Paura di guidare

«Ogni anno decido che devo farmela passare e ogni anno succede questo. Programmo un viaggio. Per esempio Roma-Bologna. Tragitto da fare da sola, di giorno. Partenza di mattina per avere il tempo di fermarmi, piangere, calmarmi. Poi affitto una macchina. La ritiro la sera prima. La mattina mi sveglio tre ore prima»

(Getty Images)
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Arianna Dell'Arti
Arianna Dell'Arti

Romana, lavora nel mondo dello spettacolo dal 1999. Nel cinema come aiuto regista, nel teatro come autrice, regista e performer. Nel 2022 ha pubblicato Wanderwoman per Miraggi Edizioni.

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Tutte le volte che devo guidare in autostrada passo metà della giornata a farmi venire l’ansia e l’altra metà a farmela passare. Sono amaxofobica, dal greco paura del carro, ossia paura di guidare. Dicono che ne soffra un automobilista su tre, va’ a sapere, io ne soffro. Ma io non ho paura di guidare e basta. Adoro il traffico cittadino. Provo gusto nel fare prima-seconda. I semafori sono miei amici. Ne vorrei uno, anche rosso, ogni 10 metri. Il mio problema riguarda le strade ad alta velocità. L’autostrada. Immettersi in autostrada. Superare in autostrada. E ho paura solo quando sono io a guidare. Non c’è nessuna ragione. Non ho avuto incidenti. Non ho subito traumi. Però ho paura.

I vari psicoterapeuti che ho intervistato mi hanno spiegato che l’amaxofobia può avere cause evidenti – come per esempio aver fatto un incidente (non io) – oppure cause molteplici e spesso poco chiare (io). Può essere la somma di microesperienze che, nel tempo, si sono sedimentate nel corpo e nella mente come una forma di allerta permanente (speriamo di no). Può essere un’ansia generalizzata che si riversa nella situazione specifica della guida (sì). Talvolta questa paura può avere radici in traumi non direttamente legati alla strada ma che vengono riattivati dall’atto del guidare (meglio non scoprirli). Oppure, non è tanto di guidare che si ha paura quanto della perdita di controllo, della possibilità di errore fatale (aiuto).

La parte più frustrante della questione è che nel mio caso non c’è un evento scatenante. Se mi fossi sfracellata sulla Roma-Napoli a 150 km orari mi abbandonerei all’amaxofobia con grande serenità. Se sapessi con chiarezza perché l’autostrada mi spaventa e mi spaventa solo se guido io (se guida un altro dormo tranquilla) me ne farei una ragione. Tutti abbiamo il sacrosanto diritto di avere paura. A maggior ragione se la paura è motivata. E se è motivata, non solo possiamo tenercela, DOBBIAMO tenercela. Ma siccome una ragione valida per la mia conclamata amaxofobia non la trovo, non mi ci rassegno.

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Ogni anno decido che devo farmela passare e ogni anno succede questo. Programmo un viaggio. Per esempio Roma-Bologna. E lo programmo così: tragitto da fare da sola, di giorno. Partenza di mattina per avere tutto il tempo di fermarmi, piangere, calmarmi. Partenza solo con il bel tempo.

Poi affitto una macchina. La ritiro la sera prima. Mi studio le spie. Sistemo il sedile. Gli specchietti. Controllo l’aria condizionata. La presa usb per il telefono. Mi assicuro che la radio funzioni. Che le gomme siano ben gonfie. Metto benzina (c’è già il pieno). Faccio pulire i vetri. Controllo acqua, olio, motore. Poi la parcheggio di fronte a casa e spero che me la rubino.

La mattina mi sveglio tre ore prima del previsto. Fingo che sia tutto normale.
Mi alzo.
Faccio il caffè.
Mi dico che il caffè mi permetterà di essere vigile.
Mi dico di non bere il caffè perché potrebbe scatenarmi l’ansia.
Controllo il percorso su Google. Le uscite. Gli autogrill.
Vado alla finestra. Butto un occhio alla macchina.
La macchina sta lì.
Apro internet. Apro il meteo. Il meteo dice che c’è un gran sole.
Quando devo partire io, c’è sempre un gran sole.
A questo punto i parametri sono rispettati: c’è la luce, c’è il bel tempo, c’è la macchina. Mi tocca partire.

Qui inizia la fase 2.
Il nostro sistema interno di allarme, ossia l’Amigdala, si attiva. L’Amigdala manda un messaggio all’Ippocampo: c’è un pericolo, confermi?
L’Ippocampo fa una breve ricerca in archivio e conferma: pericolo.
A questo punto so che mi sta succedendo qualcosa. Controllo le mani, mi sudano. Controllo il battito, accelera.
Mi siedo. Fai gli esercizi di respirazione, Arianna.
Inspiro. Espiro. Conto fino a 4.
Devo vestirmi, penso. Devo uscire che si fa tardi.

L’Ippocampo non molla. Dove cazzo vai? dice. Stai qui, prendi il treno, non fare minchiate.
Seguono vertigini, nausea, senso di spaesamento.
Mi viene da vomitare, penso.
Sto per avere un infarto.
Inspiro di nuovo, piano. Espiro. Mi alzo. Vado in bagno. Mi butto l’acqua in faccia, sui polsi. Mi guardo allo specchio. Ho paura. Sto morendo.
Torno in camera. Mi sdraio sul letto.
Interviene la Corteccia frontale, il mediatore.
Stiamo tutti molto calmi, dice. Non è successo niente. Dove sta il pericolo?
L’autostrada è spaventevole, risponde l’Amigdala. Ci sono i tir. Si viaggia a 130 km orari. Ti rendi conto? Non si possono commettere errori a 130 km orari. E tu lo sai che in Italia, in un anno, 160.000 persone fanno incidenti stradali? Praticamente come tutti gli abitanti di Reggio Emilia, oppure di Modena. Ci siamo mai stati a Modena?
Silenzio.

Poi la Corteccia, con calma, chiede a tutti: in quale luogo ci troviamo adesso?
A casa.
A casa, dove?
In camera da letto.
E a casa, in camera da letto, c’è un tir?
No, rispondono rassegnati tutti in coro.
Abbassiamo il battito, signori. Ripristiniamo la respirazione, la sudorazione.
Non c’è nessuno pericolo. C’è solo la paura di avere paura, l’ansia anticipatoria. Arianna teme solo l’arrivo stesso della paura.
Dichiara, fiera, la Corteccia. E poi continua.
Quando siamo andati in Croazia, l’anno scorso, in macchina, ci siamo riusciti?
Si, rispondono tutti.
E come ci siamo riusciti?
Guidando.
E come abbiamo guidato?
Piano.

Possiamo andare a 80 km orari. Rimanere nella corsia di destra tutto il tempo. Se dallo specchietto vediamo un tir avvicinarsi possiamo semplicemente non fare niente. Tutt’al più rallentiamo e lo agevoliamo nel sorpasso. Convenite tutti con me?
L’Ippocampo e l’Amigdala annuiscono.
Arianna alzati, vèstiti, ordina la Corteccia. Prendi la borsa, il telefono. Partiamo.
A questo punto obbedisco, prendo le mie cose. Saluto casa sperando di tornarci. Salgo in macchina e parto.
Potreste incontrarmi inchiodata sul Grande Raccordo Anulare. Potreste intravedermi piangere sull’A4.
Sono io in preda al panico. Aspetto che il cervello rifaccia il suo lavoro, rimetta in moto il dialogo interiore, ripercorra tutto il giro.
Un attacco d’ansia dura dai 5 ai 30 minuti. Poi il corpo e la mente entrano in una fase di deflusso, si scaricano. Ci si sente stanchi, tristi. Passa.

Ora, lo so benissimo che questo mio bizzarro metodo per risolvere l’amaxofobia lanciandomi in autostrada una volta l’anno non funziona. Anche perché torno che ho paura. Sono riuscita a calmarmi, ma ho ancora paura.

Le parole chiave, mi hanno spiegato, sono gradualità e costanza.
Due le soluzioni.
La psicoterapia. Quella cognitivo-comportamentale è la più raccomandata. Aiuta a riconoscere e modificare i pensieri distorti che alimentano la paura, e a esporre gradualmente il corpo e la mente alla guida, in modo sicuro.
Alcuni psicologi usano anche tecniche immaginative, come la desensibilizzazione sistematica, o la realtà virtuale. In alcuni casi, quando l’ansia è invalidante, si lavora anche con un supporto farmacologico temporaneo.
Le scuole guida. Esistono corsi specifici organizzati da alcune autoscuole, pensati proprio per chi ha paura di guidare: si chiamano corsi di guida emotiva, o guida per ansiosi. Non si limitano alla tecnica: lavorano sulla sicurezza, sulla gestione dello stress, ti affiancano istruttori formati per aiutarti a ricostruire un senso di padronanza.

In alternativa si può seguire l’esempio della mia amica Maria Vittoria. Quando l’ho chiamata per chiederle come andava con la guida mi ha risposto così:
«Sono felicissima. Ho smesso».

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