Non dite agli inglesi come fare il tè

Una chimica americana ha consigliato di metterci un pizzico di sale creando un piccolo caso diplomatico su una questione che va avanti dai tempi di Orwell, almeno

Jill Biden e Rishi Sunak (AP Photo/Frank Augstein, Pool)
Jill Biden e Rishi Sunak (AP Photo/Frank Augstein, Pool)
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In questi giorni il fatto che una chimica statunitense abbia consigliato nel suo libro di mettere il sale nel tè per ridurne l’amaro ha creato un gran subbuglio nel Regno Unito, un paese in cui il tè fa parte della tradizione e in cui molte persone hanno opinioni forti in merito. La questione è finita sui principali quotidiani inglesi, dal Telegraph all’Independent e al Guardian, e ha causato un mezzo caso diplomatico su cui si sono espressi perfino l’ambasciata statunitense a Londra e l’Ufficio di gabinetto, l’ufficio del governo del Regno Unito che coadiuva il primo ministro e il dipartimento esecutivo del governo.

Per le persone inglesi il tè è una cosa seria, tanto che ciclicamente si discute di quali siano le procedure scientificamente più corrette per fare una buona tazza di tè. Nel 1946 lo scrittore e giornalista inglese George Orwell scrisse che il tè «era uno dei principali baluardi di civilizzazione nel paese» e che «il modo migliore di farlo [era] il soggetto di violente discussioni». Come aveva spiegato qualche anno fa sul suo blog sul Guardian il neuroscienziato Dean Burnett, alla fine «dal punto di vista scientifico, il modo giusto di fare il tè è ‘come più ti piace’».

Il caso di questi giorni riguarda il libro Steeped: The Chemistry of Tea, scritto dalla professoressa statunitense di chimica del Bryn Mawr College (Pennsylvania) Michelle Francl e pubblicato mercoledì dalla Royal Society of Chemistry, l’istituzione scientifica del Regno Unito dedicato alla scienza. Nel suo libro Francl spiega di aver consultato numerosi studi scientifici e testi antichi sulla preparazione del tè, e di aver cercato di usare le sue competenze in chimica, assieme alla sua predilezione per il tè rispetto al caffè, per capire come fare “la tazza di tè perfetta”.

Tra le altre cose, Francl raccomanda di aggiungerci un pizzico di sale, perché «gli ioni di sodio bloccano alcuni recettori che usiamo per percepire l’amaro» della bevanda. Secondo le sue ricerche, era una pratica indicata già in alcuni manoscritti cinesi dell’Ottavo secolo. Sulla stampa britannica Francl ha ottenuto grandi attenzioni ed è stata molto commentata anche sui social network.

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Si calcola che ogni giorno nel Regno Unito vengano bevute 100 milioni di tazze di tè su una popolazione di circa 67 milioni di abitanti. «Di sicuro non volevo provocare un incidente diplomatico», ha detto Francl in un’intervista data alla BBC. A suo dire è comprensibile che le persone possano essere disorientate dal timore di sentire il sapore del sale al tè, «ma non è come aggiungere lo zucchero».

Il caso comunque ha coinvolto anche le istituzioni. In un comunicato dai toni forzatamente altisonanti, l’ambasciata degli Stati Uniti a Londra ha scritto di non poter «restare impassibile, dal momento che una dichiarazione così vergognosa minaccia le stesse fondamenta della nostra relazione speciale» con il Regno Unito. «Vogliamo perciò rassicurare» gli abitanti del paese, prosegue il comunicato, «che il concetto impensabile di aggiungere il sale alla bevanda nazionale britannica non è una pratica ufficiale negli Stati Uniti. E non lo sarà mai».

Alla fine del comunicato si legge: «l’ambasciata degli Stati Uniti continuerà a fare il tè nel modo corretto, cioè usando il microonde». È un riferimento ironico a un altro caso di qualche anno fa, in cui una tiktoker americana aveva mostrato in un video come gli statunitensi fanno il tè, e cioè scaldandolo al microonde, provocando un dibattito. In risposta al comunicato dell’ambasciata statunitense, l’Ufficio di gabinetto ha scritto sui social di dover «dissentire sinceramente: il tè si può fare solo con un bollitore».

Quella sulla bollitura del tè al microonde è una delle principali questioni su cui inglesi e statunitensi hanno abitudini divergenti, ma è anche una delle fasi di preparazione della bevanda su cui la scienza non ha una risposta definitiva.

Francl per esempio è contraria a bollire l’acqua nel microonde perché, a suo dire, «la bollitura rapida rilascia magnesio e antiossidanti che formano uno strato di ‘sporco’ sulla superficie del tè», che sempre secondo le sue ricerche si può comunque eliminare con una spruzzata di succo di limone. Inoltre, come aveva già notato un gruppo di ricercatori cinesi, il microonde non scalda l’acqua in modo uniforme, con effetti negativi sull’infusione della bustina. Per Andrew Stapley, un ingegnere chimico della Loughborough University sentito diversi anni fa dal Guardian, il microonde invece andava bene lo stesso.

Una delle principali questioni su cui sono divise le stesse persone inglesi è la questione del latte: se lo si vuole mettere, va messo prima o dopo rispetto al tè?

In origine il latte si metteva prima nella tazza, per fare in modo che lo sbalzo di temperatura con l’acqua bollente non la facesse crepare oppure rompere. Anche secondo Stapley il latte va messo prima per evitare la degradazione delle proteine del latte, ed è la stessa cosa che sostiene la Royal Society of Chemistry. Francl invece ritiene che vada messo dopo, per evitare che cagli, e sarebbe meglio che venisse a sua volta riscaldato. Concorda con lei anche il sommelier ed esperto di tè Neil Phillips, ma più per una questione di etichetta: nei secoli scorsi versarlo prima infatti era un’abitudine associata alle classi sociali basse.

In ogni caso non bisognerebbe mai mettere la bustina di tè nel latte prima di versare l’acqua, che altrimenti si raffredderebbe troppo in fretta, compromettendo il processo di infusione e quindi il sapore della bevanda, diceva Burnett. È comunque una questione che si può aggirare facendo infondere il tè in una teiera.

Un funzionario delle metropolitane londinesi beve una tazza di tè durante le prove dei nuovi treni su un tratto della Central Line, nel febbraio del 1968

Un funzionario delle metropolitane londinesi beve una tazza di tè durante le prove dei nuovi treni su un tratto della Central Line, nel febbraio del 1968 (Leonard Burt/ Getty Images)

Indubbiamente sul gusto finale del tè influiscono molto le proprietà fisiche e chimiche dell’acqua e dello stesso tè, oltre alle preferenze personali. Anche la procedura però può avere un ruolo importante ed è probabilmente per questo che suscita così tante controversie. Nella sua ricetta per una buona tazza di tè pubblicata sull’Evening Standard il 12 gennaio del 1946, intitolata appunto “A Nice Cup of Tea”, lo stesso Orwell notava che dei suoi «undici punti fondamentali» per prepararla «forse si poteva essere d’accordo su due», mentre «almeno quattro [erano] estremamente discutibili».

Per Orwell il tè doveva essere dell’India o dello Sri Lanka, perché a suo dire quello cinese era «poco stimolante»; in più, doveva essere preparato in una teiera, meglio se in porcellana, terracotta o peltro, che è una lega composta principalmente di stagno. Sempre a suo dire, la teiera andava scaldata su un fornello prima di farci bollire l’acqua e le foglie di tè dovevano essere usate sciolte, senza colini, infusori o bustine, per fare in modo che potessero spostarsi liberamente e rilasciare tutte le loro proprietà.

Sono due punti su cui è d’accordo anche Francl, che ricorda di non far infondere le bustine troppo a lungo e consiglia di strizzarle e spingere su e giù più volte per ridurre l’effetto dei tannini, quelli che danno la sensazione di amaro. In ogni caso non si dovrebbero mai riutilizzare né le bustine né le foglie.

Come ultima cosa, il tè «dovrebbe essere bevuto senza zucchero», diceva Orwell. «Come fai a definirti un vero amante del tè se distruggi il sapore del tuo tè mettendoci dentro lo zucchero? Il tè deve essere amaro, come la birra», concludeva Orwell: «se lo addolcisci non stai più assaporando il tè, ma solo lo zucchero».

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