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  • Domenica 25 febbraio 2024

Nei negoziati per Gaza comincia a succedere qualcosa

Dopo mesi c’è un certo ottimismo sulla possibilità di raggiungere un accordo per la liberazione degli ostaggi e per un cessate il fuoco temporaneo, ma molto dipende da una persona: Benjamin Netanyahu

Il primo ministro israelieno Benjamin Netanyahu
Il primo ministro israelieno Benjamin Netanyahu (AP Photo/Leo Correa)
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Nel corso del fine settimana, tra venerdì e sabato, i delegati di vari paesi tra cui Israele, Stati Uniti ed Egitto hanno cercato di trovare un accordo per raggiungere un cessate il fuoco almeno temporaneo nella Striscia di Gaza, e per ottenere la liberazione di parte degli ostaggi israeliani ancora prigionieri di Hamas.

Per la prima volta da mesi attorno ai negoziati c’è un certo ottimismo, e si parla apertamente della possibilità di raggiungere un accordo che garantisca una pausa dei combattimenti entro l’inizio del Ramadan, il 10 marzo. La grossa differenza rispetto al passato sta soprattutto nell’atteggiamento della delegazione israeliana: in precedenza aveva ricevuto l’ordine di «ascoltare e stare seduti», cioè di non partecipare attivamente alle discussioni, mentre questa volta si è impegnata per trovare un accordo, segno che anche il governo potrebbe essere pronto a trattare.

Al momento però non c’è la certezza che un accordo sarà raggiunto e, come nota il giornale israeliano di centrosinistra Haaretz, molto dipende da una sola persona: il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che potrebbe decidere di fare andare avanti i negoziati oppure, come già avvenuto nei mesi scorsi, di sabotarli.

Il grosso dei negoziati si è tenuto venerdì a Parigi in un luogo segreto, durante una riunione a cui hanno partecipato tra gli altri il capo del Mossad (i servizi d’intelligence esterni di Israele), il direttore della CIA, il capo dell’intelligence egiziana e il primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim al Thani. Alla riunione non erano presenti rappresentanti di Hamas, ma sia l’Egitto sia il Qatar hanno rapporti diretti con la dirigenza del gruppo e in questi casi fanno da tramite.

Il negoziato di Parigi è terminato sabato ma la delegazione israeliana, dopo una breve sosta in Israele, è ripartita per il Qatar, segno che il dialogo sta continuando.

Una manifestazione che chiede al governo israeliano un accordo per la liberazione degli ostaggi, il 24 febbraio a Tel Aviv

Una manifestazione che chiede al governo israeliano un accordo per la liberazione degli ostaggi, il 24 febbraio a Tel Aviv (AP Photo/Ohad Zwigenberg)

Finora tutti i tentativi di negoziato si sono interrotti principalmente per due ragioni.

Da un lato per alcune richieste di Hamas, che Israele vede come eccessive: chiede un ritiro totale dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza come prerogativa per un cessate il fuoco, e la liberazione di 500 prigionieri palestinesi per ogni ostaggio israeliano. Attualmente ci sono circa 130 ostaggi israeliani nella Striscia di Gaza, ma le autorità israeliane ritengono che circa 30 siano morti.

Dall’altro l’intransigenza del governo di Netanyahu, che in più di un’occasione ha di fatto ignorato i negoziati (inviando delegazioni senza sufficiente autorità o mandato) oppure li ha direttamente sabotati, ritirando le delegazioni israeliane senza cercare di trattare ulteriormente.

Adesso entrambe le posizioni sembrano essersi moderate. Sulle posizioni di Hamas i media sono ancora abbastanza incerti, ma per esempio Daniele Raineri su Repubblica ha scritto che Hamas sarebbe disposto ad accettare la liberazione di meno prigionieri palestinesi in cambio degli ostaggi e che avrebbe rinunciato a chiedere il ritiro completo di Israele dalla Striscia, ma solo da alcune città.

Israele è pronto ad accettare una pausa nei combattimenti di sei settimane, che gli Stati Uniti vorrebbero poi trasformare in un cessate il fuoco definitivo. Secondo l’accordo negoziato a Parigi Hamas libererebbe circa 40 ostaggi in cambio di varie centinaia di prigionieri palestinesi.

Ci sono ovviamente ancora enormi incertezze. I negoziati sono molto lontani dalla conclusione e ogni bozza di accordo deve essere sottoposta alla leadership di Hamas che si trova isolata e nascosta dentro alla Striscia di Gaza, cosa che rende complicate tutte le comunicazioni.

Ma secondo vari media molto dipende dal primo ministro Benjamin Netanyahu, che finora ha dimostrato scarsa volontà politica di trovare un accordo e che in più di un’occasione – da ultimo venerdì – ha rifiutato ogni tipo di trattativa che limiti l’estensione delle operazioni militari israeliane a Gaza.

Il mese scorso, durante l’ultimo incontro di questo tipo a Parigi, Netanyahu di fatto sabotò le trattative definendo le richieste di Hamas inaccettabili e rendendo impossibile la continuazione dei negoziati. Le richieste di Hamas erano effettivamente eccessive per Israele, ma l’interruzione del negoziato rese impossibile trovare nuovi compromessi. Secondo Haaretz, se Netanyahu riuscirà a «mantenere un silenzio relativo» allora l’accordo avrà qualche speranza.