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  • Mercoledì 28 febbraio 2024

Il trattamento inumano dei dissidenti politici nelle prigioni russe

Il regime di Vladimir Putin usa isolamento, freddo, fame, violenza e torture psicologiche per piegare le resistenze degli oppositori

Oleg Navalny a Berlino in una replica della cella in cui era detenuto il fratello Alexei Navalny (AP Photo/Markus Schreiber, File)
Oleg Navalny a Berlino in una replica della cella in cui era detenuto il fratello Alexei Navalny (AP Photo/Markus Schreiber, File)
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La morte del dissidente russo Alexei Navalny nel carcere siberiano IK-3 il 16 febbraio ha riportato l’attenzione sulle condizioni durissime e molto spesso inumane in cui vivono i detenuti in Russia, e in particolare i prigionieri politici. Dopo l’inizio della guerra in Ucraina il regime di Vladimir Putin ha ulteriormente intensificato la repressione del dissenso: è diventato più facile essere incarcerati per motivi politici, si sono moltiplicati i reati e le sentenze, è aumentata la durata delle pene e sono ancora peggiorate le condizioni di detenzione, con un’ulteriore riduzione dei già minimi diritti dei detenuti.

Secondo le stime di varie organizzazioni non governative oggi nelle carceri russe ci sono fra i 700 e i 1.000 detenuti per ragioni politiche o religiose. Esistono 700 diverse strutture carcerarie in Russia, che possono cambiare molto per livello di sicurezza, isolamento e ubicazione geografica. I dissidenti e i prigionieri politici normalmente finiscono nelle carceri di massima sicurezza, quelle in cui le condizioni sono peggiori. Alcune delle colonie penali, come quella in cui era detenuto Navalny, sono state costruite negli stessi luoghi dove c’erano i gulag, i campi di lavoro forzato per gli oppositori politici russi del regime sovietico.

Nel corso degli anni dai racconti degli ex detenuti, dalle denunce degli avvocati dei condannati e dalle lettere di chi vi era rinchiuso (comprese quelle di Navalny) è stato possibile ricostruire la vita quotidiana all’interno di queste strutture. Spesso i metodi utilizzati per piegare la resistenza dei dissidenti sono paragonabili alla tortura: comprendono violenza fisica e psicologica, isolamenti, privazione di cibo e sonno, freddo e totale assenza di assistenza medica.

La cena in una cella sovraffollata di un carcere di Tula (Reuters)

Come confermato dalla morte di Navalny, in molte occasioni è la stessa sopravvivenza dei detenuti a essere messa in grave pericolo. Grigory Vaypan, un avvocato dell’associazione Memorial, gruppo fondato per documentare la repressione dell’Unione Sovietica e ora impegnato nella difesa dei diritti umani, ha detto ad AP: «Nessuno è al sicuro nel sistema carcerario russo. Per i prigionieri politici la situazione è spesso peggiore, perché il regime vuole punirli ulteriormente, isolarli dal mondo e fare di tutto per piegarne lo spirito». Lo stesso servizio penitenziario federale russo certifica fra 1.400 e 2.000 morti in carcere ogni anno (negli ultimi cinque anni, su 650mila detenuti totali): la causa ufficiale è nella stragrande maggioranza dei casi l’arresto cardiaco, una dicitura che secondo gli avvocati specializzati può nascondere qualsiasi causa reale, dal suicidio alla morte in seguito a un pestaggio.

Le strutture sono per lo più molto vecchie, le celle possono essere stanze collettive piene di letti a castello, fortemente sovraffollate, oppure camere di isolamento, in cui i detenuti passano periodi anche piuttosto lunghi senza vedere nessuno né uscire mai, se non per una mezz’ora in un cortile, spesso dalle dimensioni altrettanto ridotte.

Navalny ha descritto la sua cella di isolamento come una stanza di due metri e mezzo per tre, con muri di cemento e una piccola finestrella (non sempre presente, peraltro): il bagno era un buco nel pavimento, il materasso veniva appoggiato alla parete al risveglio, e non poteva essere utilizzato di giorno. Non era previsto altro arredamento. La moglie di Vladimir Kara-Murza, giornalista e politico russo di opposizione, ha invece raccontato che nella cella del marito un giorno fu inspiegabilmente montato un piccolo armadio, riducendo ulteriormente lo spazio a disposizione: Kara-Murza, come molti prigionieri politici, non ha diritto a possedere altri oggetti se non uno spazzolino e una tazza.

Secondo la legge russa i prigionieri non possono restare per più di quindici giorni consecutivi in isolamento, shtrafnoy izolyator, abbreviato colloquialmente in shizo, ma è pratica comune riportarli brevemente nelle celle normali e poi ricondannarli ad altri 15 giorni di isolamento con motivazioni spesso pretestuose. Navalny è stato mandato in isolamento 27 volte nei 1.126 giorni in cui è stato detenuto, anche per non aver allacciato bene la propria uniforme carceraria o per non aver rispettato ordini contraddittori o incomprensibili.

L’interno del carcere siberiano di Krasnoyarsk (REUTERS/Ilya Naymushin)

Anche l’assegnazione dei compagni di cella può essere un modo per mettere in atto punizioni ulteriori: nelle carceri di massima sicurezza oltre ai prigionieri politici ci sono detenuti condannati per omicidio, reati violenti o crimini sessuali e i disturbi psichici sono frequenti, pregressi o causati dalla detenzione. Navalny ha raccontato che due dei suoi ultimi compagni di cella sono stati un uomo che «urlava per 14 ore durante il giorno e 3 durante la notte» e un altro che aveva «grandi problemi con l’igiene personale», condizione pericolosa per la salute vista la convivenza in spazi ristretti.

Le condizioni ambientali sono un altro fattore che rende la detenzione spesso insostenibile e vicina alla tortura: molti dei penitenziari sono in aree geografiche caratterizzate da un clima molto rigido d’inverno e molto caldo d’estate. Le temperature nei mesi invernali possono arrivare a -30°, spesso da affrontare con semplici cappotti di pelle di pecora e cappelli imbottiti. In estate oltre alle alte temperature i detenuti devono sopportare un gran numero di zanzare e insetti: approfittare della possibilità di camminare nei cortili all’esterno, per mezz’ora al giorno, può rivelarsi molto complesso.

La struttura di Kharp dove è morto Navalny (AP Photo, File)

Le giornate sono scandite da orari fissi e dall’impossibilità di scegliere come utilizzare il proprio tempo: la sveglia arriva alle 5:00, in alcuni casi con la diffusione ad alto volume dell’inno russo e canzoni patriottiche, lo spegnimento delle luci serali alle 21. La moglie di Andrei Pivovarov, un altro dissidente, ha detto che il marito era obbligato a pulire la propria stanza per alcune ore e passarne altre ad ascoltare il regolamento del carcere. Navalny raccontava di avere 30 minuti al giorno per scrivere lettere e fare colazione: doveva spesso scegliere fra l’una e l’altra cosa.

In alcune occasioni ai detenuti è richiesto di lavorare, per una paga oraria di molto inferiore a quella minima: soprattutto le donne sono impegnate nella confezione delle divise di militari, polizia e dipendenti del settore edilizio. Nadya Tolokonnikova, un membro del gruppo musicale Pussy Riot che ha passato quasi due anni in prigione fra il 2012 e il 2013, ha raccontato che i turni di lavoro potevano durare 16-18 ore: «Era un sistema schiavista, orribile».

Il cibo è quasi sempre descritto come scadente e insufficiente: di solito prevede porridge a colazione, mentre pranzi e cene sono a base di zuppa, patate bollite e una cotoletta di carne o pesce. È quasi impossibile nutrirsi a sufficienza con le sole razioni concesse: ai detenuti è permesso comprare cibo supplementare o riceverlo dalle famiglie all’esterno, ma questa possibilità è negata a chi è in “punizione”. Anche le cure mediche sono insufficienti se non completamente assenti: nelle infermerie sono a disposizione principalmente antisettici, antidolorifici e medicinali di base. Patologie croniche anche gravi sono costantemente trascurate, le richieste di aiuto trattate quasi sempre come tentativi di sfuggire alla propria pena, o alleviarla.

Il dissidente Ilya Yashin segue a distanza il processo in cui è imputato (AP Photo/Alexander Zemlianichenko)

Tutto il contesto carcerario è poi caratterizzato da un frequente uso della violenza da parte delle guardie, che in alcune situazioni godono di un potere quasi assoluto sui detenuti: l’isolamento delle strutture e i pochi contatti con l’esterno riducono le possibilità di conoscere cosa succede davvero all’interno delle carceri, ma saltuariamente arrivano testimonianze di pestaggi e torture.

Le condizioni attuali nelle carceri più rigide non sono lontane da quelle del passato. La Russia ha spesso avuto strutture detentive particolarmente dure e inumane: Fëdor Dostoevskij già nel 1862 definiva le carceri russe come uno «dei più potenti agenti distruttivi della nostra società» (in Memorie dalla casa dei morti), mentre il sistema detentivo sovietico dei gulag fu descritto da Aleksandr Solženicyn in Una giornata di Ivan Denisovič e Arcipelago Gulag.

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