Che cos’hanno in comune i tizi famosi?

«Ho visto un paio di volte Jennifer Lopez, una sul tappeto rosso, una su Zoom. A Los Angeles era giorno pieno, io ero a una festa, a Palermo. Gli amici erano tutti gasati. Quella è stata la sera che mi ha fatto capire che i famosi sono tutti uguali o quasi»

Il selfie con più tizi famosi della storia postato su Twitter da Ellen DeGeneres (al centro) durante la cerimonia degli Oscar 2014. Da sinistra Jared Leto, Jennifer Lawrence, Channing Tatum, Meryl Streep, Julia Roberts, Kevin Spacey, Brad Pitt, Lupita Nyong'o, Angelina Jolie, Peter Nyong'o Jr. e Bradley Cooper. (Ellen DeGeneres via Twitter)
Il selfie con più tizi famosi della storia postato su Twitter da Ellen DeGeneres (al centro) durante la cerimonia degli Oscar 2014. Da sinistra Jared Leto, Jennifer Lawrence, Channing Tatum, Meryl Streep, Julia Roberts, Kevin Spacey, Brad Pitt, Lupita Nyong'o, Angelina Jolie, Peter Nyong'o Jr. e Bradley Cooper. (Ellen DeGeneres via Twitter)
Mattia Carzaniga
Mattia Carzaniga

Brianzolo, classe 1983, si occupa di cinema per Rolling Stone Italia. Collabora con diverse testate, e ha scritto L’amore ai tempi di Facebook (con Giuseppe Civati, Zelig, 2009) e Facce da schiaffi (add editore, 2011). Dal 2021 per Rai Movie accoglie registi e attori sul tappeto rosso dei festival di Venezia e Roma.

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L’ultimo è stato un attore di seconda fascia sulla spiaggia di un’isola, all’inizio della scorsa estate. Lui si faceva gli affari suoi, è stato il fidanzato a incrociare i nostri occhi, a un certo punto, e a fissarci come per dire: so che voi sapete che io sto con quello famoso. I famosi sono tutti uguali o quasi, e fra poco ci arrivo; ma di certo sono tutti uguali o quasi quelli che ai famosi si accompagnano, che cercano un bagliore di quella luce rifrangente, che trovano il loro posto al sole senza fare la fatica che fanno i famosi. E che non vedono l’ora di incrociare i tuoi occhi, e di fissarti come per dire: so che tu sai che io sto col famoso – che il famoso sia un amico, o un amante, o un cliente in quanto tu suo addetto stampa (quelli sono i più cattivi di tutti, quelli che più si sentono famosi – anche più dei famosi stessi – perché stanno in prossimità dei famosi).

I famosi sono tutti uguali o quasi. Di famosi, qualunque cosa significhi essere famosi oggi, ne ho visti tanti. Li ho incontrati dentro le loro camere d’albergo, li ho visti lavorare sui set, ci ho sbattuto contro sui tappeti rossi. Coi famosi ci ho parlato, ci sono uscito a pranzo e a cena, e a fine pasto ho visto i ristoratori chiedergli la foto da appendere dietro la cassa (o, più presumibilmente, da postare su Instagram: ma lasciatemi quell’illusione vintage). I famosi li ho intervistati e a un certo punto ho spento il registratore per dire «questo ce lo teniamo per noi», «we keep this between us», che è un modo per farti sentire un po’ più vicino a loro, un po’ più splendente, un po’ famoso pure tu. Di famosi ne ho visti tanti e ho capito che famosi è meglio non esserlo, specie oggigiorno, con tutti quei telefoni, quei social, quei «manda un saluto a mammà che le piaci tanto».

I famosi sono tutti uguali o forse no, ma di sicuro si assomigliano moltissimo. Si assomigliano per un tratto che, diventato grande, mi ha fatto riconoscere una verità per me amarissima: che io famoso non lo diventerò mai. Un tratto molto più specifico dell’avere il look perfetto per i paparazzi che ti aspettano sotto casa – io da sempre esco dal portone di casa pensando che ci saranno i paparazzi ad aspettarmi, anzi che ci dovrebbero essere, per quanto ho il look giustissimo, e per quanto sarei bravo con loro, gli lascerei fare tutti gli scatti che vogliono e, nei giorni più caldi, gli porterei pure la limonata per rinfrescarsi; pensavo di essere a un passo da Shutter Island, invece ho scoperto che una mia nuova amica sta messa peggio di me (e, a malincuore, ho dovuto ammettere davanti a lei che sarebbe una famosa perfetta, persino più perfetta di me).

C’è un tratto per cui i famosi sono tutti uguali o quasi, o per cui quantomeno si assomigliano moltissimo. Ed è: lavorano tantissimo. Lavorano sempre. Lavorano molto più di noi. Da un giorno da famosi noi non usciremmo vivi. E qui entra in scena la famosa che, almeno per me, è il metro per tutti i famosi dell’era di mezzo, quella tra lo stardom luccicante e segreto di una volta e la sciagura digitale che le è toccata poi. Quella famosa è: Jennifer Lopez.

Gira un delizioso meme che fa: «Jennifer Lopez potrebbe essere la prossima artista a completare l’EGOT. Deve solo vincere un Emmy, un Grammy, un Oscar e un Tony». EGOT è appunto l’acronimo dei quattro maggiori premi nelle rispettive categorie (televisione, musica, cinema, teatro), lo status l’ha raggiunto gente famosa (altrimenti detto: che ha lavorato moltissimo) come – cito i primi viventi che mi vengono in mente – Whoopi Goldberg, John Legend, Viola Davis. Di Lopez fa sorridere ancora oggi tutta la vicenda di Hustlers (in italiano Le ragazze di Wall Street, vabbè), il film sulle stripper dolenti per cui si aspettava almeno una candidatura all’Oscar. Non è arrivata, son seguiti mesi (anni) di lagne, interviste del tipo «ho deluso tutto il mio team», persino un documentario che tornava su quel fallimento.

Ripeto: uso J.Lo (per gli amici) solo come esempio per me più efficace in assoluto. Ne ho generalmente stima, e mi fa sempre simpatia questa donna che è still (cit.) la più figa del mondo, che non si ferma, che sforna album, tour, film (l’ultimo: l’adattamento per il cinema del musical, preceduto da un famoso romanzo/film, Il bacio della donna ragno; «è nata per interpretare questo ruolo», scrive Deadline: ma vedrete che non le basterà nemmeno stavolta). Una che apre e chiude società di continuo, mette il suo nome su vestiti e profumi, fa da testimonial a questo e a quello. E che, tuttavia, deve ancora dimostrare di non essere solo famosa, ma che quel suo essere famosa ha valore.

I famosi sono tutti uguali o quasi, o quantomeno si assomigliano moltissimo, specie in quest’epoca storta che gli è capitata in sorte. L’epoca in cui ogni stream in meno è una catastrofe, ogni concerto cancellato un passo più spedito verso l’oblio, ogni mancata candidatura all’Oscar (come se ogni famoso dovesse averne una) una disfatta per il famoso di turno e i suoi collaboratori. L’epoca della social-mondovisione che tutto vede e che non ti sconta mai niente.

Ho visto un paio di volte Jennifer Lopez, una sul tappeto rosso in cui ufficializzava il ritorno di fiamma con un altro famoso a cui non scontano nessun passo falso (e dire che lui gli Oscar li ha vinti pure). Ci ho parlato una volta sola su Zoom, non mi ricordo per quale disco o film o tour o crema abbronzante. A Los Angeles era giorno pieno, io ero a una festa, in una fresca serata d’inverno palermitano, e avevo cercato di non darci troppo dentro con lo champagne per mantenere un certo decoro. Gli amici che erano con me erano tutti molto gasati, «adesso va a parlare con Jennifer Lopez!» si bisbigliavano l’un l’altro, io ero divertito da quello strano incastro di tempi e luoghi ma, sarà perché ho parlato con troppi famosi in vita mia, ero decisamente più disincantato, quasi annoiato.

Quella è stata la sera che mi ha fatto capire che i famosi sono tutti uguali o quasi, o che quantomeno si assomigliano moltissimo. E che mi ha confermato una volta per tutte perché io famoso non lo sono diventato, e non lo diventerò mai. Jennifer Lopez era lì, pronta per le sue interviste in batteria con giornalisti a turno italiani uzbeki venezuelani, a raccontare il suo nuovo (sperato) successo dopo l’ultimo fallimento, a convincerti che non è solo famosa (a me, almeno quella volta, ha convinto).

I famosi sono tutti uguali o quasi, o quantomeno si assomigliano moltissimo perché non hanno mai nessuna voglia di parlare con l’intervistatore (di lavorare?), ma la dissimulano molto bene questa non voglia, molto meglio di noi. Jennifer Lopez ha recitato quello che aveva detto prima all’uzbeko e che avrebbe ripetuto dopo al venezuelano, ha sfoderato il suo campionario di «solo dagli errori si impara» e «l’importante è credere in sé stessi», e ha detto solo tre parole fuori copione, tre parole che mi hanno riconfermato che i famosi sono tutti uguali o quasi, ma soprattutto che, quando sono così famosi, di sicuro è perché sono dei grandi professionisti. Quando le ho specificato, per sentirmi chissà quanto speciale pure io, che la chiamavo da Palermo, lei ha replicato: «I love Palermo!», ma col tono di chi non la distinguerebbe da Avellino o Minneapolis.

E dunque Jennifer Lopez era lì, con una borraccia rosa in mano, a lavorare – con o senza voglia – a ogni ora del giorno come fa da trent’anni, e dall’altra parte del video c’ero io, con la coppa di champagne nascosta dietro il computer, che non avevo nessuna voglia di lavorare, che anzi sentivo di aver subìto una violenza indicibile per via di quest’intervista piazzata proprio durante la festa, e che pensavo solo a tornare a bere con gli amici – però, se fossi stato famoso, come sarebbero stati perfetti i miei scatti rubati a quella festa, avevo pure una camicia bellissima.

– Leggi anche: Ma come diavolo mi sono vestito in tutti questi anni a Venezia?

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