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  • Giovedì 16 giugno 2022

Il prepotente ingresso nel golf dell’Arabia Saudita

Con il suo fondo sovrano ha finanziato un nuovo e ricchissimo circuito professionistico già entrato in conflitto con quelli esistenti

(Oisin Keniry/Getty Images)
(Oisin Keniry/Getty Images)
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Da un paio di settimane il mondo del golf professionistico è in subbuglio per l’istituzione di un nuovo circuito professionistico internazionale che in molti paragonano alla Super Lega del calcio europeo. Solo che, a differenza di quest’ultima, rimasta sulla carta dopo il tentativo fallito di introdurla, il nuovo circuito del golf professionistico già esiste e a inizio giugno è partita la sua prima stagione.

Si chiama LIV Golf — LIV è il numero romano che richiama le 54 buche che vengono giocate nei suoi tornei — ed è sostenuto dal fondo sovrano saudita, lo stesso che negli ultimi anni ha aumentato notevolmente i suoi investimenti nel mondo dello sport suscitando non poche critiche. È stato presentato come «il futuro del golf» e nella pratica si differenzia per formati di gioco più brevi dei circuiti tradizionali e un minor numero di tornei distribuiti nel corso dell’anno, con tappe nel Regno Unito, in Thailandia, negli Stati Uniti e naturalmente in Arabia Saudita.

Un circuito golfistico alternativo a quelli tradizionali era in cantiere da un paio di anni e negli ultimi mesi la sua possibile istituzione era diventata sempre più evidente, in concomitanza con l’ingaggio di circa una trentina fra i migliori professionisti al mondo. I nomi più conosciuti sono quelli di Phil Mickelson, Dustin Johnson, Sergio García, Patrick Reed, Lee Westwood e Bryson DeChambeau, i quali si sono legati contrattualmente alla nuova organizzazione attratti dagli ingaggi e dai premi offerti, in media più alti che altrove: secondo indiscrezioni condivise dalla stampa estera, Dustin Johnson, a lungo numero uno nel ranking mondiale, riceverà fino a 150 milioni di dollari per la sua partecipazione alla stagione inaugurale.

L’amministratore delegato del circuito, l’ex numero uno al mondo Greg Norman, ha rivelato inoltre che l’organizzazione avrebbe offerto anche a Tiger Woods, il golfista più famoso di sempre, «un compenso a nove cifre» per la sua presenza. Woods avrebbe però rifiutato preferendo restare legato al PGA Tour, l’organizzazione che riunisce i principali tornei americani e che insieme all’European Tour rappresenta la maggiore associazione riconosciuta del golf professionistico.

Le cerimonie per l’inizio del primo torneo LIV Golf a Londra, lo scorso 11 giugno (Matthew Lewis/Getty Images)

Da mesi il PGA Tour minacciava ritorsioni contro chi avesse aderito al circuito LIV. Fino a poco tempo fa, infatti, tutti i giocatori più importanti erano legati contrattualmente al PGA Tour, e questo garantiva loro l’eleggibilità per i tornei più importanti — esclusi i quattro cosiddetti major, che rimangono indipendenti — e tra questi la Ryder Cup, la prestigiosa competizione biennale in cui si affrontano una selezione di giocatori europei e una americana. Per non incorrere in sanzioni, alcuni giocatori che hanno aderito a LIV Golf erano fuoriusciti per tempo dal PGA Tour. Altri però non lo hanno fatto, come Johnson e DeChambeau, e ora sono stati sospesi dai circuiti tradizionali: dovrebbero poter giocare nei tornei major, ma di recente anche gli organizzatori dello US Open — uno dei quattro major — hanno ipotizzato una loro esclusione.

Oltre che per la sua incompatibilità con il circuito esistente, LIV Golf viene criticato anche per i suoi legami con l’Arabia Saudita, un paese governato da un secolare regime autoritario e repressivo la cui immagine è stata profondamente influenzata dall’omicidio di Jamal Khashoggi, dissidente e giornalista del Washington Post ucciso il 3 ottobre del 2018 nel consolato saudita di Istanbul. La sua morte era stata ricondotta dalle inchieste internazionali al principe ereditario Mohammed bin Salman, ritenuto fin lì il promotore di una serie di riforme che avrebbero potuto cambiare il paese e “slegarlo” dalla sua rigida interpretazione dell’Islam.

In tutto questo, da anni l’Arabia Saudita sta rafforzando notevolmente la sua presenza negli sport professionistici — soprattutto calcio e corse automobilistiche — per ricevere in cambio buona pubblicità e per diventare più familiare al pubblico internazionale, da cui finora è stata vista perlopiù in cattiva luce: la cosiddetta pratica dello sportwashing. Negli ultimi anni, in concomitanza con questa presenza sempre più evidente, le polemiche sono state frequenti, e una aveva riguardato anche il calcio italiano, quando allo stadio di Gedda la presenza del pubblico femminile per la Supercoppa del 2018 tra Juventus e Milan fu permessa soltanto in un settore dell’impianto.

Nel golf, vista la presenza di numerosi giocatori americani, e considerando anche la grande popolarità della disciplina negli Stati Uniti, il sostegno dell’Arabia Saudita al nuovo circuito, che potenzialmente potrebbe diventare un nuovo riferimento per il golf internazionale a discapito delle associazioni americane ed europee, sta generando più polemiche che altrove. Si è arrivati addirittura a citare il coinvolgimento del paese negli attentati dell’11 settembre 2001, come fatto di recente da un’associazione di familiari delle vittime che ha criticato la scelta dei giocatori americani passati al nuovo circuito saudita.

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