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  • Venerdì 23 febbraio 2024

Il piano di Netanyahu per la Striscia di Gaza prevede una «libertà illimitata» per l’esercito

Il primo ministro israeliano ha presentato per la prima volta un progetto per il futuro di Gaza, e come era facile immaginare è molto intransigente

Soldati israeliani nella Striscia di Gaza, l'8 febbraio 2024
Soldati israeliani nella Striscia di Gaza, l'8 febbraio 2024 (AP Photo/Ariel Schalit)
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Giovedì notte il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha distribuito durante una riunione del suo governo un primo abbozzo di piano che descrive come Israele intenda gestire la Striscia di Gaza una volta che sarà finita la guerra. Il piano è stato rapidamente condiviso con i media, che ne hanno descritto il contenuto senza però divulgarne il testo completo. Prevede, tra le altre cose, che almeno per un periodo Israele assuma il «controllo sulla sicurezza» non soltanto della Striscia di Gaza, ma anche di tutta la Cisgiordania e di Gerusalemme Est, cioè dei territori che secondo gli accordi di pace dei decenni passati sarebbero di pertinenza dei palestinesi.

Il piano al momento è soltanto un abbozzo e un riassunto: è scritto in brevi punti tutti contenuti in un’unica pagina e lo stesso governo ha fatto sapere che è più che altro una base di discussione che sarà approfondita e specificata. È tuttavia il primo piano ufficiale che provenga direttamente da Netanyahu, e che per questo dovrebbe rispecchiare più fedelmente la volontà del governo israeliano. A gennaio il ministro della Difesa Joav Gallant aveva diffuso un proprio piano, di cui però non si è più saputo molto.

Il piano di Netanyahu, benché si occupi della gestione della Striscia di Gaza dopo la fine della guerra, non definisce i termini della fine dell’invasione israeliana, e anzi specifica che l’esercito israeliano continuerà il suo attacco finché non avrà raggiunto i suoi obiettivi, cioè la distruzione delle capacità militari e delle strutture governative di Hamas e degli altri gruppi radicali della Striscia. Molti esperti ritengono che questi obiettivi siano però impossibili da raggiungere nei termini descritti dal governo.

Il piano definisce poi la situazione territoriale della Striscia di Gaza una volta che sarà finita la guerra. Dice che l’esercito israeliano manterrà una «libertà illimitata» di continuare a operare dentro alla Striscia ogni volta che ci saranno rischi per la sicurezza di Israele.

Conferma inoltre il progetto – già in corso di realizzazione – di creare all’interno del territorio della Striscia una “zona cuscinetto” che corra lungo tutto il confine con Israele. Da settimane i soldati israeliani stanno spianando il terreno e demolendo migliaia di edifici nella zona di frontiera, restringendo in questo modo la superficie della Striscia che i palestinesi possono abitare e coltivare.

Gli elementi più controversi del piano sono due: anzitutto Netanyahu intende assumere il controllo del confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, dove, sostiene, prima della guerra avveniva il grosso dei contrabbandi e dei traffici, di beni comuni ma anche di armi. Non è chiaro in che modo intenda farlo, visto che si parla di un territorio di frontiera che coinvolge un altro stato sovrano. Nel documento c’è scritto che Israele cercherà la collaborazione del governo egiziano, che però in più di un’occasione aveva rifiutato questa idea.

L’altro elemento controverso del documento è che Israele manterrà un «controllo della sicurezza» su tutto il territorio a ovest del fiume Giordano. Questo territorio comprende, oltre che lo stato di Israele stesso, anche tutta la Cisgiordania, Gerusalemme Est e tutta la Striscia di Gaza. Già adesso Israele controlla militarmente buona parte di Gerusalemme Est e della Cisgiordania (oltre ad avere invaso la Striscia di Gaza, ovviamente), ma in Cisgiordania l’Autorità palestinese – che da sempre è espressione di Fatah, il principale partito laico e moderato della scena politica palestinese – mantiene ancora un limitato controllo di alcune zone. Non è chiaro se questo «controllo della sicurezza» implichi un’ulteriore restrizione delle capacità di governo dell’Autorità palestinese sulla Cisgiordania o maggiore capacità di intervento dell’esercito israeliano, che è già peraltro quasi assoluta.

Dal punto di vista politico, Israele prevede che la Striscia di Gaza sia «completamente demilitarizzata» e che sia governata per le questioni non militari da «funzionari locali» che abbiano «esperienza amministrativa» e non siano legati a «paesi o entità che sostengono il terrorismo». Il documento non specifica mai se questi «funzionari locali» siano quelli dell’Autorità palestinese, che da tempo ha grossi problemi di legittimità e popolarità tra i palestinesi.

Questo piano contraddice direttamente le posizioni di vari paesi alleati di Israele o interessati alla situazione.

Il governo degli Stati Uniti, per esempio, ha detto più volte di essere contrario alla creazione di una “zona cuscinetto”. L’Egitto è contrario a cedere il controllo del confine con la Striscia. Inoltre il piano sostiene che Israele non accetterà in nessun caso un riconoscimento dello stato palestinese, che vari paesi occidentali (compresi gli Stati Uniti) stanno pensando di avviare. Ma a meno che non ci sia un impegno concreto per un piano di pace che preveda la creazione di uno stato palestinese, numerosi paesi arabi hanno già annunciato che non collaboreranno con Israele e non contribuiranno finanziariamente alla ricostruzione della Striscia.

Insomma, il piano di Netanyahu è molto intransigente e difficilmente faciliterà i negoziati di pace che sono in corso da settimane tra rappresentanti di Israele, dei paesi arabi e degli Stati Uniti. L’ultimo tentativo di raggiungere un accordo è cominciato venerdì a Parigi, in un incontro a cui hanno partecipato tra gli altri il capo del Mossad (i servizi d’intelligence esterni di Israele), il direttore della CIA, il capo dell’intelligence egiziana e il primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim al Thani. Gli Stati Uniti vorrebbero convincere le parti ad accettare un cessate il fuoco nella Striscia in cambio della liberazione degli ostaggi israeliani, ma al momento un accordo sembra ancora difficile da raggiungere.