L’eterno dibattito sui film doppiati

In Italia si dice spesso che abbiamo “i migliori doppiatori del mondo”: è difficile dire se sia così, ma di sicuro le versioni originali sottotitolate sono sempre più popolari

(Michele Borzoni/TerraProject/Contrasto)
(Michele Borzoni/TerraProject/Contrasto)
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In questi giorni è circolato molto il video dell’intervista a CiakClub in cui l’attore Elio Germano, uno dei più richiesti e apprezzati in Italia, dice di trovare «assurdo che esistano i film doppiati». Le sue parole hanno provocato reazioni piccate da parte di doppiatori e altri esperti del settore, che hanno fatto notare come il doppiaggio sia di fatto indispensabile per una distribuzione dei film che arrivi davvero a tutti. In generale quello sul doppiaggio è un dibattito che torna spesso con grande animosità in Italia, dove i film vengono da sempre doppiati più che in altri paesi, e dove è diffuso il luogo comune secondo cui ci sarebbero i doppiatori più bravi del mondo.

L’attaccamento culturale italiano ai film doppiati si scontra però di fatto da alcuni anni con la tendenza sempre più diffusa, soprattutto tra giovani e appassionati, a guardare i film stranieri esclusivamente in lingua originale. Nei cinema comincia a essere più frequente la programmazione di entrambe le versioni, e cominciano a esserci rari casi in cui, anche nei circuiti commerciali, si decide addirittura di rinunciare al doppiaggio. È stato così per esempio per uno dei film italiani del 2023 più discussi e riconosciuti in Italia e all’estero, Io Capitano, che è stato volutamente distribuito solo in lingua originale, wolof e francese, con i sottotitoli.

Nell’intervista Germano argomenta la propria posizione contro il doppiaggio dicendo che «i film sono ripresi in audio e in video quindi vanno visti così», e fa un paragone con la musica di artisti stranieri, che non ci verrebbe mai in mente di coprire con voci italiane. Alla fine dice che «se uno ama il cinema non è possibile vederlo doppiato». È una tesi che, per la radicata abitudine che c’è in Italia a guardare i film doppiati (anche quelli d’autore), risulta molto controversa ma che è sostenuta da sempre da gran parte degli esperti e degli appassionati di cinema. È incontestabile, infatti, che il doppiaggio alteri significativamente il risultato finale, cosa che per chi è interessato al valore artistico di film e serie è piuttosto difficile da ignorare.

Negli ultimi anni la critica al doppiaggio si è allargata anche a molti spettatori italiani “giovani” che – un po’ perché sanno bene l’inglese o altre lingue, un po’ guardando i film piratati su internet – si sono abituati ai sottotitoli e disabituati alle voci doppiate, e si professano molto integralisti quando si tratta di andare al cinema, ma anche di guardare i film on demand o sulle piattaforme. In questa bolla i tic e i meccanismi tipici del doppiaggio in italiano – come per esempio l’utilizzo di parole che nel linguaggio naturale non useremmo mai, ma che sono funzionali in fase di traduzione, o toni eccessivamente enfatici – sono diventati sempre più anche oggetto di scherno e parodie.

– Leggi anche: I sottotitoli stanno entrando nelle abitudini dei più giovani

A tutto questo si aggiunge che con i ritmi veloci e i budget ridotti delle piattaforme di streaming, negli ultimi anni è diventato più frequente vedere prodotti anche mainstream doppiati male e si è percepito un calo generale della qualità.

Cinetel, la società che raccoglie i dati su incassi e presenze nei cinema italiani, non fornisce report disaggregati che permettano di capire i comportamenti di chi va al cinema sulla base delle preferenze per le versioni originali o per quelle doppiate. Ci sono però alcuni segnali del fatto che i distributori si stanno muovendo con successo nella direzione di accontentare la nicchia sempre più nutrita di chi preferisce le prime, contribuendo ad allargare il fenomeno.

L’Anteo Palazzo del Cinema di Milano è uno di quelli che fanno più ingressi in Italia e il cui successo dopo la pandemia è stato dettato in buona parte anche dalla scelta di offrire per i film stranieri proiezioni sia in versione originale che doppiata, in pari quantità e in fasce orarie ugualmente richieste. Questo approccio funziona bene a Milano, che ha tutte le caratteristiche di una grande città europea ed è «attenta, curiosa, abitata da comunità straniere: qui la richiesta dei film in lingua originale c’era da prima della pandemia, ma dalle riaperture è cresciuta molto», spiega Sergio Oliva, responsabile della programmazione. «In provincia invece è diverso, anche perché meno persone vanno al cinema». Oliva riconduce questa tendenza anche al fatto che dopo la pandemia il pubblico anziano si è molto ridotto, ed è invece cresciuto quello più giovane.

Nei primi quattro mesi del 2024 su 236mila biglietti venduti dall’Anteo circa il 45 per cento era per film in lingua originale. Per fare un esempio recente Challengers, l’ultimo film di Luca Guadagnino (e in quanto tale molto atteso e pubblicizzato) girato in inglese, è uscito sia in lingua originale che doppiato: su 7724 biglietti venduti nei primi 23 giorni (il numero più alto tra i cinema italiani) oltre 6mila erano per vedere la versione in inglese sottotitolata. I film in inglese sono naturalmente più gettonati di quelli in altre lingue, ma per esempio Perfect days, il film di Wim Wenders in giapponese uscito a gennaio, è stato visto in versione originale dalla metà degli spettatori e le sale erano piene.

Nella maggior parte dei cinema italiani comunque le cose sono ancora molto diverse e le proiezioni dei film doppiati sono molto più richieste di quelle di film in lingua originale, che ci sono e sono più frequentate rispetto a una decina di anni fa, ma restano poche e solitamente programmate negli orari meno gettonati. Paolo Minuto, titolare della casa di distribuzione indipendente Cineclub Internazionale, dice che si incontra ancora una certa resistenza da parte dei cinema quando si propongono film solo in lingua originale. È comunque una cosa che succede poco: qualche volta con i film di circuiti indipendenti, mentre è rarissimo con film di grandi case di distribuzione. Quest’anno però è successo con Drive-Away Dolls, il primo film di Ethan Coen (uno dei due fratelli Coen) che Universal ha deciso di distribuire solo in inglese, e con Io Capitano appunto.

Minuto dice comunque che «la pervasività del doppiaggio nel cinema italiano non ha eguali, si doppiano anche film autoriali, cosa impensabile nel resto d’Europa: non c’è nessuna necessità di divulgare un film da festival doppiato, perché è cercato da chi lo vedrebbe in ogni caso e allora per me tanto vale farlo vedere nella sua versione autentica». Per la sua esperienza, dice, «quando un film interessa è difficile che qualcuno rinunci perché non lo trova doppiato».

Anche le piattaforme di streaming non diffondono dati sul numero di utenti che guardano i contenuti in originale o doppiati, ed è quindi impossibile dire se anche qui ci sia la stessa lieve tendenza che si vede nel pubblico del cinema. Quando uscì la serie di successo sudcoreana Squid Game, però, che per alcuni giorni rimase disponibile solo in lingua originale con i sottotitoli, divenne subito uno dei prodotti più visti. MUBI, la piattaforma di streaming dedicata al cinema d’autore, propone la maggior parte dei propri film solo in lingua originale con i sottotitoli, cosa che fa pensare che tra i suoi abbonati (che comunque sono più selezionati rispetto a quelli di altre piattaforme più commerciali come Netflix, Prime Video o Disney+) non ci siano particolari resistenze.

Quello che sta succedendo in Italia è per certi versi il contrario di quello che sta succedendo in altri paesi del mondo dove i film stranieri sono stati a lungo proiettati al cinema in lingua originale, con sottotitoli o altre forme di traduzione, e che solo negli ultimi anni, con la grande diffusione di contenuti permessa dalle piattaforme di streaming, hanno cominciato a essere doppiati più spesso. L’esempio più lampante è quello degli Stati Uniti, che hanno cominciato a porsi il problema per via delle sempre più frequenti serie tv spagnole, turche e sudcoreane (ma non solo) che negli ultimi anni hanno riscosso enorme successo internazionale e che dovevano poter essere viste da un pubblico più largo di quello che guarda film stranieri al cinema e che è abituato ai sottotitoli.

In Italia la tradizione di doppiare i film stranieri è iniziata quando, durante il ventennio fascista, Mussolini vietò la distribuzione di film in lingue diverse dall’italiano. L’industria del doppiaggio, che ha sede per la gran parte a Roma, si è strutturata molto presto e questo ha contribuito ad alimentare lo stereotipo – difficile sia da confermare che da smentire – secondo cui sarebbe la migliore al mondo. Sicuramente ha fatto abituare gli spettatori, più e meno appassionati, a guardare i film stranieri sempre doppiati e a considerare i sottotitoli come qualcosa di scomodo. Anche quest’ultima cosa sembra stia cambiando: le persone sentite dal Post hanno confermato che anche tra chi non ha particolare interesse a guardare i film al cinema in lingua originale c’è comunque più apertura di un tempo nei confronti di questa opzione, quando capita.

«Il luogo comune secondo cui il doppiaggio sarebbe un’abitudine solo italiana era forse vero fino a trent’anni fa, ma le cose sono cambiate e oggi è una grossa inesattezza», dice Daniele Giuliani, presidente dell’Associazione Nazionale Attori Doppiatori (Anad). L’anno scorso l’Anad ha fondato la United Voice Artists (UVA) per riunire le principali associazioni di categoria e i sindacati di doppiaggio di tutto il mondo: «oltre a paesi dell’Unione Europea (Francia, Spagna, Germania, Austria, Belgio, Polonia, Paesi Bassi), ne fanno parte Stati Uniti, Turchia, ma anche Taiwan, India e alcune associazioni di paesi africani: è oggettivo che i film si doppiano in tutto il mondo».

Il settore del doppiaggio insomma non sembra per il momento a rischio, né in Italia né all’estero. Gli stessi esperti che sostengono l’importanza di guardare i film in lingua originale, peraltro, sottolineano come sia fondamentale che il cinema rimanga uno spazio culturale a cui possano accedere più persone possibili, anche quelle che non vedono bene, a cui leggere i sottotitoli non piace o che sono ancora troppo piccole per farlo.