• Mondo
  • Mercoledì 20 dicembre 2023

Cosa intendiamo per “paesi sicuri” per i migranti

Ogni paese dell'Unione Europea può deciderlo in maniera autonoma sulla base di linee guida, ma a volte le valutazioni sono controverse

(AP Photo/Santi Palacios)
(AP Photo/Santi Palacios)
Caricamento player

Quando si discute di migrazioni, per esempio nell’ambito della riforma del cosiddetto regolamento di Dublino, capita di trovare l’espressione “paese sicuro”, spesso riferita ai paesi di provenienza dei migranti. Non è un’espressione generica, ma un concetto preciso che sta alla base delle leggi italiane ed europee che regolano il sistema di accoglienza e la gestione delle richieste di protezione internazionale, con importanti conseguenze pratiche. All’interno dell’Unione Europea le domande presentate da persone provenienti da paesi considerati “sicuri” possono essere giudicate inammissibili e quindi respinte, con la conseguente espulsione di chi le presenta.

Ogni paese dell’Unione Europea può decidere autonomamente quali paesi considerare “sicuri”, sulla base di alcuni criteri fondamentali. Nel tempo questo ha creato varie storture: da anni, per esempio, il governo italiano considera “sicuri” paesi dove il rispetto dei diritti umani è quantomeno opinabile: come la Tunisia, governata da un regime illiberale che da mesi porta avanti una campagna di discriminazione nei confronti delle persone che provengono dall’Africa subsahariana.

La definizione di “paese sicuro” è contenuta in una direttiva europea del 2013, che chiarisce le procedure da seguire per esaminare le domande di protezione internazionale presentate dai migranti che arrivano in un paese dell’Unione Europea. Secondo la direttiva un paese può essere considerato “sicuro” se «sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni, tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

In base a questa definizione, e alle indicazioni di vari organismi internazionali come l’Alto commissariato dell’ONU per i rifugiati e il Consiglio d’Europa, ogni stato membro dell’Unione Europea può redigere e tenere aggiornata una lista di paesi che considera “sicuri”.

In teoria le domande dei migranti che sono cittadini di un paese sicuro (quindi ne hanno la nazionalità, anche se non necessariamente sono partiti da lì per arrivare nell’Unione Europea) possono essere ritenute inammissibili, e quindi respinte. Non è però un meccanismo automatico: le domande di asilo vanno esaminate caso per caso, tenendo conto non solo della provenienza della persona migrante ma anche della sua situazione individuale. È possibile infatti che sia cittadina di un paese considerato sicuro, ma che tornandoci sarebbe probabilmente vittima di persecuzioni o torture a causa, per esempio, della sua fede religiosa o del suo orientamento sessuale.

Per questo la Direttiva chiarisce che «quando un richiedente dimostra che vi sono validi motivi per non ritenere sicuro tale paese per la sua situazione particolare, la designazione del paese come sicuro non può più applicarsi al suo caso», e quindi la domanda non può essere respinta solo per questo motivo.

Al momento l’Italia considera sicuri 16 paesi: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia. Il governo di Giorgia Meloni ha aggiornato l’elenco lo scorso marzo, eliminando definitivamente l’Ucraina, dove da due anni si combatte contro l’invasione della Russia, e aggiungendo Nigeria, Gambia, Costa d’Avorio e Georgia. La lista della Germania invece comprende 9 paesi, Malta 24, la Spagna non ha alcuna lista, fa notare la giornalista Novella Gianfranceschi su Linkiesta.

La presenza di alcuni paesi nell’elenco italiano è molto dibattuta ed è stata criticata da varie organizzazioni internazionali. Un grosso problema è rappresentato dalla Tunisia, il paese nordafricano da cui nel 2023 è partita la maggior parte dei migranti arrivati in Italia. Da quando è stato eletto, nel 2019, il presidente tunisino Kais Saied ha progressivamente smantellato lo stato di diritto, accentrato i poteri e imprigionato i suoi oppositori politici. Inoltre Saied ha addossato la responsabilità della crisi economica e sociale che il paese sta attraversando proprio sui migranti, costringendoli in molti casi ad abbandonare la Tunisia. Proprio la discriminazione sistematica promossa da Saied è una delle cause del recente aumento di richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Italia via mare partendo dalla Tunisia.

Anche la Nigeria, per esempio, è un paese in cui diverse regioni sono minacciate da gruppi armati che compiono saccheggi e rapiscono e uccidono persone su base etnica.

Le valutazioni fatte dal governo non sono pubbliche, ma qualche mese fa l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha diffuso le schede compilate su ciascun paese ritenuto “sicuro” dal governo italiano nel 2022, ottenute in seguito a una richiesta di accesso agli atti al ministero degli Esteri.

La valutazione della Tunisia riconosce effettivamente molti problemi: viene detto che la nuova Costituzione, approvata nel luglio del 2022, «archivia il sistema parlamentare e conferisce vastissimi poteri e immunità al presidente della Repubblica», che secondo molti osservatori il divieto di fare arresti arbitrari non sempre viene rispettato, che la legge pone alcune limitazioni alla libertà di parola e di stampa, che le donne vengono spesso discriminate, che le condizioni delle carceri non rispettano gli standard internazionali, e via dicendo.

Nonostante questo, il governo italiano di Giorgia Meloni ha ritenuto che in Tunisia non si verifichino violazioni sistematiche dei diritti, e quindi all’inizio del 2023 ha aggiornato la lista dei paesi “sicuri” mantenendo tra questi anche la Tunisia. L’unica eccezione viene fatta per le persone che appartengono alla comunità LGBTQ+, dato che il codice penale tunisino punisce con fino a tre anni di carcere i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso.

Negli ultimi mesi la designazione della Tunisia come paese sicuro è stata contestata anche da alcuni tribunali italiani. A settembre il tribunale di Catania aveva accolto il ricorso presentato da quattro migranti tunisini sbarcati a Lampedusa e poi portati nel nuovo centro per le procedure accelerate di frontiera di Pozzallo, in provincia di Ragusa, stabilendo sostanzialmente che le procedure adottate dal governo italiano per l’esame delle loro domande fosse stato illegittimo. A inizio ottobre poi il tribunale di Firenze aveva annullato l’espulsione di un migrante tunisino, sostenendo proprio che la Tunisia non sia un paese sicuro.

– Leggi anche: Il tribunale di Catania contro uno dei decreti del governo sui migranti