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  • Mercoledì 10 gennaio 2024

La storia dell’operazione Condor

Negli anni Settanta le polizie segrete delle dittature sudamericane fecero un patto per eliminare i loro oppositori, con l'aiuto degli Stati Uniti e dell'estrema destra europea

L'auto di Orlando Letelier dopo l'attentato, Washington, 21 settembre 1976 (AP Photo/Peter Bregg)
L'auto di Orlando Letelier dopo l'attentato, Washington, 21 settembre 1976 (AP Photo/Peter Bregg)
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Il prossimo 22 aprile inizierà in Italia un processo contro Carlos Luis Malatto, un ex militare argentino di 74 anni che ai tempi della dittatura di Jorge Videla, quindi fra gli anni Settanta e Ottanta, era fra i capi di una divisione dell’esercito nota per la sua brutalità contro gli oppositori politici. Malatto era fuggito dall’Argentina nel 2011 per evitare di essere condannato per i crimini compiuti durante la dittatura, così come avevano fatto molti altri funzionari che erano stati parte delle dittature sudamericane di destra che si erano rese responsabili in quegli anni di violenze, torture e omicidi mirati. Tutte queste operazioni rientravano in un piano più ampio, il Plan Cóndor, noto in Italia come operazione Condor, per il quale negli anni sono state condannate diverse persone in diversi paesi del mondo.

L’operazione Condor fu un patto fatto negli anni Settanta tra le polizie segrete delle dittature militari di Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay, con la collaborazione degli Stati Uniti. L’obiettivo era eliminare ogni forma di opposizione tramite violenza, sparizioni, torture e omicidi mirati di dissidenti che erano scappati all’estero. Il condor venne scelto come simbolo di quest’operazione perché compariva sullo stemma del Cile, il paese che la propose, e perché lo scopo era “planare” sull’intero continente e catturare i nemici comuni da eliminare.

L’operazione nacque formalmente nel novembre del 1975. Dopo il colpo di stato dell’11 settembre del 1973, che rovesciò il governo democraticamente eletto di Salvador Allende, il dittatore cileno Augusto Pinochet affidò al colonnello Manuel Contreras, capo della polizia politica cilena, il compito di creare un’organizzazione transnazionale. Contreras inviò dunque un proprio generale a Buenos Aires, in Argentina, per incontrare i rappresentanti della polizia boliviana, uruguaiana e Alberto Villar, vicecapo della polizia argentina e tra i fondatori della Triple A, un’organizzazione di estrema destra creata all’inizio degli anni Settanta guidata da José López Rega, segretario personale dell’allora presidente Juan Domingo Perón.

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In quell’occasione il rappresentante cileno propose, secondo la versione stenografica del colloquio, di «accreditare presso ogni ambasciata un agente della sicurezza, che potrebbe appartenere tanto alle forze armate quanto alla polizia, e la cui funzione principale sarebbe quella di assicurare il coordinamento con la polizia o con i rappresentanti della sicurezza di ogni paese (…). Dovremmo disporre anche di una centrale informativa in cui ottenere dati sui marxisti, (…) scambiare informazioni sugli attivisti politici. Dovremmo poter entrare e uscire dalla Bolivia, dalla Bolivia andare in Cile e da lì tornare in Argentina. Insomma spostarci in ognuno di questi paesi anche senza la copertura di un’inchiesta formale».

Nel 1974 nelle discariche di Buenos Aires cominciarono a comparire i primi cadaveri di esuli stranieri, soprattutto boliviani. Il generale cileno Carlos Prats, che era stato comandante dell’esercito durante il governo di Salvador Allende, venne ucciso insieme alla moglie in un attentato organizzato dai servizi segreti cileni con la collaborazione della polizia argentina, di un ex agente della CIA, Michael Townley, e di un gruppo di cubani anticastristi. Quello fu l’inizio dell’operazione Condor.

Nel novembre del 1975 Pinochet convocò a Santiago i responsabili dei servizi di sicurezza dei paesi del Sud America allora governati da giunte militari. Il verbale dell’incontro, reso pubblico nel 2001, era firmato dai rappresentanti di quattro dittature: il generale Pinochet del Cile, il generale Alfredo Stroessner salito al potere in Paraguay nel 1954, il generale Ernesto Geisel, dittatore del Brasile dal 1974 al 1979, e il generale Hugo Banzer che aveva preso il potere in Bolivia nel 1971. Il verbale era stato firmato anche dal rappresentante di un governo costituzionale, quello argentino, all’epoca presieduto da Isabel Martínez de Perón, l’ultima presidente del paese prima del colpo di stato militare del 1976.

Ben presto all’operazione si unirono anche i generali del presidente e dittatore dell’Uruguay, Juan María Bordaberry.

La repressione portata avanti dall’operazione Condor si verificò senza limiti di frontiera e sulla base di una collaborazione tra stati vicini secondo un principio di reciprocità, senza rispettare alcun ordine legale e in violazione dei trattati internazionali sottoscritti sul diritto di asilo e rifugio politico. L’organizzazione operò anche all’interno dei rispettivi territori sequestrando cittadini in clandestinità e consegnandoli alle autorità dei paesi di provenienza. Vennero rapiti, torturati e uccisi studenti, giornalisti, intellettuali, professori universitari, sindacalisti, operai, madri e padri che cercavano i propri figli scomparsi. Spesso le violenze non si limitarono al soggetto ritenuto “sovversivo”, ma si estesero anche ai suoi familiari.

All’interno dell’operazione Condor vennero anche create delle squadre speciali composte da individui provenienti dai paesi membri coinvolti che venivano chiamate quando gli obiettivi erano presunti terroristi o simpatizzanti di organizzazioni terroristiche.

Le dittature che facevano parte dell’operazione Condor ricevettero aiuti dagli Stati Uniti, in termini di risorse economiche, addestramento, forniture militari, preparazione e organizzazione delle operazioni. Si appoggiarono anche alle formazioni di estrema destra locali, che avevano contribuito a portarle al potere, e a quelle presenti in Europa.

La giornalista Daniela Padoan, nel libro Le pazze sulla storia della dittatura argentina, racconta che i servizi segreti di Pinochet, nell’ambito dell’operazione Condor, organizzarono una rete europea che ruotava attorno ai terroristi di estrema destra.

Tra loro, in Italia, c’era Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia Nazionale a cui venne chiesto di occuparsi dell’eliminazione di Bernardo Leighton, ex vicepresidente di Allende andato in esilio a Roma. Il 6 ottobre del 1975 Leighton e la moglie vennero attaccati da un gruppo di uomini armati: si salvarono, ma lei rimase paralizzata. Nonostante il fallimento dell’operazione, Pinochet incontrò Delle Chiaie che, spiega Padoan, «era di fatto divenuto il tramite tra i servizi segreti italiani, i neofascisti europei e i servizi segreti delle dittature latinoamericane». Nel settembre del 1975 secondo il quotidiano argentino La Opinión, citato sempre nel libro di Padoan, l’estrema destra italiana disponeva a Buenos Aires di una struttura di circa 500 persone che operò prima a fianco della Triple A e poi della giunta golpista.

Nell’operazione Condor vennero uccisi anche l’ex presidente boliviano Juan José Torres, nel 1976 a Buenos Aires, e Orlando Letelier, autorevole oppositore del regime di Pinochet ed ex membro del governo Allende. Il 21 settembre del 1976 a Washington una bomba venne collocata a bordo dell’automobile sulla quale viaggiava con un suo collaboratore.

Le prove dell’esistenza del piano Condor si ebbero solo nel 1992, a operazione conclusa, quando vennero scoperti in Paraguay i cosiddetti “Archivi del Terrore”: più di 700mila documenti che pesavano cinque tonnellate nei quali era descritto come, dagli anni Settanta e fino agli anni Ottanta, le dittature militari sudamericane avessero collaborato per imprigionare più di 400mila persone e torturarne e ucciderne altre 50mila, arrivando a colpire persino in Europa. Per comprendere pienamente quello che era accaduto si dovette però attendere il 2000 quando gli Stati Uniti resero pubblici i documenti della CIA sul Cile relativi a quel periodo.