Mambrici, Calabria, A.D. 2024

«I mambricesi li chiamano apatici e ignoranti, se va bene, collusi e con mentalità mafiosa, se va male. Ma sono tutti in trappola, a negoziare dove stare ogni giorno. Tu che vorresti solo vivere bene, il tuo mantra, in mezzo a uno stato, una chiesa e una mafia che almeno in una cosa si assomigliano: quell’ambiguità, quell’ambivalenza, per cui tutti possono avere tante facce e per cui tutto si può negoziare, soprattutto l’onore. Con la differenza che la morale non segue sempre il diritto e soprattutto non segue sempre la stessa via. La morale qui si allinea con il vantaggio a breve termine, quello che ti fa vivere bene, in pace, almeno oggi, visto che domani dovrai capire di nuovo – come ogni giorno, tanto che ormai neppure te ne rendi più conto – da che parte stare»

La Calabria fotografata da un satellite della NASA, 29 ottobre 2002 (NASA/Terra Satellite/Getty Images)
La Calabria fotografata da un satellite della NASA, 29 ottobre 2002 (NASA/Terra Satellite/Getty Images)

Quando in televisione o sui giornali si parla di ’ndrangheta, ci si illude che in Calabria il problema sia inquadrabile come una lotta del bene contro il male – mafiosi cattivi contro popolazione oppressa e magistrati eroici. Consola forse pensare che sia sufficiente combattere la mafia per “liberare” i tanti paesini che soffrono per questo “cancro” o “virus”, causa di infezione in un organismo altrimenti bello e sano.

Le cose non stanno così. Non nei paesi che la ’ndrangheta la respirano, subiscono e a volte supportano per motivi forse difficili da capire, da fuori, ma assolutamente comprensibili da dentro. E questo nonostante il lavoro intenso che alcune associazioni antimafia in Calabria svolgono sul territorio, giorno dopo giorno, ma che richiederebbero politiche sociali più mirate, capillari, di ampio respiro.

Per raccontare questa realtà parliamo di un paese immaginario che, ai fini della narrazione, è un po’ tutti i paesi della Calabria. Non sta sulla carta geografica ufficialmente, ma le sue vicende e i suoi personaggi si possono ritrovare un po’ ovunque, amalgama di tanti paesi tra le insenature della Costa degli Dei di Capo Vaticano, o della Costa Viola che sta più giù, e le gole dell’Aspromonte. Lo possiamo chiamare Mambrici, come lo «sventurato paese senza storia e scansato dal progresso» del romanzo Liberandisdòmini di Pantaleone Sergi che racconta di una Calabria a cavallo tra Ottocento e Novecento, dove la vita scorre immutata fino al terremoto del 1905 che distrugge il paese e le sue storie. Il nome di fantasia ci aiuta a non stigmatizzare uno dei tanti paesi reali e a sottolineare che molte cose sono comuni.

Per parlare di Mambrici, paese di fantasia dove le storie sono però tutte realmente accadute, possiamo usare lo sguardo di un suo abitante, una persona onesta, nata e cresciuta a Mambrici, appunto, dove ancora abita o spesso torna. Tra mafia, processi, collusioni, inciampi e apatia, a Mambrici oggi non si va neanche più volentieri in piazza al bar.

A Mambrici si arriva in macchina, sta in collina e non c’è il treno. Quell’arco, con la scritta un po’ sbiadita da decenni, pubblicità e marchio ormai divenuto familiare, quasi non si nota più. Quel marchio che chi non è di queste parti conoscerebbe di fama – ma che, a chi è di qua, racconta una storia un po’ diversa.

Parcheggi in piazza, c’è sempre poco movimento a prescindere dalla stagione; nessuno ti saluta ma tutti ti guardano. Ti guardano se sanno chi sei ma non hanno confidenza, e ti guardano se non sanno chi sei tra curiosità e sospetto. Quando li guardi tu smettono di guardarti, oppure abbozzano un saluto. Qui la gente è ospitale e educata.

I mambricesi saranno sì e no duemila. Non sembrano soffrire di stare ai margini della storia e del progresso. Non lo salverebbero nemmeno i santi scesi dal paradiso, Mambrici, ma i suoi abitanti sanno che in fondo è normale. Perché normale significa frequente, atteso, prevedibile.

A Mambrici non si va neanche più volentieri al bar, appunto. Se ti vedono vicino a Tizio o a Caio, finisci sui giornali – o peggio, in caserma – e non sai bene perché. O meglio, forse in fondo lo sai pure perché, e non sei nemmeno tanto d’accordo, ma meglio non pensarci. Ma Tizio è uscito dal carcere in libertà vigilata? E Caio ha l’obbligo di dimora? Sì, meglio evitare, e cercare di risolvere quei pochi problemi che si possono risolvere. Per esempio, la questione della bolletta della luce. Come se tu non sapessi che i vicini si sono allacciati a casa tua, abusivamente, dalla parte in cui il tuo terreno tocca il loro, e dovrai inventarti qualcosa per non pagare certe cifre esose, o per fargli capire che è opportuno che si attacchino a qualcun altro. Ma hai anche paura, perché non sai come possono reagire; qui la discordia privata può diventare violenza – come quell’uomo fatto saltare in aria anni fa mentre andava alla sua macchina, per via di una questione di terreni – e se loro hanno chi li protegge, tu non hai la stessa fortuna. O sfortuna. Vorresti solo vivere bene, una vita normale. È il tuo mantra, come quello di tanti compaesani, vivere bene. Cosa non si fa qui a Mambrici, per vivere bene.

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Li hai visti il mese scorso al funerale di una donna ammazzata non si sa bene perché, dicevano che voleva andarsene via. C’era anche Lui, che tutti sanno chi è Lui anche se non si vedeva da tempo. Una persona quieta, non bestemmia mai, saluta sempre, ha una faccia rubiconda e una condanna per omicidio e per mafia, che lo ha tenuto fuori da Mambrici per due decenni. È una brava persona, però, lo dicono tutti. E in fondo lo pensi anche tu, tutto sommato. Cosa mai può rendere un mafioso come Lui una brava persona? Proprio quella sfilza di «tutto sommato» e affini. «Tutto sommato» è una persona quieta, «in fondo» non bestemmia mai, «nonostante tutto» saluta sempre. Ma c’è di più. È una brava persona, in fondo, tutto sommato, nonostante tutto, perché nell’immediatezza dei saluti per strada non porta caos, ma obbedisce all’ordine costituito delle cose, come dovrebbero essere, come sono da decenni. E a Mambrici si ha bisogno e voglia di calma e ordine. Come ti ha detto un tuo amico, se lo fanno i carabinieri – di mantenere l’ordine – o lo fa Lui, in fondo va bene lo stesso. Non c’è autorità riconosciuta a priori qui, nemmeno quella dello stato. E se Lui ha ucciso, quelli, in fondo – nonostante tutto – tutto sommato, sono fatti suoi. Faccende private, così le chiamano i tuoi amici, che vicino a Lui ci hanno abitato tutta la vita.

Una brava persona, persino un mafioso, si misura anche dalle comparazioni con gli altri, pure loro mafiosi. Prendi suo fratello, oppure suo nipote, teste calde, violenti con le mogli. Quelli no, non sono brave persone, nemmeno in fondo, nemmeno nonostante tutto, nemmeno tutto sommato. Anche i mafiosi sono persone, e possono essere simpatiche, antipatiche, brave persone o no.

Accanto a Lui durante il funerale di quella donna c’era il signor Marchio. Un’altra brava persona, che non si capisce se chiude un occhio o l’occhio non gli funziona proprio, ma sta sempre a cavallo delle strisce, sempre ambiguo, un po’ con loro, un po’ no. Al seggio elettorale con il fratello di Lui anni fa, candidato a sindaco. Davanti alle telecamere come vittima di ’ndrangheta. La ’ndrangheta, qui a Mambrici, è tutto un gioco di dentro-fuori, di chi parte e di chi torna, di chi – non si sa bene come – sta sempre qui, nonostante i processi, il carcere, le fughe. Il signor Marchio dà lavoro a tanti qui a Mambrici, che sia vittima del territorio o alleato coi carnefici, rimane una brava persona, qui nell’immediato del «buongiorno, buonasera compare, a casa tutto bene?»

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Lui è tuo zio. Alla lontana, da parte di madre. E tua madre gli vuole bene, nonostante tutto, tutto sommato, in fondo. Lei se ne sarebbe voluta andare «all’Australia», quando era bambina, con un altro fratello, Paolo, che pochi anni fa da anziano è tornato. «U zi Paolu» era un uomo d’onore e faceva parte dell’Onorata in Australia, e pare che in Australia per poco non fosse finito nei guai. Lì c’è un paese, Griffith, nel Nuovo Galles del Sud, dove molti calabresi si sono sistemati, e dove fu ucciso un uomo, un politico. Erano gli anni Settanta, e «U zi Paolu» aveva dato a un certo Domenico e a un certo Antonio e a un certo Francesco dei soldi che non si sa dove aveva preso. Molti pensarono che fossero per ordinare quell’omicidio, ma tutti accettarono che non si sarebbe mai saputo davvero, e non furono processati.

Tra chi accetta una versione e chi ne accetta un’altra c’è anche tua madre. L’ambiguità dell’onore di una persona a Mambrici si governa come l’incertezza: con l’informalità delle relazioni che varranno sempre di più dell’ufficiosità della sentenza o del comunicato stampa o del calcolo delle probabilità. Perché qui fidarsi è un lusso, e chi lo dice che non ci si può fidare di un mafioso più che di un carabiniere? Sapete cos’è la fiducia? Quella che ogni giorno portava tua madre a essere sicura che «U zi Paolu» sarebbe stato seduto  a salutare la gente, coerente ed educato con tutti. Non necessariamente quella del maresciallo che un giorno ti aiuta con le buste della spesa e il giorno dopo ti arresta il nipote.

In questi mesi decine e decine di persone, metà di Mambrici e molti altri con parenti o amici a Mambrici, stanno a processo. Natualmente c’è anche Lui. Di mezzo ci sono cocaina importata dalla Colombia, estorsione e intimidazione tipiche della ’ndrangheta. Ma tu non ci capisci granché perché ogni volta che senti parlare in tv, su Internet e sui giornali della famiglia Mistretta – la famiglia di ’ndrangheta che dicono governi Mambrici – non capisci di chi stanno davvero parlando. Ci sono talmente tante famiglie Mistretta qui, sono tutti parenti. La metà di loro nemmeno si rivolge la parola da dieci anni, «stanno litigati» per questioni di eredità, di potere familiare, inimicizie tra le donne e tra i figli. Insomma, chi sarebbe questa famiglia Mistretta che fa soldi, gestisce carichi di cocaina, intimidisce e soprattutto uccide se qualcuno si mette in mezzo? Senti poi i nomi, alcuni con cognome Mistretta e alcuni no, e a parte qualche sorpresa in fondo sono quasi sempre le stesse persone, alcuni poco di buono e alcuni che poco ti aspettavi. Ma sarebbe questa la ’ndrangheta padrona del mondo? Chiu stortu ca mancu riuscia pemmu camina a dritta (quello stupido che manco riusciva a camminare diritto). O forse la ’ndrangheta è solo quella poca, pochissima gente come Lui, o come «U zi Paolu», che hanno la parola che pesa di più.

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Se questa è la ’ndrangheta da rifiutare e combattere, non sei tanto sicuro di sapere come si fa a essere eroi. Se anche ti mettessi in piazza a dire «La famiglia Mistretta è mafiosa, ribelliamoci!», qualcuno dei tuoi compaesani capirebbe davvero di chi e cosa stai parlando? E cosa significa poi ribellarsi? Ci si può ribellare a un potere di cui non vedi bene la sorgente ma solo alcune ricadute, non sempre negative? Per esempio, se per ribellione smetti di andare dal benzinaio di un tizio che appartiene a una delle famiglie Mistretta «chiacchierate», dove paghi sempre meno che altrove, gli fai davvero un dispetto? Ché poi tocca a te, non a loro, guidare per 15 chilometri per trovare un altro benzinaio. E se smetti di andare a quel ristorante, dove va Lui anche a notte fonda per le sue riunioni, il torto – alla fine – lo fai solo al signor Giuseppe, che in quel ristorante ha investito i risparmi di una vita e ci lavoro ogni giorno. In fondo Lui è un cliente che gli porta soldi, cosa dovrebbe fare, mandarlo via? E poi paga sempre. Certo, qualcuno della sua famiglia allargata va via senza pagare, arroganti. Non sono tutti uguali, questi Mistretta. Non si sa mai bene chi si ha davanti, con loro. E la stessa cosa vale per quella questione per cui ci è andato di mezzo il sindaco, che ha dovuto decidere se affidare il rifornimento della mensa scolastica all’azienda ufficialmente legata ai Mistretta – con tanto di interdittiva antimafia – o all’azienda in odore di Mistretta ancora senza interdittiva, per ora, probabilmente per poco. Che scelte sono, ti chiedi, e che antimafia è mai questa,  che porta a scegliere solo di quale morte morire e con che velocità.

Quella donna del funerale, che non vedeva via d’uscita, forse un po’ ti assomiglia, in certi momenti, e un po’ assomiglia a tutti i mambricesi. S’era affidata al prete, ma il prete qui condanna chi denuncia. E ora è in carcere pure il prete: la magistratura nell’ultima retata ha arrestato sia il prete sia un’altra donna che al prete si era affidata, ma che faceva d’autista a Lui.

I mambricesi li chiamano apatici e ignoranti, se va bene, collusi e con mentalità mafiosa, se va male. Ma di fatto sono tutti in trappola, a negoziare dove stare ogni giorno. Tu che vorresti solo vivere bene, il tuo mantra, in mezzo a uno stato, una chiesa e una mafia che almeno in una cosa si assomigliano: quell’ambiguità, quell’ambivalenza, per cui tutti possono avere tante facce e per cui tutto si può negoziare, soprattutto l’onore. Con la differenza che, nel governare l’incertezza, la morale non segue sempre il diritto e soprattutto non segue sempre la stessa via. La morale, a Mambrici, si allinea con il vantaggio a breve termine, quello che ti fa vivere bene, in pace, almeno oggi, visto che domani dovrai capire di nuovo – come ogni giorno, tanto che ormai neppure te ne rendi più conto – da che parte stare.

Per stare in pace fai la fila dal tabaccaio per pagare la bolletta della luce e davanti a te c’è Lei, la moglie di Lui. Le chiedi come stanno i bambini, è affabile, fate due battute sul commissario prefettizio e concludete insieme: «chiu curnutu», quel cornuto.

Non ci salverebbero nemmeno i santi scesi dal paradiso.

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Anna Sergi
Anna Sergi

È professoressa ordinaria di criminologia all’Università di Essex, nel Regno Unito. Nata e cresciuta in Calabria sicuramente anche per questo si occupa principalmente di 'ndrangheta, sia in Italia che nel mondo. Ha scritto libri e articoli scientifici su temi legati alla criminalità organizzata calabrese in Australia, Canada e in Europa e sui traffici di cocaina nelle città portuali. Appassionata di scrittura e comunicazione analitica anche in forme alternative all’accademia, tra le altre cose ha curato, insieme a Stefano Nazzi, il podcast in tre puntate Le Onorate: donne dentro e contro la 'ndrangheta per Il Post, sponsorizzato da Disney+. Nel 2023 ho vinto l'Early Career Award della Società Europea di Criminologia (European Society of Criminology, ESC) per l’eccellenza scientifica entro i dieci anni dal dottorato di ricerca. È appassionata di porti, di viaggi, di libri, di mare, e di memoria.

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