La grossa offensiva dell’esercito israeliano nel nord di Gaza
Israele ha ordinato l'evacuazione di una zona in cui ci sono 400mila persone, e sta attaccando con bombardamenti e carri armati come non succedeva da mesi

L’offensiva militare avviata domenica dall’esercito israeliano nel nord della Striscia di Gaza è una delle più violente degli ultimi mesi: l’esercito ha attaccato varie località a nord della città di Gaza, tra cui il campo profughi di Jabalia e le vicine località di Beit Hanoun e Beit Lahia con l’intento, a suo dire, di colpire le infrastrutture di Hamas e i miliziani del gruppo che ancora si trovano in quella zona.
Gli scontri e i bombardamenti sono stati violenti: in pochi giorni l’esercito israeliano ha ucciso più di 100 persone e ha ordinato la chiusura di quasi tutti gli ospedali dell’area. Alcuni di questi ospedali, poi, sono stati assediati e bombardati. Israele ha ordinato anche a tutti gli abitanti della zona, che sono almeno 400mila, di abbandonare le proprie case e i propri rifugi per spostarsi nel sud della Striscia: è l’ennesimo ordine di trasferimento forzato imposto da Israele ai civili palestinesi che vivono nella Striscia, e copre un’ampia area densamente popolata.
L’offensiva di Israele si è concentrata soprattutto sul campo profughi di Jabalia, che benché venga tradizionalmente chiamato in questo modo è di fatto una città, con case in muratura a più piani, negozi e strade. Prima dell’inizio della guerra nel campo profughi vivevano quasi 120mila persone.
Nei giorni scorsi l’esercito israeliano è entrato a Jabalia con soldati e carri armati. È la terza volta che succede da quando è cominciata la guerra, il 7 ottobre del 2023: l’ultima volta, a maggio di quest’anno, provocò la quasi completa distruzione del campo e la morte di centinaia di persone. Nonostante questo, migliaia di persone nei mesi successivi sono tornate a vivere a Jabalia, e l’esercito israeliano sostiene che i miliziani di Hamas ne abbiano approfittato per riorganizzarsi e nascondersi lì.

Le rovine di un edificio di Jabalia dopo un bombardamento israeliano, il 5 ottobre (Abood Abusalama /Middle East Images)
I tre ospedali per i quali Israele ha ordinato la completa evacuazione sono l’ospedale Indonesiano, il Kamal Adwan e l’ospedale di al Adwa. Sono strutture che da tempo lavorano a regime ridotto a causa dei danni provocati dai bombardamenti e dagli attacchi precedenti, ma che comunque continuano a svolgere funzioni fondamentali. Secondo il ministero della Salute della Striscia (controllato da Hamas, ma ritenuto affidabile quando si parla di questo tipo di dati) nei tre ospedali si trovano 317 pazienti, di cui 80 incapaci di muoversi. Molti di questi ospedali, peraltro, non ospitano soltanto pazienti, perché nelle loro vicinanze spesso si formano delle tendopoli di persone che hanno perso la propria casa.
In questi giorni i medici e gli operatori degli ospedali stanno cercando di trasferire i pazienti, spesso in condizioni proibitive: neonati prematuri, persone anziane incapaci di muoversi vengono portate verso sud, anche in mezzo ai bombardamenti. Alcuni di questi ospedali sono già stati bombardati dall’esercito, che sostiene che vi si nascondano centri di comando di Hamas.
– Leggi anche: Dentro Gaza, con Sami al-Ajrami (originale in inglese)
La nuova offensiva israeliana ha inoltre costretto l’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi, a chiudere tutti i centri di accoglienza per gli sfollati, le cliniche e le scuole che aveva ancora in funzione nell’area. Da mesi ormai le scuole non sono più utilizzate per le lezioni, ma come rifugi per gli sfollati. Sempre secondo l’UNRWA, degli otto pozzi d’acqua presenti a Jabalia soltanto due sono ancora utilizzabili.
In questo contesto, la popolazione civile di Jabalia e delle altre località interessate dall’evacuazione si trova in condizioni disperate. Molte persone, inoltre, erano già state costrette a trasferirsi varie volte per sfuggire ai bombardamenti israeliani. Generalmente l’esercito indica ai civili delle zone sicure in cui andare, ma in molte occasioni anche queste sono state attaccate.

Civili scappano da Jabalia, l’8 ottobre (Mahmoud Issa/Quds Net News via ZUMA Press Wire)
«Sono stato costretto a trasferirmi più di 10 volte. Mi sono spostato di casa in casa, di scuola in scuola, sotto i bombardamenti e di strada in strada», ha detto a BBC Ahmed Leki, un uomo di 50 anni che vive a Jabalia. «Siamo completamente esausti, spossati. Non è rimasto niente. Dove possiamo andare? Abbiamo dei bambini piccoli e non c’è più un posto sicuro a Gaza, nemmeno un centimetro».



