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  • Giovedì 9 maggio 2024

Al birrificio scozzese BrewDog è rimasto poco di punk

Nacque in opposizione allo status quo del mercato della birra, ma nel tempo l’azienda è finita in mezzo a vari scandali e oggi è come quelle che contestava

Pile di lattine della birra Punk IPA della BrewDog nello stabilimento di Ellon, in Scozia
Pile di lattine della birra Punk IPA della BrewDog nello stabilimento di Ellon, in Scozia (Jeff J Mitchell/ Getty Images)

Mercoledì James Watt ha annunciato le sue dimissioni da amministratore delegato di BrewDog, l’azienda scozzese conosciuta anche in Italia per le sue birre artigianali, tra cui la Punk IPA, la Hazy Jane e birre speciali come la Elvis Juice. Watt ha 41 anni ed è uno dei due fondatori del marchio, che da piccola startup indipendente è diventata la settima azienda produttrice di birra del Regno Unito. Nonostante i molti apprezzamenti e il successo internazionale, dell’atteggiamento controcorrente e sovversivo degli inizi di BrewDog è rimasto poco. Nel tempo infatti l’azienda si è fatta notare per le stesse strategie di marketing contro le quali aveva costruito la sua identità originaria, finendo al centro di scontri con le autorità britanniche così come di accuse da parte dei dipendenti.

La storia di BrewDog cominciò nel 2007 in una cittadina portuale a nord di Aberdeen, nel garage della madre dell’altro co-fondatore, Martin Dickie. Come raccontò Watt in un’intervista data al Guardian nel 2015, «nacque dal desiderio di cambiare la scena della birra nel Regno Unito, che era dominata da ale banali e lager piatte e noiose». Grazie a un prestito bancario Dickie e Watt, entrambi 24enni, cominciarono a vendere le loro birre nei mercati della zona a bordo di un furgone scassato, con un approccio che l’Independent ha definito «molto ‘noi contro loro’» e, sempre nelle parole di Watt, l’obiettivo dichiarato di «sfidare lo status quo, infiammare la scena e rinvigorire il campo della produzione di birra nel Regno Unito».

Le birre furono subito molto ben accolte e l’azienda raggiunse un accordo commerciale per la distribuzione nella catena di supermercati Tesco. Intanto Dickie e Watt si rivolgevano sia al pubblico che a potenziali investitori presentandosi come un’alternativa nel mercato delle birre industriali, usando un linguaggio informale e promuovendosi con campagne pubblicitarie forse geniali, ma anche controverse.

Nel 2009 l’azienda si scontrò per la prima volta con il Portman Group, l’ente del Regno Unito che promuove il consumo responsabile di alcol, a causa della Speedball, una loro birra chiamata come la combinazione di eroina e cocaina o crack. La vendita della Tokyo, da 18 gradi, fu vietata a causa di una scritta sull’etichetta che secondo il gruppo incoraggiava il consumo eccessivo di alcol: l’azienda rispose producendo la Tactical Nuclear Penguin (quella da cui prendono il nome i Pinguini Tattici Nucleari) e poi la Sink the Bismarck, rispettivamente da 32 e 41 gradi.

Nel frattempo aprì i suoi primi pub tra i centoventi attualmente attivi, che oggi impiegano più di 2mila persone (in Italia ce n’è uno a Bologna). Per l’apertura del primo di Londra, Dickie e Watt guidarono un carro armato su Camden High Street. Per convincere i pub inglesi a offrire la pinta riempita per due terzi, come misura per gestire il consumo di alcol, fecero invece sfilare davanti al parlamento una persona affetta da nanismo con un cartello che diceva “Size matters”, le dimensioni contano. Nel 2017 regalarono agli investitori statunitensi che avevano investito di più nell’azienda bottiglie di birra infilate nei cadaveri tassidermizzati di lepri e scoiattoli uccisi per strada, attirando comprensibilmente le critiche delle associazioni animaliste, ma non solo.

Nel tempo le strategie di marketing dell’azienda le causarono sempre più problemi. Nel 2013 ricevette un richiamo dall’autorità che si occupa di pubblicità nel Regno Unito per aver usato sul sito termini ritenuti offensivi, come “motherfucker”, “tits” e “bastards” (pezzo di merda, tette, bastardi). L’anno successivo BrewDog fu accusata di omofobia per l’etichetta della birra Hello My Name is Vladimir, prodotta nell’ambito di una campagna contro la repressione dei diritti LGBTQ+ in Russia in vista delle Olimpiadi invernali di Sochi, che aveva scritto “not for gays”, non adatta alle persone gay.

Ricevette critiche anche per il lancio nel 2017 della Pink IPA, una birra rivolta soprattutto alle ragazze per diffondere consapevolezza sul cosiddetto “gender pay gap”, il fatto che le donne vengono pagate meno degli uomini: furono però criticati da chi sosteneva che perpetuasse idee sessiste. I due fondatori vennero inoltre accusati di transfobia per un video promozionale di due anni prima ambientato in una specie di distretto a luci rosse, che fu interpretato come discriminatorio e caricaturale.

In risposta, l’azienda pubblicò un comunicato in cui diceva di «non poter né voler garantire che prima o poi non [avrebbe] offeso i seguenti gruppi a causa dei [nostri] pregiudizi radicati e sinceri», citando tra gli altri «i birrifici che si sono venduti, i cantautori, le banche, i gatti sovrappeso, i despoti omofobi, i nazisti (varianti vecchie e nuove), e chiunque sia responsabile dei cattivi odori provenienti dal frigo».

– Leggi anche: Le birre IPA non se ne andranno a breve

Alle critiche comunque nel tempo si sono accompagnate controversie che hanno segnato un progressivo allontanamento dall’approccio “punk” degli inizi. Il 2017 fu l’anno in cui il 22 per cento dell’azienda venne venduto a una società di investimenti e lo stesso in cui BrewDog minacciò di fare causa per violazione del copyright a un pub di Birmingham che si chiamava Lone Wolf, come il loro nuovo marchio di vodka. Fece lo stesso con una società di Leeds che cercò di registrare il marchio “Draft Punk”, sostenendo che non potessero farlo, visto che loro avevano il marchio registrato “Punk”.

Nel 2021, poi, decine di ex dipendenti dell’azienda denunciarono in una lettera aperta condivisa su Twitter come l’azienda favorisse una «cultura della paura», in cui i lavoratori venivano «trattati come oggetti». Nel post si diceva che spesso negli stabilimenti e nei pub non si rispettavano i protocolli di sicurezza, che la cultura aziendale non rispecchiava i valori pubblicizzati e che l’ambiente di lavoro era tossico. Si accusava in particolare Watt di atteggiamenti da bullo e di aver favorito un sistema aziendale spregiudicato e basato sul «culto della personalità» dei suoi fondatori.

L’azienda si scusò pubblicamente, ma finì di nuovo al centro di polemiche a causa di The Truth About BrewDog, un documentario del programma di BBC Disclosure in cui si vedeva Watt minacciare velatamente conseguenze per gli ex dipendenti che avevano criticato l’azienda. BrewDog presentò anche un reclamo contro il programma all’autorità che regolamenta le telecomunicazioni nel paese (Ofcom), che però lo respinse. In seguito alle accuse le venne tolto il cosiddetto B Corp status, una certificazione con cui si riconosce l’impegno di un’azienda in politiche in favore dell’ambiente, dello sviluppo sociale e dell’attenzione verso i dipendenti.

Un addetto del birrificio BrewDog di Tower Hill a Londra

Un addetto del birrificio BrewDog di Tower Hill a Londra (Hollie Adams/ Getty Images)

Come ha notato il Guardian, ci sono altri aspetti che cozzano con l’approccio controcorrente degli inizi: tra questi ci sono l’accordo commerciale fatto con Budweiser per l’espansione di BrewDog in Cina e il fatto che Watt abbia investito 500mila sterline in Heineken, una delle principali aziende a cui la sua startup voleva fare la guerra. Watt, che al momento possiede il 21 per cento della società, è anche stato visto alla festa di compleanno dei 60 anni di Nigel Farage, il politico britannico di estrema destra noto per il suo sostegno all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

L’ultima decisione contestata di BrewDog è stata quella di inizio 2024 di assumere tutti i nuovi dipendenti al salario minimo previsto per legge, cioè 11,44 sterline all’ora (circa 13,30 euro), anziché quello modificato tenendo conto del costo della vita, cioè 13,15 sterline a Londra e 12 nel resto del paese. Il risultato è che i dipendenti di BrewDog fuori città vedranno il proprio stipendio aumentare in media del 5 per cento (da 10,90 sterline a 11,4), mentre quelli che lavorano in uno dei 21 pub di Londra avranno di fatto una paga inferiore a quella riconosciuta abitualmente, al momento 11,95 sterline. L’azienda l’ha definita una misura «necessaria» per far fronte alle perdite operative del 2022, di 24 milioni di sterline (28 milioni di euro).

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