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  • Mercoledì 21 febbraio 2024

Non abbiamo ancora capito Julian Assange

Una parte dell'opinione pubblica considera il creatore di Wikileaks un eroe, un'altra parte una minaccia: un riassunto per capire la sua storia, i suoi successi e i suoi errori

Julian Assange nel 2019
Julian Assange nel 2019 (AP Photo/Matt Dunham)
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Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, sta affrontando in questi giorni nuove udienze presso l’Alta Corte del Regno Unito, uno dei principali tribunali del paese, che dovrà decidere se accettare o meno la sua richiesta di appello contro la decisione del governo britannico di estradarlo negli Stati Uniti. Assange, che da cinque anni si trova in carcere nel Regno Unito, è accusato negli Stati Uniti di violazione dell’Espionage Act, una legge contro gli atti di spionaggio, e se estradato rischia di essere condannato a 175 anni di carcere, se si sommano assieme tutti i capi di accusa contro di lui.

Le udienze dell’Alta Corte britannica sono uno degli atti finali della lunghissima vicenda giudiziaria di Assange, ma non l’ultimo. Se la Corte accetterà la sua richiesta di appello, comincerà un nuovo processo nel Regno Unito, mentre se la rigetterà Assange potrebbe in teoria fare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, cosa che metterebbe in pausa il processo di estradizione. Secondo la sua difesa, tuttavia, questo è «l’inizio della fine» del percorso di Assange contro l’estradizione negli Stati Uniti.

Julian Assange è una di quelle persone molto conosciute che provoca nell’opinione pubblica mondiale reazioni forti e per certi versi divisive: per i suoi sostenitori, è un eroe che da oltre un decennio subisce una persecuzione ingiusta per aver svelato con il suo lavoro i “segreti dei potenti”, e soprattutto riguardo alle attività militari degli Stati Uniti; per i suoi detrattori, è una minaccia per la sicurezza nazionale, che ha gestito segreti delicati in maniera impropria e collaborato con l’intelligence russa – volontariamente o meno – per influenzare il risultato delle elezioni del 2016, quelle vinte da Donald Trump.

Julian Assange, australiano, oggi ha 52 anni. Fondò Wikileaks nel 2006 come sito internet, ong e giornale online che aveva lo scopo principale di pubblicare documenti segreti e riservati condivisi da fonti anonime. Assange proveniva dall’ambiente degli appassionati di informatica e internet dei primi anni Duemila, ed era convinto che il libero e diretto accesso alle informazioni e ai documenti da parte degli utenti avrebbe cambiato il mondo del giornalismo e della politica.

In quasi vent’anni di attività Wikileaks ha pubblicato milioni di documenti riservati, e in alcuni casi la loro pubblicazione ha portato a svelare grossi scandali e provocato notevoli cambiamenti politici; in altri ha avuto effetti decisamente più controversi, che hanno danneggiato la reputazione di Wikileaks e di Assange nei confronti di almeno parte dell’opinione pubblica internazionale.

Una manifestazione a favore di Assange nel 2019 a Londra

Una manifestazione a favore di Assange nel 2019 a Londra (AP Photo/Frank Augstein)

Wikileaks divenne nota in tutto il mondo a partire dal 2010, quando pubblicò Collateral Murder, un video segreto dell’esercito americano mai visto prima di allora che mostrava un attacco con elicottero compiuto dagli Stati Uniti nel 2007 a Baghdad, durante la guerra in Iraq. Nel video si vede come l’elicottero apra il fuoco contro due giornalisti iracheni di Reuters, scambiati per guerriglieri, e poi di nuovo contro un gruppo di civili disarmati che era accorso a soccorrerli. Il video colpì particolarmente l’opinione pubblica, sia per la sua crudezza (è girato dal punto di vista dell’elicottero) sia per il compiacimento con cui i soldati statunitensi commentano l’uccisione degli obiettivi, come se si fosse trattato di un videogioco.

Collateral Murder fu accolto con estremo favore da un’opinione pubblica mondiale già molto contraria alla guerra americana in Iraq, e trasformò Assange e Wikileaks in celebrità internazionali.

Come sempre, Wikileaks tenne anonima la fonte che aveva consegnato il video, ma un paio di mesi dopo la pubblicazione l’esercito americano riuscì comunque a individuarla: era Chelsea Manning, che allora faceva parte dell’esercito americano, era in servizio in Iraq e lavorava come analista d’intelligence che aveva accesso a enormi quantità di documenti sia militari sia diplomatici (Manning all’epoca era nota con un’identità maschile, per quanto avesse iniziato un percorso di transizione di genere, e nel 2013 fece coming out come donna trans). Fu scoperta perché aveva confidato online a un celebre hacker di aver trafugato alcuni documenti, e quello la denunciò alle autorità.

Manning, si scoprì in quei giorni, aveva consegnato a Wikileaks centinaia di migliaia di documenti, video e altro materiale segreto, spinta dall’idea che le guerre americane in Medio Oriente fossero ingiuste e che l’assoluta trasparenza promossa da Assange avrebbe migliorato il mondo. Fu immediatamente arrestata, mentre ancora si trovava in Iraq, ma ormai per l’esercito americano era troppo tardi: i documenti erano arrivati a Wikileaks.

Il grande database di documenti consegnati da Manning fu la fonte di grandi leak (fuoriuscite) di documenti nei due-tre anni successivi, che provocarono scandali e imbarazzi soprattutto per il governo statunitense. Sempre nel 2010 Wikileaks pubblicò da quel database centinaia di migliaia di documenti sulla guerra in Iraq che mostravano che il conteggio dei civili uccisi nella guerra era stato gravemente sottostimato; pubblicò poi decine di migliaia di documenti che mostrarono in maniera inedita il funzionamento e l’andamento della guerra in Afghanistan.

Molto spesso le pubblicazioni di Wikileaks venivano fatte in collaborazione con grandi giornali internazionali (tra questi, negli anni, si distinsero il Guardian, lo Spiegel, il País), che aiutavano Assange e gli analisti di Wikileaks a selezionare, verificare ed editare le storie più interessanti e significative contenute nell’enorme massa di documenti di Manning, e che in cambio ricevevano l’esclusiva sulla pubblicazione di queste storie. Assange, che diceva di essere spinto da un ideale di trasparenza assoluta, in molte circostanze continuò a pubblicare tutti i documenti segreti nella loro interezza.

Wikileaks cercava di eliminare da questi documenti i dati personali e altri elementi che avrebbero potuto mettere in pericolo le persone, ma a volte questo lavoro era fatto frettolosamente. Per esempio il leak sulla guerra in Afghanistan conteneva i dati identificabili di centinaia di afghani coinvolti in varie maniere nelle operazioni militari americane. Wikileaks fu molto criticata per questo, ma a oggi non ci sono notizie confermate di persone che sarebbero state messe in pericolo dalla pubblicazione dei documenti.

Wikileaks fece poi partire il cosiddetto “Cablegate”, un’altra pubblicazione di massa di documenti segreti provenienti ancora dal database di Manning. Questa volta i segreti non erano militari ma diplomatici: Wikileaks pubblicò centinaia di migliaia di “cablo” statunitensi, cioè le comunicazioni diplomatiche che ambasciate e consolati americani nel mondo scambiano tra loro e con il dipartimento di Stato, cioè il ministero degli Esteri. Wikileaks inizialmente avrebbe voluto pubblicare soltanto i cablo più notevoli, ma a causa di un errore nel 2011 fu costretta a pubblicarli tutti, più di 250 mila.

I cablo contenevano nella stragrande maggioranza informazioni banali, ma alcuni crearono grossi scandali e influenzarono perfino importanti eventi mondiali. Tra le altre cose, il “Cablegate” rivelò che gli Stati Uniti avevano avviato un programma per spiare la dirigenza delle Nazioni Unite, compreso l’allora segretario generale Ban Ki-moon. Il “Cablegate” ebbe effetti che andarono oltre gli Stati Uniti: per esempio, l’opinione pubblica della Tunisia reagì negativamente per vari cablo in cui i diplomatici statunitensi commentavano le eccessive ricchezze e la corruzione dell’allora presidente Ben Ali. Secondo alcuni, questo scandalo fu una delle ragioni dell’avvio della rivolta contro Ben Ali in Tunisia, che poi diede inizio anche alle cosiddette primavere arabe.

Negli anni successivi Wikileaks pubblicò altri leak di documenti riservati, nessuno dei quali ebbe però gli effetti e la notorietà delle rivelazioni che venivano dal database di Manning. Contrariamente a quanto alcuni potrebbero ricordare, Wikileaks non ebbe un vero ruolo nello scandalo della NSA, quello in cui nel 2013 Edward Snowden, un informatico che lavorava a contratto per l’Agenzia per la sicurezza nazionale statunitense (NSA, appunto), aveva trafugato migliaia di documenti che provavano l’esistenza di un esteso programma di spionaggio digitale da parte degli Stati Uniti. Snowden, anzi, rifiutò esplicitamente il metodo di Wikileaks, si rifiutò di pubblicare i documenti in massa e affidò i suoi documenti segreti a giornalisti esperti affinché tutto ciò che veniva pubblicato fosse vagliato. Assange comunque aiutò Snowden nella sua fuga dagli Stati Uniti, e a trasferirsi in Russia (anche se originariamente sarebbe dovuto andare in America Latina).

Wikileaks non ebbe niente a che vedere nemmeno con un’altra celebre pubblicazione di documenti riservati, quella dei cosiddetti Panama Papers.

Ad ogni modo, grazie alle eccezionali pubblicazioni dei documenti di Manning, Assange divenne sempre più famoso e sempre più odiato dalla classe dirigente di molti paesi occidentali.

Nel 2013 gli Stati Uniti condannarono Chelsea Manning, arrestata nel 2010, a 35 anni di prigione per violazione di segreti di stato e altri crimini. Aprirono anche un’indagine su Wikileaks che però non ebbe grandi sviluppi: l’amministrazione di Barack Obama valutò l’opportunità di incriminare Wikileaks e lo stesso Assange sulla base dell’Espionage Act, una legge del 1917 creata contro le spie durante la Prima guerra mondiale. Ma alla fine non lo fece perché Wikileaks era di fatto una testata giornalistica che aveva pubblicato materiale di interesse giornalistico, anche se ottenuto con metodi illegali, e incriminarla per spionaggio avrebbe creato un precedente pericoloso per la libertà di stampa.

Dopo sette anni di carcere, nel 2017 l’amministrazione Obama graziò anche Chelsea Manning, che tornò in libertà.

Assange ebbe però altri problemi legali: nel 2010 due donne svedesi lo accusarono di stupro e molestie sessuali, e la Svezia fece richiesta al Regno Unito, il paese dove Assange si trovava in quel momento, di estradarlo. Le autorità britanniche misero allora Assange in libertà vigilata, in attesa che un tribunale decidesse se la richiesta svedese di estradizione fosse accettabile o no. Assange si convinse però che l’inchiesta contro di lui fosse in realtà un piano degli Stati Uniti per colpirlo indirettamente, e che se fosse stato estradato in Svezia il governo svedese lo avrebbe poi consegnato all’America.

Nel giugno del 2012 Assange violò la libertà vigilata e si rifugiò nell’ambasciata a Londra dell’Ecuador, un paese solidale con la causa di Wikileaks, il cui presidente Rafael Correa gli aveva offerto rifugio. L’indagine per stupro della Svezia fu archiviata definitivamente nel 2019, ma per allora Assange aveva già nuovi e più grandi problemi giudiziari.

Un discorso di Assange dal balcone dell'ambasciata dell'Ecuador, nel 2012

Un discorso di Assange dal balcone dell’ambasciata dell’Ecuador, nel 2012 (AP Photo/Kirsty Wigglesworth)

In quel periodo Assange cominciò a sentirsi continuamente sorvegliato, e si convinse che contro di lui fosse in atto un’enorme operazione di persecuzione ordita dagli Stati Uniti e dai loro alleati, a partire dalla magistratura svedese. I suoi sostenitori hanno sempre ritenuto questi timori giustificati; i suoi detrattori lo hanno invece accusato di essere paranoico e ossessivo.

Fin dall’inizio della sua carriera Assange è sempre stato un personaggio controverso, anche a causa del suo carattere poco accessibile, sospettoso e a volte megalomane. Le sue idee di trasparenza assoluta e i suoi metodi non convenzionali nella gestione di segreti e materiale classificato negli anni gli attirarono grosse critiche, ma almeno inizialmente l’opinione pubblica fu piuttosto concorde sul fatto che il suo lavoro fosse votato a svelare i segreti dei politici e governi più potenti e rivelare scandali importanti, di cui era giusto che il pubblico fosse a conoscenza.

Le critiche contro Assange si infittirono con il “cablegate”, perché il grosso della corrispondenza diplomatica americana non era scandaloso come i documenti sulle guerre mediorientali, e perché Wikileaks gestì i documenti sensibili in maniera un po’ maldestra.

Ma la critiche divennero ancora più intense con la campagna elettorale per le elezioni del 2016 negli Stati Uniti e con i leak sul Partito Democratico: fu quello il momento in cui agli occhi di molte persone la percezione di Wikileaks cambiò, e la figura di Assange divenne estremamente polarizzante.

Semplificando molto, tra il 2015 e il 2016 il Partito Democratico americano e il comitato elettorale di Hillary Clinton, la candidata Democratica alla presidenza, furono vittime di due gravi attacchi informatici, nei quali furono rubate grandi quantità di documenti, soprattutto email. Si stabilì ben presto che gli attacchi erano stati compiuti da hacker di stato russi, che usarono degli pseudonimi (il più famoso fu “Guccifer 2.0”) per cominciare a diffondere i documenti online. Ma proprio in quel periodo anche Wikileaks cominciò a diffondere documenti riservati (soprattutto email) che provenivano dal Partito Democratico americano e dal comitato elettorale di Hillary Clinton.

Quelle email non contenevano niente di molto scandaloso: alcune testimoniavano le lotte interne a un grande partito come quello Democratico, altre piccoli intrighi intestini, altre ancora pettegolezzi e maldicenze private tra politici e funzionari di partito. Ma l’importanza di Wikileaks e l’autorevolezza di Assange trasformarono quelle email in un grosso caso nazionale. I giornali prima americani e poi di tutto il mondo, ormai abituati a fare articoli sulle grandi rivelazioni di Wikileaks, trattarono i pettegolezzi dei Democratici come materiale scandaloso. Donald Trump, il candidato Repubblicano, cominciò ad accusare Hillary Clinton di conservare email segrete su non meglio specificati server, e lo scandalo finì per danneggiare l’immagine della candidata.

Ben presto si capì che la fonte che forniva a Wikileaks il materiale sul Partito Democratico nel pieno della campagna elettorale erano Guccifer e gli hacker di stato russi: agli occhi dei suoi detrattori Wikileaks si era di fatto resa complice di una campagna del regime russo per influenzare le elezioni negli Stati Uniti.

Assange ha sempre negato che la sua fonte fosse l’intelligence russa, e ha cercato di sviare l’attenzione dal caso: a un certo punto fece capire che la sua fonte avrebbe potuto essere Seth Rich, un giovane dipendente del Partito Democratico che era stato ucciso a metà del 2016, probabilmente durante una rapina. Le insinuazioni di Assange contribuirono a creare diverse teorie del complotto di estrema destra, secondo cui Rich era stato ucciso da persone ingaggiate da Hillary Clinton e dal Partito Democratico che volevano punirlo per aver diffuso le email. Assange ha poi smentito di aver fatto riferimento a Rich come possibile fonte.

A ogni modo, le prove del fatto che la fonte di Assange fosse l’intelligence russa sono molto solide: un giornalista del New Yorker che conosce Assange da anni e che nel 2017 scrisse un noto articolo su di lui le definì «incontrovertibili». Gli hacker russi – che comunicavano abbastanza apertamente con i giornalisti, sebbene sempre sotto pseudonimo – insinuarono che Assange si fosse coordinato con loro per la pubblicazione dei documenti, ma su questo non ci sono prove definitive.

La collaborazione – consapevole o meno – con la Russia potrebbe essere confermata anche da vari elementi di circostanza, come il fatto che Assange vedeva nel governo degli Stati Uniti il suo nemico principale, e che Hillary Clinton, che era segretaria di Stato al tempo del “cablegate”, gli era particolarmente invisa: in più di un’occasione si disse convinto che Clinton lo voleva morto. Assange inoltre aveva approfondito nel tempo i rapporti con la Russia, al punto che nel 2012 aveva condotto un programma televisivo su RT, la tv di stato russa che trasmette propaganda per il regime di Vladimir Putin.

La grossa interferenza di Assange e di Wikileaks nelle elezioni americane del 2016 – che terminarono con la vittoria di Donald Trump – provocarono nuove divisioni nell’opinione pubblica e tra i suoi sostenitori. Assange guadagnò ammiratori nella destra trumpiana e nell’estrema destra. Anche nella sinistra europea, e soprattutto nella parte più radicale e antiamericana, Assange è rimasto assai popolare. Ma molti sostenitori più di vecchia data cominciarono a mettere in dubbio i suoi metodi.

Nel giro di poco tempo anche l’amministrazione di Donald Trump si rivoltò contro Assange, soprattutto dopo che nel 2017 Wikileaks pubblicò “Vault 7”, una serie di documenti che rendeva pubbliche le capacità informatiche della CIA. Il dipartimento di Giustizia aprì contro Assange un’indagine sulla base dell’Espionage Act, la stessa legge che l’amministrazione Obama aveva ritenuto inadeguata, e avviò le pratiche per la sua estradizione negli Stati Uniti.

Julian Assange nel 2011

Julian Assange nel 2011 (AP Photo/Lefteris Pitarakis)

Dopo una serie di lunghe controversie, l’11 aprile del 2019 l’ambasciata dell’Ecuador a Londra espulse Assange, che fu rapidamente arrestato dalla polizia britannica. Da allora Assange si trova in carcere, in attesa di sapere se sarà estradato o meno negli Stati Uniti.

Se si contano i sette anni trascorsi rinchiuso nell’ambasciata dell’Ecuador e i cinque di carcere, Assange non è in libertà da oltre 12 anni. Negli ultimi anni, peraltro, ha sofferto di una forte depressione e il suo stato di salute è rimasto precario. Anche per questo c’è oggi un certo consenso sul fatto che il trattamento che gli viene riservato sia ormai sproporzionato.

Negli scorsi giorni Alice Jill Edwards, la relatrice speciale dell’ONU sulla tortura, ha chiesto al governo britannico di non estradare Assange negli Stati Uniti. Anche Anthony Albanese, il primo ministro australiano, ha detto che «è ora di riportare a casa» Julian Assange.