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  • Domenica 14 aprile 2024

Le scarpe in fibra di carbonio hanno rivoluzionato la corsa ad alti livelli

In pochi anni hanno permesso di battere record su record e si sono diffuse anche tra atleti non professionisti, anche se non sono adatte a tutti

Un'atleta indossa delle Nike Vaporfly durante la maratona di Doha, in Qatar, il 28 settembre del 2019
Un'atleta indossa delle Nike Vaporfly durante la maratona di Doha, in Qatar, il 28 settembre del 2019 (REUTERS/ Ibraheem Al Omari)
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Il primo uomo a correre una maratona in meno di due ore nel 2019, il keniano Eliud Kipchoge, aveva una cosa in comune con Marcell Jacobs, che nel 2021 vinse la medaglia d’oro nella finale dei 100 metri piani alle Olimpiadi di Tokyo: le scarpe in fibra di carbonio. Da quando queste “super scarpe” sono state messe in commercio hanno rivoluzionato l’atletica ad alti livelli, contribuendo all’accumularsi di molti nuovi record e provocando anche qualche dibattito. Ma hanno cominciato a essere acquistate anche da non professionisti attirati dall’idea di poter migliorare le loro prestazioni, sebbene non siano adatte a chiunque.

Le scarpe da corsa in fibra di carbonio più famose sono probabilmente le Nike Vaporfly, come quelle usate appunto da Kipchoge durante la maratona di Vienna del 2019, in condizioni che però non permisero di registrare il suo tempo come record ufficiale. Modelli come questi hanno una lamina fatta di carbonio inserita nell’intersuola, cioè la parte di scarpa tra suola e tomaia, ma ce ne sono anche con delle specie di cannucce di carbonio che seguono la forma delle dita del piede, come le Boston 10 di Adidas.

Queste scarpe permettono di ridurre la dispersione di energia ogni volta che un piede tocca terra, funzionando in sostanza come una specie di molla che dà una spinta in avanti a chi le indossa. Per questo, come dimostrato da alcuni studi, migliorano la meccanica dei movimenti e l’efficacia della corsa: indossandole si fanno insomma passi più alti e più lunghi, con meno pressione sui piedi e sulle caviglie. Il risultato è che usare scarpe in fibra di carbonio nei 42 chilometri e 195 metri di una maratona non comporta un vantaggio «di qualche secondo o decimo di secondo, ma anche di diversi minuti», ha notato in un recente articolo il Guardian.

Da quando nel 2016 hanno cominciato a essere introdotti i primi prototipi di scarpe in fibra di carbonio, e soprattutto a partire dal 2019, le conseguenze sono state significative, in particolare sulle lunghe distanze. Quattordici dei quindici tempi migliori di sempre nella maratona maschile sono stati stabiliti da persone che le indossavano (ovviamente, essendo uno strumento consentito, le indossano ormai praticamente tutti ai massimi livelli); soltanto uno, stabilito dal kenyano Dennis Kimetto a Berlino nel 2014, è precedente alla loro introduzione.

In una corsa di 42 chilometri i fattori che determinano la prestazione sono molteplici, ed è inoltre naturale che con il progredire delle tecniche di allenamento i tempi degli atleti migliorino. L’accumularsi di nuovi record nella maratona, quindi, ha probabilmente anche altre motivazioni, e non è da ricondurre unicamente alle scarpe in fibra di carbonio. Ma non ci sono molti dubbi su quanto abbiano avuto un ruolo determinante: per fare un esempio, nel 2019 la keniana Brigid Kosgei – che le indossava – stabilì il nuovo record della maratona femminile correndo quella di Chicago in 2 ore, 14 minuti e 4 secondi: 81 secondi in meno del record precedente, della britannica Paula Radcliffe, che era rimasto imbattuto per 16 anni.

Uno scarto simile è un’enormità per la disciplina. Con il perfezionarsi e l’aggiornarsi dei modelli di scarpe in fibra di carbonio, e il parallelo adattarsi degli atleti al loro utilizzo, è stato addirittura ampliato. Il record stabilito nel 2019 da Kosgei, che indossava un modello dell’epoca di Nike Vaporfly, è stato infatti battuto altre quattro volte negli anni successivi, e il più recente, stabilito nel 2023 a Berlino dall’etiope Tigist Assefa (che aveva invece un paio di Adidas Adizero Adios Pro Evo 1), lo ha migliorato di oltre due minuti.

Indossava scarpe con piastra di carbonio anche Kelvin Kiptum, l’atleta keniano morto lo scorso febbraio in un incidente stradale che detiene l’attuale record mondiale della maratona maschile, con 2 ore e 35 secondi corsa sempre a Chicago nel 2023.

Quelle in fibra di carbonio sono scarpe studiate e progettate per atlete e atleti che corrono ad alti livelli, perché per poterle sfruttare a pieno bisogna avere un minimo di tecnica, correre veloce e appoggiare soprattutto l’avampiede, visto che è così che ci si dà la spinta. Sono però sconsigliate se si corre poco e lentamente, così come per chi pesa troppo: eppure stanno avendo un buon successo commerciale anche tra amatori che semplicemente vogliono provare a migliorarsi.

Quando a gennaio sono state messe in vendita online le Nike Alphafly 3 che Kiptum aveva indossato nella versione prototipo a ottobre, sono andate esaurite in pochi minuti in tutta Europa. A settembre erano finite nel giro di poche ore anche le Evo 1 di Adidas, che costavano 500 euro o 400 sterline nel Regno Unito, dove a gennaio sono state messe di nuovo in commercio per 50 sterline in più e sul mercato secondario si trovano anche a 2.500. Ormai tutti i marchi di abbigliamento sportivo più importanti hanno almeno un modello in fibra di carbonio: non solo Nike e Adidas, ma anche Puma, New Balance e Diadora.

Modelli come questi hanno cambiato anche l’estetica delle scarpe da corsa, che prima erano piuttosto minimali, mentre ora in confronto ricordano dei Moon Boot, scrive sempre il Guardian citando il celebre marchio di doposci e alludendo allo spesso strato di schiuma che hanno sotto il tallone. In base alle regole della Federazione mondiale di atletica leggera, World Athletics, la suola della scarpa sotto al tallone comunque non può essere più alta di 40 millimetri, e al suo interno non ci può essere più di una piastra di carbonio.

Un atleta tiene in mano le sue Nike Vaporfly dopo la fine della maratona di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, il 24 gennaio del 2020

Un atleta tiene in mano le sue Nike Vaporfly dopo la fine della maratona di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, il 24 gennaio del 2020 (REUTERS/ Christopher Pike)

«Non c’è dubbio» che se si sta cercando di migliorare un record in una maratona si sceglierebbe «una super scarpa, perché permette di risparmiare due minuti», ha detto sempre al Guardian Andy Dixon, il direttore della rivista Runner’s World nel Regno Unito. Per i critici usarle è un po’ come barare, anche se per World Athletics il vantaggio che danno a chi le usa non può essere considerato “ingiusto”; chi le apprezza invece sostiene che possano contribuire a rendere più accattivanti corse lunghe e a volte noiose come le maratone. Per quanto rendano più efficace la corsa comportano comunque qualche rischio.

Come ha notato Jay Dicharry, fisioterapista e ricercatore di biomeccanica all’Università dell’Oregon, se durante la corsa si è composti e si ha un buon controllo del piede e della caviglia allora queste scarpe possono funzionare: diversamente «una super scarpa ingigantirà notevolmente l’instabilità» di chi la indossa. Il podologo Amol Saxena ha poi ricordato che la piastra in carbonio non si adatta perfettamente a tutti i piedi, con il risultato che sul lungo periodo in alcune persone può procurare disagi o infiammazioni. Al momento non esistono elementi per dire con certezza che queste scarpe provocano lesioni, ma alcuni studi hanno collegato il loro utilizzo a fratture da stress, fascite plantare, problemi al tendine d’Achille e più in generale a disturbi al piede e alla parte inferiore della gamba.

A ogni modo anche la maggior parte delle atlete e degli atleti professionisti tende a usarle solo durante le gare e molto poco durante gli allenamenti. «Ovviamente ti fanno andare più veloce, che in gara è un grande vantaggio», ha detto Rose Harvey, la quinta maratoneta inglese più veloce di tutti i tempi, che correndo con le Nike Vaporfly ha abbassato il suo record personale di circa cinque minuti. «Ma il vantaggio principale durante l’allenamento è solo il tempo di recupero», visto che permettono di allenarsi in maniera intensa facendo un po’ meno fatica. «Prima, dopo una maratona, non sarei stata in grado di camminare per una settimana. Ma dopo Chicago correvo già il giorno dopo, e le gambe non erano così malconce».

In ogni caso si tende a usarle il meno possibile sia perché costano molto, dai 250-300 euro in su contro i 150-200 di scarpe da corsa molto buone ma senza fibra di carbonio, sia perché le prestazioni del sistema di ammortizzazione calano più in fretta.

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