Per cosa protestano gli agricoltori italiani
Le manifestazioni con i trattori sono accompagnate da molte richieste, tra cui una revisione completa delle politiche europee e limitazioni per i “cibi sintetici”
Le proteste degli agricoltori sono arrivate anche in Italia, dopo che si sono diffuse già da inizio gennaio in diversi paesi europei, tra cui Germania e Francia. Dal weekend del 27 e del 28 gennaio alcune centinaia di agricoltori stanno bloccando con i loro trattori diverse strade e caselli autostradali in varie parti del paese, da Nord a Sud.
Nella maggior parte dei casi le proteste sono organizzate da gruppi di attivisti o piccole associazioni, che agiscono in modo indipendente ma hanno alcune posizioni comuni: criticano le politiche agricole europee, considerate eccessivamente ambientaliste e poco attente alle necessità dei lavoratori, sono contrari ai cosiddetti “cibi sintetici” e chiedono al governo italiano di mantenere alcune agevolazioni fiscali a favore degli imprenditori agricoli, che sono in difficoltà a causa dell’aumento dei costi di produzione.
Alcune richieste sono piuttosto precise, mentre altre sono più generiche e per certi versi pretestuose: l’agricoltura è un tema enorme, e in questo caso la confusione è accentuata dalla frammentazione delle proteste e dei tanti movimenti che le stanno organizzando, ognuno dei quali ha rivendicazioni specifiche. Capirci qualcosa quindi non è scontato.
Per ora la principale forma di protesta adottata dai manifestanti è stato il blocco di strade e caselli autostradali in varie parti d’Italia. A Milano, per esempio, martedì quasi 200 agricoltori hanno sistemato i loro trattori vicino a Melegnano, a sud della città; altri hanno bloccato il casello autostradale di Brescia e varie strade in Piemonte e Liguria. Nel Centro e nel Sud il traffico è stato ostacolato in alcune regioni tra cui Puglia, Calabria e Lazio, soprattutto vicino a Orte.
In Toscana da martedì 30 gennaio il Coordinamento nazionale riscatto agricolo (CNRA) sta protestando vicino al casello di Valdichiana, sull’autostrada A1. «Stiamo facendo un presidio fisso, giorno e notte, e di giorno ci sono anche cortei con i trattori», dice Salvatore Fais, tra gli organizzatori del Coordinamento. «Il primo giorno eravamo più di 400. Poi ci siamo mantenuti sempre sui 200, 250 trattori, ma aumenteranno nel fine settimana», dice. Il piano è andare avanti almeno fino a lunedì: «Se non verremo convocati, magari entreremo anche in autostrada». Fais vorrebbe parlare direttamente con il ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare guidato da Francesco Lollobrigida, con cui per ora «ci sono stati dei contatti, ma niente di ufficiale».
Il Coordinamento ha diffuso un comunicato in cui spiega le dieci richieste principali alla base delle proteste. Alcune hanno a che fare con la Politica agricola comune (PAC), l’insieme di norme che regolano l’erogazione dei fondi europei per l’agricoltura, che comunque è uno dei settori più sussidiati, soprattutto in passato. La PAC viene aggiornata ogni cinque anni: l’ultima è entrata in vigore nel 2023, e sarà valida fino al 2027. È un pacchetto di norme articolato e corposo, che si basa su alcuni obiettivi fondamentali: tra gli altri garantire un reddito equo agli agricoltori, proteggere la qualità dell’alimentazione e della salute, tutelare l’ambiente e contrastare i cambiamenti climatici.
Proprio le norme relative alla salvaguardia ambientale sono tra le più contestate dagli agricoltori. Il CNRA chiede una «revisione completa» della PAC, considerata un esempio di «estremismo ambientalista a scapito della produzione agricola e dei consumatori».
Uno dei punti più criticati è l’obbligo per gli agricoltori europei di lasciare incolto il 4 per cento dei propri campi, in modo da stimolare la biodiversità dei terreni. Gli agricoltori italiani ed europei l’hanno sempre criticato, vedendolo come un’inutile privazione di terreno potenzialmente produttivo. Il vincolo è contenuto nell’ultima versione della PAC, ma non è mai davvero entrato in vigore, dato che nel 2023 è stato sospeso a causa della crisi energetica e della guerra in Ucraina.
La misura sarebbe dovuta diventare effettiva dal gennaio del 2024, ma mercoledì la Commissione Europea ha proposto una sorta di deroga, per cercare di rispondere alle tante proteste delle ultime settimane. Ha stabilito che sulla porzione di terreni che dovrebbe rimanere libera si potranno coltivare piante considerate benefiche per la terra, come piselli, fave o lenticchie, oppure colture a crescita rapida, che hanno un impatto meno pesante di quelle ordinarie. La proposta di deroga dovrà essere approvata dal Consiglio dell’Unione Europea, quindi dai rappresentanti dei governi dei 27 Stati membri.
In questo modo è stata almeno parzialmente ascoltata una delle richieste avanzate anche dagli agricoltori italiani: l’«abolizione immediata di vincoli e incentivi per non coltivare i terreni».
Nel corso delle negoziazioni per la PAC sono state eliminate anche altre misure che inizialmente avrebbero dovuto essere contenute nel testo finale. Per esempio, a novembre il Parlamento Europeo respinse una proposta che chiedeva di ridurre notevolmente l’uso di fitofarmaci, categoria di cui fanno parte gli insetticidi e i repellenti. In questo caso il problema principale secondo le associazioni di rappresentanza degli imprenditori agricoli è la mancanza di alternative: «Non significa che l’agricoltore preferisce lavorare e produrre con l’utilizzo della chimica, ma è necessario», dice Tommaso Battista, il presidente della Confederazione produttori agricoli (Copagri).
Un’altra misura che è stata discussa e poi scartata riguarda le emissioni degli allevamenti intensivi di bovini: nelle prime fasi delle negoziazioni europee era stato proposto di trattarle allo stesso modo di quelle delle fabbriche, ma alla fine il Parlamento Europeo decise di continuare a escluderle. Alcune norme europee sulle emissioni industriali prevedono già che gli allevamenti di pollame o suini che superano un certo numero di animali debbano avere dei permessi speciali per operare.
Gli agricoltori italiani hanno fatto proprie anche alcune delle richieste presentate dai loro colleghi europei, che però in Italia non hanno conseguenze altrettanto evidenti o concrete. Il caso principale è l’eliminazione delle agevolazioni fiscali per l’acquisto del gasolio agricolo, il carburante usato dai trattori. È una proposta avanzata dai governi della Francia (che poi l’ha ritirata) e della Germania, ma che in Italia non è mai stata avanzata, anzi: da anni il gasolio per usi agricoli è tassato con un’accisa molto più favorevole rispetto a quella della benzina, e l’agevolazione è stata confermata anche per il 2024.
Per ora quindi in Italia le agevolazioni fiscali sul gasolio non verranno rimosse, ma secondo gli agricoltori potrebbe succedere nel prossimo futuro. Nel 2023 il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha inserito l’agevolazione nel “Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi”, che dovranno essere rivisti nei prossimi anni per garantire il rispetto delle norme europee. È quindi possibile che l’agevolazione sul gasolio agricolo venga rimossa, come sostengono gli agricoltori, ma non si sa né se succederà davvero né quando.
Gli agricoltori chiedono anche al governo di Giorgia Meloni di mantenere in vigore altre agevolazioni fiscali di cui per anni hanno potuto beneficiare. Con la legge di bilancio per il 2024 il governo non ha confermato l’esenzione per i redditi agricoli dall’IRPEF, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, che era in vigore dal 2017: gli agricoltori dovrebbero quindi tornare a pagare l’aliquota ordinaria. Tuttavia secondo Battista, presidente di Copagri, è possibile che una proroga venga inserita nel decreto “Milleproroghe”, approvato dal governo a fine dicembre e ora in discussione alla Camera per la conversione in legge.
Altre richieste sono meno concrete o, in ogni caso, difficili da mettere in pratica. Per esempio, gli agricoltori chiedono di «ridurre o addirittura togliere» l’IVA su alcuni prodotti alimentari primari, che oggi sono tassati al 4 o 5 per cento, uno sconto già rilevante rispetto all’aliquota standard del 22 per cento. È una proposta di cui si parla da tempo, ma che sarebbe costosissima: secondo alcune stime lo Stato potrebbe perdere circa 6,5 miliardi di euro all’anno.
Un’altra richiesta è relativa ai cosiddetti “cibi sintetici”, come la carne sintetica o altri alimenti che si stanno diffondendo ma che non fanno parte della tradizione alimentare italiana (la farina di insetti, per esempio), sui quali tra gli imprenditori agricoli c’è una forte resistenza perché vengono visti come una minaccia ai loro affari. «Nel 2030 saremo nove miliardi di persone: bisognerà garantire il cibo, ma non possiamo permettere che questo sia prodotto in laboratorio», dice Battista.
– Leggi anche: Che cos’è la “carne sintetica”
È una posizione condivisa anche dal governo Meloni, che a marzo del 2023 presentò un disegno di legge per vietare la produzione e la vendita di «alimenti e mangimi sintetici», un’iniziativa sostenuta soprattutto dal ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida. Il testo è stato approvato dal parlamento a novembre, rendendo l’Italia il primo paese europeo a introdurre divieti simili, però recentemente la Commissione Europea ha fatto sapere al governo che la legge non può essere applicata perché non è stata notificata alla Commissione prima che venisse approvata, in pratica per un vizio di forma.
Gli agricoltori chiedono allo Stato anche di «contenere la fauna selvatica» e rispondere «direttamente» dei danni che questa causa, e di vietare l’importazione di prodotti agricoli da paesi con standard produttivi e sanitari meno rigidi rispetto a quelli italiani ed europei, riducendo così la concorrenza.
Vogliono inoltre che il governo istituisca un «tavolo tecnico di soli veri agricoltori», che dovrebbe essere coinvolto ogni volta che si approva una nuova normativa o se ne modifica una già esistente legata al settore agricolo o alimentare. Questa rivendicazione si collega in parte alla critica della PAC e di altre politiche europee, considerate troppo lunghe, complicate e lontane dalla realtà e dalle richieste effettive delle categorie direttamente interessate.
Angelo Frascarelli, professore al dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e ambientali all’Università di Perugia, dice che i vari vincoli ambientali imposti dalla PAC contribuiscono a creare «uno scollamento tra l’agricoltura, la società e la politica». Lo si vede, per esempio, nel fatto che spesso i contadini e gli allevatori accusano i politici che scrivono le leggi di non conoscere abbastanza i temi che dovrebbero regolamentare. «L’agricoltura sente un disagio e vuole essere ascoltata», dice Frascarelli. Anche per questo gli agricoltori del CNRA vogliono «riqualificare» la loro figura pubblica, per «valorizzarla e non additarla come responsabile dell’inquinamento ambientale».
Secondo Frascarelli, sulle attività del settore agricolo pesano effettivamente molte incertezze: i prezzi sono volatili e le normative continuano a cambiare, così come le condizioni climatiche e i vincoli per ottenere i sostegni pubblici, fattori che nel complesso rendono molto difficile fare programmi a lungo termine. Sono problemi reali, per i quali però non ci sono soluzioni semplici: negli ultimi giorni ci sono state «molto proteste e poche proposte», dice.
Le proteste sono organizzate perlopiù da associazioni o comitati minori che si muovono in ordine sparso e quasi spontaneo. Hanno ricevuto il sostegno di alcune confederazioni nazionali, come Copagri, ma non della principale associazione di categoria, Coldiretti. Sul proprio sito l’associazione non ha pubblicato alcun comunicato in merito alle proteste in Italia, ma in compenso giovedì ha partecipato a un’altra, grossa manifestazione organizzata a Bruxelles in occasione della seduta straordinaria del Consiglio Europeo. Si è svolta davanti alla sede del Parlamento Europeo ed è stata piuttosto violenta: alcuni agricoltori provenienti da diversi paesi europei hanno dato fuoco a rifiuti e copertoni, rovesciato letame per la strada e lanciato uova contro gli uffici delle istituzioni europee.
Mentre a Bruxelles erano in corso queste proteste, Salvatore Fais del Coordinamento nazionale riscatto agricolo stava manifestando con i trattori in Toscana: dice di non aver avuto alcun contatto con Coldiretti, la quale anzi non avrebbe «nulla a che fare con le proteste» di questi giorni in Italia. «È anche contraria», dice.