I curdi siriani se la vedono brutta
Avevano conquistato nuovi territori sfruttando la ritirata dell'esercito di Assad: ora stanno subendo gli attacchi della Turchia e dei gruppi antiassadisti

Con la fine del regime di Bashar al Assad, i curdi siriani che vivono nel nord-est del paese si sono trovati in una situazione paradossale: attualmente controllano più del 30 per cento del territorio siriano, ma al tempo stesso non erano così isolati e indeboliti da anni e corrono il rischio di perdere buona parte del territorio e dell’autonomia che erano riusciti a ottenere. Dall’inizio dell’offensiva dei gruppi armati contro Assad, a fine novembre, la Turchia ha cominciato parallelamente una campagna di bombardamenti contro le postazioni dei curdi siriani più vicine al proprio confine, che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ritiene un pericolo per la propria sicurezza nazionale.
La Turchia ha anche utilizzato una milizia siriana sotto il suo controllo, l’Esercito nazionale siriano (SNA nell’acronimo inglese) per attaccare da terra le posizioni dei curdi. Nella mappa qui sotto si vede quello che sta succedendo.
A nord-est, in giallo, si vedono le zone controllate dai curdi. Sempre a nord, in blu, ci sono due aree dominate dalla Turchia e da gruppi filo-turchi: l’area più squadrata sulla destra è una “zona cuscinetto” che la Turchia ricavò nel 2019 invadendo con il proprio esercito il territorio curdo, mentre l’area sulla sinistra è una zona in buona parte dominata dal SNA. È proprio il SNA che si è mosso da ovest a est, sostenuto dai bombardamenti turchi, con l’apparente obiettivo di collegare tra loro le due aree in blu.
Il SNA sostenuto dai turchi il 1° dicembre ha conquistato Tell Rifat (pallino rosso), una cittadina vicina al confine con la Turchia; una settimana dopo ha conquistato Manbij (sempre pallino rosso), che era una delle “roccheforti” dei curdi: i curdi non controllavano il territorio attorno a queste due città ma soltanto i due centri urbani, che avevano riconquistato dall’ISIS nel 2016.
A un certo punto, martedì, era sembrato che il SNA avrebbe avanzato verso Kobane, una città nota per il modo in cui i curdi la difesero da un massacro dell’ISIS nel 2015, ma una tregua temporanea negoziata dagli Stati Uniti ha per ora bloccato gli attacchi. È tuttavia molto probabile che i combattimenti riprenderanno.
Contemporaneamente si stanno muovendo contro i curdi anche i gruppi armati antiassadisti che hanno fatto cadere il regime di Assad negli scorsi giorni. Hayat Tahrir al Sham, il principale di questi gruppi, ha annunciato mercoledì di aver riconquistato la città di Deir Ezzor (anche questa segnata con un pallino rosso nella mappa, più a sud), che i curdi avevano occupato soltanto pochi giorni fa dopo il ritiro precipitoso dell’esercito di Assad.
I curdi sono la quarta etnia più grande del Medio Oriente, tra 25 e 35 milioni di persone, e vivono distribuiti tra cinque paesi: Iraq, Siria, Turchia, Iran e Armenia. Non hanno uno stato proprio, e sono divisi tra questi quattro paesi in comunità che hanno vari gradi di autonomia (soprattutto per quanto riguarda il Kurdistan iracheno) e che partecipano in vari gradi alla vita politica del paese che li ospita. Durante la guerra civile in Siria, cominciata nel 2011 e finita questa settimana, i curdi siriani riuscirono a prendere il controllo della regione che abitano, il “Rojava”, versione breve di “Rojava Kurdistan” (cioè “Kurdistan occidentale”), e anche di altre zone limitrofe. Istituirono un governo autonomo e cominciarono a governarsi come uno stato separato dal resto della Siria.
Durante la guerra i curdi siriani costituirono un proprio esercito, le Forze democratiche siriane (SDF), che contiene al suo interno sia i principali gruppi armati curdi (come lo YPG, Unità di protezione popolare, la più famosa milizia curda) sia altre milizie locali e in molti casi formate da arabi. Le SDF sono anche sostenute dagli Stati Uniti, che usarono i curdi siriani come forza sul terreno per attaccare lo Stato Islamico negli anni in cui aveva formato un califfato tra Siria e Iraq. Tuttora centinaia di militari americani si trovano in Rojava come consiglieri militari o con compiti di supporto alle missioni contro le cellule rimanenti dell’ISIS.

Persone curde lasciano un campo profughi nel nord di Aleppo, in Siria, il 4 dicembre 2024 (Ugur Yildirim/DIA Images/ABACAPRESS.COM)
La Turchia però ha sempre visto la presenza dei curdi siriani ai propri confini come un pericolo, soprattutto per la vicinanza tra le SDF e il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), l’organizzazione indipendentista dei curdi turchi che è in guerra da decenni con lo stato, e ha commesso anche attacchi terroristici in Turchia. L’attuale comandante in capo delle SDF, Mazloum Kobane (nome di guerra di Mazloum Abdi), ha fatto parte del PKK ed è stato a lungo il principale collaboratore di Abdullah Ocalan, storico fondatore del PKK da anni in carcere in Turchia. Agli occhi della Turchia, non c’è differenza tra il PKK e le SDF.
Quando la guerra in Siria si cristallizzò, attorno al 2017, la situazione del paese raggiunse un certo equilibrio: la Turchia non poteva attaccare i curdi siriani, perché lo spazio aereo del paese era dominato dalla Russia alleata di Assad, e perché ogni tentativo di destabilizzazione avrebbe potuto provocare un nuovo riacutizzarsi del conflitto, e forse anche l’arrivo di nuovi profughi siriani in Turchia. Il paese attualmente ospita circa tre milioni di siriani scappati dalla guerra.
Quando il regime di Assad ha cominciato a sbriciolarsi davanti all’offensiva di Hayat Tahrir al Sham (un altro gruppo sostenuto dalla Turchia, anche se non c’è un controllo diretto come con il SNA) i curdi hanno inizialmente avanzato per riempire il vuoto di potere e controllo sul territorio lasciato dall’esercito assadista in fuga, e hanno occupato territori a ovest del fiume Eufrate, compresa la città di Deir Ezzor.
Immediatamente però sono cominciati i bombardamenti della Turchia e gli attacchi del SNA. L’offensiva (che abbiamo descritto poco sopra con la mappa) si è mossa lungo tutto il confine, e fa pensare che la Turchia intenda espandere ulteriormente la “zona cuscinetto” che già controlla all’interno del territorio siriano (la zona blu più a destra, nella mappa sopra).
Le SDF sono un esercito forte e ben addestrato, ma queste ritirate davanti al SNA mostrano come negli ultimi tempi i curdi siriani si fossero trovati a gestire e proteggere troppo territorio, e ora fatichino a mantenerlo.
A questo si aggiunge il fatto che anche Hayat Tahrir al Sham (HTS) ha cominciato a riprendersi quanto meno i territori che i curdi avevano occupato nell’ultima settimana, come la città di Deir Ezzor. Non è ancora chiaro in che modo il nuovo governo siriano – che con buona probabilità sarà dominato da HTS, un gruppo vicino alla Turchia – deciderà di trattare la presenza dei curdi nel nord-est del paese: se accettare la loro autonomia di fatto, negoziare nuovi accordi, oppure cercare di riprendersi il territorio.
I curdi non ripongono nemmeno troppe speranze nel sostegno degli Stati Uniti e nella presenza di truppe americane in Rojava: nel corso degli ultimi decenni più di una volta gli Stati Uniti hanno fatto affidamento sui curdi e hanno dato loro false speranze per poi abbandonarli. L’ultima volta successe nel 2019, quando l’amministrazione di Donald Trump ritirò gran parte dei suoi soldati dalla Siria e consentì alla Turchia di attaccarli, prendendosi la “zona cuscinetto” a nord-est.