi liberato dopo alcune ore, un cittadino italo-venezuelano. L’uomo era stato arrestato, insieme ad altre 7 persone di nazionalità straniera, nel contesto di operazioni definite contro «mercenari» dal ministro dell’Interno venezuelano Diosdado Cabello. In Venezuela, come in diversi altri paesi autoritari, operazioni del genere servono soprattutto a usare gli stranieri arrestati come ostaggi per ottenere qualcosa in cambio. Cabello peraltro è considerato il responsabile delle discriminazioni, torture e arresti sistematici che il regime di Nicolás Maduro compie contro gli oppositori.
Venerdì scorso è iniziato ufficialmente il nuovo mandato da presidente di Maduro, il terzo consecutivo dal 2013. Negli ultimi mesi Maduro ha fatto liberare, in più ondate, circa 1.400 delle oltre 2mila persone fatte arrestare nelle proteste contro i brogli elettorali alle presidenziali di fine luglio, presentando la cosa come un segnale di distensione.