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  • Mercoledì 13 dicembre 2023

Vent’anni fa Saddam Hussein fu trovato in una buca

Fu catturato dall'esercito americano dopo otto mesi di ricerche e poi processato e condannato a morte da un tribunale iracheno

(Photo by Rusty Russell/Getty Images)
(Photo by Rusty Russell/Getty Images)
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Il 13 dicembre del 2003, vent’anni fa, si concludeva una caccia all’uomo iniziata quasi otto mesi prima: le forze speciali dell’esercito americano trovarono nascosto in una buca il dittatore iracheno Saddam Hussein. Non era lontano dalla città irachena di Tikrit, non oppose resistenza, fu catturato e sei mesi dopo processato da un tribunale speciale iracheno. Il 5 novembre 2006 fu condannato a morte, pena eseguita il 30 dicembre dello stesso anno, per impiccagione. La cattura e la morte di Saddam Hussein non misero fine alla guerra in Iraq, che proseguì fino al 2011, data del primo ritiro delle truppe americane. Un nuovo intervento di forze internazionali, guidate dagli Stati Uniti, fu deciso nel 2014 ed è durato fino al 2021.

L’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti iniziò il 20 marzo del 2003 e fu la seconda contestata operazione della cosiddetta “guerra al terrore”, cominciata dopo gli attacchi terroristici compiuti da al Qaida l’11 settembre del 2001 alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono di Washington, in cui morirono 2.977 civili. Gli Stati Uniti invasero l’Afghanistan meno di un mese dopo gli attacchi dell’11 settembre, il 7 ottobre del 2001, potendo godere del sostegno del grosso della comunità internazionale.

Nel corso del 2002 l’amministrazione del presidente George W. Bush cominciò a far circolare tra gli alleati l’idea di invadere anche l’Iraq, sostenendo che il presidente iracheno avesse un arsenale di armi chimiche, biologiche e forse nucleari (definite complessivamente “armi di distruzione di massa”) e che fosse pronto a usarle in accordo con gruppi terroristici come al Qaida. Il presupposto era falso, le armi di distruzione di massa non furono mai trovate e a posteriori la guerra in Iraq è stata considerata catastrofica e uno dei peggiori errori della politica estera americana recente.

I giornali il giorno dopo la cattura (Photo by Graeme Robertson/Getty Images)

Membro di spicco del partito Baath, Saddam Hussein era salito ufficialmente al potere in Iraq nel 1979, anche se governava di fatto il paese da alcuni anni. Diventato presidente, istituì un regime dittatoriale e repressivo, con un forte culto della sua immagine e con costanti violazioni dei diritti umani. Con Saddam la maggioranza sciita della popolazione fu oppressa dalla minoranza sunnita, di cui faceva parte il dittatore. Hussein portò l’Iraq prima alla guerra con l’Iran (1980-1988), poi tra il 1990 e il 1991 all’invasione del vicino Kuwait. Soltanto l’intervento armato di una coalizione di paesi era riuscita a ricacciarlo entro i suoi confini, in quella che oggi è ricordata come la Prima guerra del Golfo (la seconda sarà quella del 2003): Saddam rimase però al potere.

Prima del 1991, l’Iraq aveva sviluppato armi chimiche (cioè che sprigionano agenti chimici tossici o letali, come il cloro o il nervino) e armi biologiche (cioè che usano virus, batteri o tossine per contagiare o contaminare le persone che vengono colpite), e aveva anche un arretrato programma nucleare. Al tempo Saddam aveva certamente usato armi chimiche in combattimento, per esempio contro la popolazione curda, ma dopo la fine della Prima Guerra del Golfo l’Iraq era di fatto uno stato fallito: molti analisti ritenevano che il suo regime costituisse una minaccia relativamente blanda per la sicurezza del mondo.

Gli Stati Uniti procedettero comunque all’invasione dell’Iraq, appoggiati solo dal Regno Unito e senza un chiaro e formale mandato dell’ONU. L’obiettivo dichiarato stavolta era rovesciare il regime di Saddam Hussein: la guerra fu molto rapida, nel giro di poco più di un mese caddero prima la capitale Baghdad, poi Tikrit, città in cui era nato il dittatore. Il 1° maggio 2003 Bush dichiarò le operazioni concluse e la «missione compiuta». Saddam Hussein non appariva in pubblico dall’inizio dell’invasione e si era dato alla fuga.

Saddam Hussein poche ore dopo la cattura (foto Getty Images)

Fra luglio e dicembre 2003 catturarlo, vivo o morto, divenne l’obiettivo principale della Task Force 121, un’unità di forze speciali statunitensi coadiuvata dalla Prima Brigata di combattimento guidata dal colonnello James Hickey, che avrebbe poi guidato l’operazione decisiva. Nelle ricerche furono impegnati oltre 600 uomini e vennero compiuti dodici diversi raid: le forze armate statunitensi raccontarono poi di aver raccolto informazioni catturando e interrogando le famiglie più vicine a Hussein (i metodi degli interrogatori e le condizioni di detenzione dei prigionieri sarebbero poi state oggetto di polemiche e inchieste giornalistiche).

A inizio dicembre l’unità speciale catturò prima un ex autista di Saddam e poi un suo stretto collaboratore, Ibrahim Omar al Musslit, che secondo le ricostruzioni indicò il luogo dove Saddam si nascondeva. Il 13 dicembre, dopo aver ottenuto alcune conferme, fu avviata l’operazione Red Dawn (Alba Rossa): l’operazione prendeva il nome da un film del 1984 che racconta un’ipotetica guerra di resistenza statunitense dopo un’invasione da parte di truppe sovietiche, cubane e nicaraguensi. Alcune centinaia di uomini furono dispiegati nell’assalto a due diversi siti, non lontani l’uno dall’altro. Una era una fattoria circondata da muri di cinta ad Adwar, lontana non più di quindici chilometri da Tikrit.

I soldati americani non incontrarono resistenza armata, arrestarono due uomini ma inizialmente non trovarono Saddam. L’esercito stava già provvedendo all’evacuazione delle truppe, quando un soldato camminando nel cortile all’esterno della fattoria mosse quello che sembrava un tappeto: liberato da un sottile strato di terra, nascondeva l’ingresso di una buca, definita in gergo militare “buca di ragno” (spider hole). La procedura militare prevedeva di gettare all’interno una granata (poteva essere l’apertura di un tunnel più profondo), ma prima che lo facesse un uomo dichiarò la sua volontà di arrendersi e comparve con le mani alzate.

Un soldato all’ingresso della buca (AP Photo/Laurent Rebours)

Saddam Hussein dichiarò di essere il presidente dell’Iraq, fu colpito con il calcio del fucile e immobilizzato: nella buca aveva una pistola, che non utilizzò. La buca era profonda meno di due metri, e larga a malapena per sdraiarsi. All’interno erano presenti una luce al neon e un condotto che permetteva l’ingresso di aria dall’esterno.

L’interno della buca (Photo by Chris Hondros/Getty Images)

Saddam fu ammanettato, incappucciato e portato in elicottero a Tikrit, nella base americana. Le perlustrazioni della fattoria evidenziarono la presenza di un taxi, di due fucili automatici AK-47 e di una valigia con 750mila dollari, in biglietti da cento. Saddam aveva passato lì almeno gli ultimi giorni: furono trovati documenti e una frugale cucina rifornita con cibo in scatola, caffé solubile e marmellata.

Il giorno seguente furono diffuse le immagini di una prima sommaria visita medica del dittatore catturato: aveva lunghi capelli e una folta barba grigia. Fu dichiarato prigioniero di guerra e fu interrogato dalla CIA, la principale agenzia di intelligence per l’estero, e dall’FBI, l’agenzia investigativa della polizia statunitense. Restò in detenzione presso la base americana Camp Cropper fino al processo e all’impiccagione: nei tre anni che passarono fra cattura e condanna a morte filtrarono foto del detenuto, in violazione delle Convenzioni di Ginevra, che stabiliscono i diritti dei prigionieri di guerra. Il tabloid britannico Sun ne pubblicò alcune in mutande, mentre i video della sua impiccagione e del suo cadavere finirono su internet.