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  • Giovedì 22 febbraio 2024

Un pezzo di Spagna comincia a mettere in discussione Rafael Nadal

La decisione di lavorare con l'Arabia Saudita e le posizioni sulle disparità salariali tra tenniste e tennisti stanno danneggiando la sua immagine finora immacolata

Di recente l’impeccabile immagine pubblica che il tennista spagnolo Rafael Nadal conserva da circa vent’anni nel suo paese sta scricchiolando, principalmente a causa della sua decisione di diventare ambasciatore della federazione tennistica dell’Arabia Saudita, ricchissimo paese del Golfo Persico che sta portando avanti una massiccia campagna per migliorare con lo sport la propria reputazione internazionale, pessima per via delle sistematiche violazioni dei diritti umani. Una recente intervista di Nadal nella trasmissione televisiva El Objetivo ha riportato l’attenzione degli spagnoli sulla notizia, già uscita a metà gennaio, e ha ulteriormente peggiorato la posizione del tennista per via di alcune sue risposte a riguardo, giudicate sui social network e sui media evasive e insoddisfacenti.

«Lasciatemi realizzare il mio progetto e vedremo se riuscirò a raggiungere il mio obiettivo, che è migliorare la vita delle persone attraverso lo sport» ha detto Nadal alla giornalista Ana Pastore, che gli aveva chiesto, ritenendo di interpretare una domanda diffusa tra gli spagnoli, che bisogno avesse di compromettere la sua immagine accettando quel tipo di proposta da parte di un paese così in basso nelle classifiche sul rispetto dei diritti umani. «Nessuna» ha risposto Nadal, visibilmente in difficoltà, spiegando poi che quei soldi non gli cambiano la vita e di non aver firmato un «super contratto», a differenza di altri sportivi che si sono legati all’Arabia Saudita.

Il ruolo di Nadal, che ormai è vicino alla fine della sua grande carriera nel tennis professionistico, sarà essenzialmente di promozione e rappresentanza, e si prevede passerà del tempo nel paese per partecipare a eventi e coinvolgere con la sua presenza altri sportivi, investitori e nuovo pubblico. Nadal dovrebbe anche aprire in Arabia Saudita nuove sedi delle accademie di tennis che gestisce già in molti paesi in via di sviluppo del mondo. A ottobre, peraltro, Nadal parteciperà al “6 Kings Slam”, un torneo d’esibizione a Riyadh, la capitale saudita, insieme a Novak Djokovic, Carlos Alcaraz, Daniil Medvedev, Holger Rune e Jannik Sinner. L’evento aveva già attirato critiche e polemiche sui tennisti coinvolti, a cui saranno garantiti compensi eccezionali: il vincitore guadagnerà l’equivalente di 5,5 milioni di euro, quasi tre volte il premio riservato al vincitore dell’ultima edizione di Wimbledon, il torneo più importante e prestigioso del tennis.

Il tennis è uno degli sport in cui di recente l’Arabia Saudita sta investendo i capitali maggiori, dopo averlo fatto con il calcio, il golf e la Formula 1: tra le altre cose dall’anno scorso e fino al 2027 nella città saudita di Gedda si terranno le Next Generation ATP Finals, il torneo a cui partecipano i migliori otto tennisti under-20 della stagione (fino al 2023 si arrivava fino agli under-21). Queste operazioni rientrano in un’ampia strategia del principe ereditario Mohammed bin Salman per dare un’immagine del proprio paese positiva e attraente a livello internazionale, che sostituisca quella di regime dittatoriale teocratico in cui le donne non hanno diritti fondamentali, le persone omosessuali sono perseguitate, è in vigore la pena di morte e i capi di stato ordinano l’omicidio e la mutilazione di giornalisti sgraditi, come successo a Jamal Khashoggi.

Secondo Nadal la monarchia saudita non ha bisogno di lui per ripulirsi l’immagine, e il suo obiettivo è un altro, coerente con quello in cui ha sempre creduto nella sua carriera: «credo che l’educazione sportiva abbia il potere di trasformare in opportunità situazioni complicate». Nadal ha attribuito le reazioni negative del pubblico a un «errore di comunicazione» nelle modalità con cui è stata annunciata la collaborazione, ritenendo che avrebbe potuto spiegarla meglio. «Ovunque si guardi in Arabia Saudita si vede crescita e progresso, e sono entusiasta di farne parte» aveva detto Nadal annunciando di aver accettato l’incarico.

Ma per molti spagnoli le giustificazioni di Nadal non sono state sufficienti. Fin dall’inizio della sua carriera, oltre vent’anni fa, il tennista è stato elevato a simbolo e tesoro nazionale, anche perché fino agli anni Duemila inoltrati la Spagna non era abituata a primeggiare nello sport mondiale, cosa che poi avrebbe fatto nel calcio, nel basket e nella Formula 1, tra le altre discipline. Con cinque vittorie in Coppa Davis, la principale competizione di tennis a squadre per nazionali, e 22 vittorie nei tornei del Grande Slam (14 volte al Roland Garros, 4 agli US Open, 2 a Wimbledon e 2 agli Australian Open), Nadal diventò nei vent’anni successivi uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi, ingaggiando con Novak Djokovic e soprattutto con Roger Federer alcune delle rivalità più spettacolari e seguite nella storia recente dello sport.

A questa carriera formidabile, Nadal ha sempre accompagnato una gestione pressoché perfetta dell’immagine pubblica. È sempre stato un campione composto, educato, visto come integro moralmente, capace di superare brillantemente i molti infortuni, fedele nei confronti della moglie con cui si era fidanzato a 19 anni e con cui è ancora sposato. Nadal vive peraltro a Palma di Maiorca, l’isola delle baleari dove è nato, e non in paesi fiscalmente più vantaggiosi come molti altri sportivi spagnoli e internazionali: una di quelle cose che solitamente vengono molto gradite dall’opinione pubblica.

Questa rispettabilità si era già un po’ incrinata quando Nadal si era espresso sulla questione della disparità salariale tra tenniste e tennisti. Alla domanda su cosa pensasse del fatto che le donne guadagnano molto meno degli uomini, l’anno scorso Nadal aveva dato una risposta sarcastica, chiedendo retoricamente come mai nella moda le modelle guadagnino più dei modelli. Non è il genere di risposta che raccolga simpatie unanimi in un paese come la Spagna, in cui le sensibilità femministe sono molto diffuse e in cui la nazionale femminile di calcio ha portato avanti una tenace e popolare campagna contro le discriminazioni nello sport e contro il presidente della federazione, che aveva baciato non consensualmente la calciatrice Jennifer Hermoso durante la premiazione dei Mondiali.

Nell’intervista con Pastore, Nadal è tornato sul tema, sostenendo che «se volere che le donne abbiano le stesse opportunità degli uomini significa essere femminista, io sono femminista. Ma uguaglianza, per me, non significa fare regali: quello che voglio è che le donne guadagnino più degli uomini se generano più degli uomini. (…) Se Serena Williams genera più reddito di me, voglio che Serena guadagni di più».

– Leggi anche: La parità salariale tra uomini e donne nel tennis è ancora molto lontana

Quello sulla disparità nei guadagni di tenniste e tennisti è un tema di cui si discute periodicamente e con maggiore concretezza rispetto ad altri sport. Ai tornei del Grande Slam da ormai molti anni i premi per gli uomini e per le donne sono uguali, ma questo non vale per gli altri tornei, che sono moltissimi e rappresentano comunque una parte fondamentale degli introiti dei tennisti, per molti la più importante. Quella sostenuta da Nadal è una posizione diffusa, ma secondo i suoi critici non tiene conto del fatto che nella storia professionistica del tennis i tennisti abbiano sempre avuto maggiore visibilità e possibilità rispetto alle tenniste, per come è strutturato il circuito dei tornei e il loro sfruttamento mediatico.

Sul Paìs, la scrittrice Ángeles Caballero ha pubblicato un editoriale in cui ha definito Nadal «un alieno sul campo, ma uno spagnolo medio fuori», sostenendo che sia ormai completata «al 98%» la sua trasformazione in José María Aznar, l’ex primo ministro spagnolo conservatore noto tra le altre cose per essere particolarmente goffo e noioso. Anche Nadal, scrive Caballero, risulta particolarmente teso e impacciato nelle espressioni e nelle risposte, che a suo avviso fanno emergere un certo qualunquismo di destra.