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  • Mercoledì 13 marzo 2024

Nel programma di Narendra Modi per le elezioni in India c’è più repressione

Il primo ministro indiano correrà per un terzo mandato in primavera, e ha fatto approvare varie leggi contro l'opposizione e contro la minoranza musulmana

Il primo ministro indiano Narendra Modi, davanti, pratica yoga durante la giornata internazionale dello yoga, nel 2017
Il primo ministro indiano Narendra Modi, davanti, pratica yoga durante la giornata internazionale dello yoga, nel 2017 (AP Photo/Rajesh Kumar Singh)
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Lunedì 11 marzo è entrata in vigore in India una controversa legge che agevola la regolarizzazione nel paese soltanto dei migranti non musulmani provenienti da Pakistan, Bangladesh e Afghanistan: per mesi la legge era stata duramente contestata perché comportava una discriminazione piuttosto evidente dei migranti musulmani, ed era considerata un simbolo delle politiche sempre più anti musulmane e discriminatorie del governo del primo ministro Narendra Modi.

Questa legge non è tuttavia l’unica: in India tra aprile e maggio si terranno le elezioni legislative, e il governo nazionalista e populista di Modi ha approvato numerose misure volte a favorire il proprio elettorato, mettere in difficoltà l’opposizione e reprimere il dissenso. A fine dicembre, per esempio, il parlamento indiano ha approvato una serie di leggi di riforma del codice penale che dovrebbero entrare in vigore nel corso dell’anno e che secondo i critici sono troppo arbitrarie e danno eccessivo potere alla polizia e alle autorità statali.

Narendra Modi è primo ministro dal 2014, è il leader del Bharatiya Janata Party (BJP), un partito nazionalista indù che in economia può essere considerato di centrodestra, e in primavera si candiderà per il terzo mandato consecutivo. Da quando è al governo,  ha basato la propria azione politica sull’idea di costruire una «nuova India» con l’obiettivo di rafforzare il nazionalismo e trasformare il paese da laico a induista. Modi ha sistematicamente indebolito i diritti delle minoranze, ha limitato molte libertà, tra cui la libertà di stampa, e ha approvato una serie di leggi che hanno fatto aumentare le preoccupazioni, già presenti da tempo dentro e fuori del paese, che la democrazia indiana sia a rischio.

In vista delle elezioni legislative che si terranno tra aprile e maggio, il governo di Modi sta portando avanti varie azioni discriminatorie contro la comunità musulmana, ma anche contro accademici, attivisti e oppositori politici, perseguitati in modo arbitrario spesso attraverso un utilizzo improprio degli apparati dello stato.

Per esempio all’inizio di febbraio i funzionari del Central Bureau of Investigation (CBI, la principale agenzia di polizia e investigazioni) hanno perquisito l’ufficio del Centre for Equity Studies di New Delhi, un centro studi che sostiene politiche in favore delle persone più svantaggiate. Il Centro, così come il suo fondatore, Harsh Mander, che ha una discreta notorietà in India, sono stati accusati di presunte irregolarità finanziarie.

Mander è solo uno dei critici e oppositori che negli ultimi tempi hanno subìto perquisizioni o arresti da parte di agenzie federali indiane: tra loro ci sono anche quattro governatori appartenenti a partiti di opposizione, come Hemant Soren, governatore del Jharkhand, che a metà gennaio era stato interrogato e poi arrestato dall’agenzia antiriciclaggio del paese appena dopo le sue dimissioni. Soren è segretario del Jharkhand Mukti Morcha (Fronte di liberazione del Jharkhand), un partito locale che fa parte dell’ampia coalizione di opposizione INDIA (Alleanza nazionale inclusiva indiana per lo sviluppo, di centrosinistra), la principale avversaria del Bharatiya Janata Party alle elezioni previste in primavera.

A fine dicembre il parlamento indiano ha poi approvato una serie di leggi che dovrebbero entrare in vigore nel corso dell’anno. Sono piuttosto controverse e, secondo i critici, potrebbero aumentare i poteri della polizia e facilitare la sorveglianza di massa. Tre di queste leggi riguardano modifiche al codice penale. Secondo il ministro dell’Interno Amit Shah hanno l’obiettivo di smantellare alcuni residui coloniali presenti nel codice, che risale ancora in parte ai tempi della dominazione coloniale britannica, terminata nel 1947: «Libereranno i cittadini dalla mentalità dell’era coloniale e dai suoi simboli», ha detto Amit Shah.

Tuttavia, i critici sostengono che il governo abbia strumentalizzato il discorso sulla decolonizzazione per emanare provvedimenti che sono più autoritari e severi di quelli che andranno a sostituire.

Proteste antigovernative, Calcutta, India, 12 marzo 2024 (AP Photo/Bikas Das)

Queste leggi prevedono, tra le altre cose, che il periodo di custodia cautelare passi da 15 a un massimo di 60 giorni. Gli attivisti per i diritti umani hanno fatto notare come la maggior parte dei casi di abusi e tortura contro le persone detenute avvenga durante la custodia della polizia e come in India muoiano in media cinque persone ogni giorno proprio mentre si trovano in custodia. Il nuovo codice penale introduce poi pene fino a sette anni per un reato piuttosto vago: «Mettere in pericolo la sovranità, l’unità e l’integrità dell’India». Una definizione così ambigua potrebbe essere utilizzata in modo improprio e alcuni ex giudici hanno sottolineato come una legge che incide sulla libertà delle persone debba invece essere molto precisa e poco interpretabile.

Il secondo atto legislativo promulgato a fine dicembre dal governo indiano intende modernizzare la legge sulle telecomunicazioni rendendo più semplici le intercettazioni, il blocco di internet e l’autenticazione biometrica degli utenti. Anche in questo caso alcuni esperti temono che il provvedimento porterà a una sorveglianza indiscriminata nei confronti dei cittadini e delle cittadine mettendo a rischio la loro privacy.

Le azioni di repressione hanno riguardato anche varie ong: nelle ultime settimane le autorità hanno sospeso e reso inaccessibili prima l’account su X e poi il sito di Hindutva Watch e di India Hate Lab, che sono entrambi progetti di ricerca indipendenti che hanno sede negli Stati Uniti e documentano i crimini e i discorsi di odio contro le minoranze religiose nel paese.

– Ascolta Globo: Dobbiamo parlare dell’India, con Marina Forti

Entrambi i gruppi avevano da poco pubblicato i risultati delle loro ultime ricerche che mostravano come gli episodi documentati di incitamento all’odio rivolti contro i musulmani fossero aumentati nell’ultimo anno, e come tra il 70 e l’80 per cento di questi eventi fosse avvenuto in uno degli stati governati dal BJP di Modi. Circa il 15 per cento proveniva direttamente da funzionari eletti del BJP. «Invece di ostacolare il lavoro di questi gruppi il governo dovrebbe considerarli come alleati e non come avversari», ha detto ad Al Jazeera la giornalista di Mumbai Geeta Seshu, che fa parte del Free Speech Collective, che si occupa della libertà di parola nel paese.

Negli ultimi anni in India il governo ha bloccato l’accesso a internet con una frequenza molto elevata, come nessun altro paese al mondo: nel 2022, per esempio, su 187 interruzioni nel mondo 84 si erano verificate in India, secondo un rapporto diffuso lo scorso anno dal gruppo statunitense Access Now. Una delle parti dell’India in cui l’accesso a internet è stato bloccato più di frequente è il Kashmir, stato a maggioranza musulmana rivendicato dal Pakistan e oggetto di un’antica disputa territoriale. Negli ultimi anni il governo indiano ha ridotto molto l’autonomia di questo stato e i diritti di chi ci vive: tra le altre cose nel 2019 fu abolito lo statuto speciale, che era garantito dalla Costituzione indiana fin dagli anni Cinquanta e che ne faceva una regione autonoma con proprie regole su residenza e proprietà.

Proteste antigovernative, New Delhi, India, 27 dicembre 2019 (AP Photo/Manish Swarup, File)

C’è infine la questione delle discriminazioni e dell’erosione progressiva dei diritti delle persone musulmane che rappresentano circa il 14 per cento della popolazione dell’India.

Nel 2022 diversi stati indiani governati dal BJP hanno avviato una campagna di demolizioni di case e negozi di musulmani che avevano partecipato a proteste antigovernative. Lunedì 22 gennaio Narendra Modi ha partecipato alle grandi celebrazioni per la consacrazione del tempio di Rama nello stato dell’Uttar Pradesh, nel nord del paese, che è stato costruito sul luogo in cui poco più di trent’anni fa 150mila fedeli induisti distrussero in poche ore una moschea costruita nel 1528: quell’evento fu uno degli episodi più notevoli della storica contesa in India tra induisti e musulmani. Lunedì 11 marzo, infine, è entrata in vigore la legge per agevolare la regolarizzazione dei migranti non musulmani provenienti da Pakistan, Bangladesh e Afghanistan.

Queste politiche anti musulmane sono funzionali agli obiettivi politici del BJP, un partito che fin dalla sua fondazione sostiene l’ideologia politica dell’Hindutva, in base alla quale l’India deve diventare un paese dominato dalla maggioranza indù e dove l’induismo deve essere la religione e la cultura dominante. Secondo le ultime stime in India vivono più di 200 milioni di musulmani, circa il 15 per cento della popolazione. Si parla di stime perché in India non viene fatto un censimento dal 2011: avrebbe dovuto esserne fatto uno nuovo nel 2021, ma il governo l’ha rimandato a dopo le elezioni del 2024, probabilmente per evitare di dover certificare la crescita della popolazione musulmana nel paese.

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