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  • Domenica 5 novembre 2023

Antony Blinken ha già fatto il giro due volte

Il capo della diplomazia statunitense sta viaggiando tantissimo tra Israele e paesi arabi per ottenere “pause umanitarie” a Gaza, ma finora non ha avuto successo

(Jonathan Ernst/Pool photo via AP)
(Jonathan Ernst/Pool photo via AP)

Il segretario di Stato americano Antony Blinken sta completando per la seconda volta in meno di un mese un ampio tour dei paesi del Medio Oriente. Venerdì è stato in Israele e sabato in Giordania, dove ha incontrato i rappresentanti di vari paesi arabi tra cui la stessa Giordania, l’Egitto e il Libano, mentre domenica era andato a sorpresa in Cisgiordania, dove ha incontrato Mahmoud Abbas, il presidente dell’Autorità palestinese. Poi è volato a Cipro, dove ha incontrato brevemente il presidente del paese, e dovrebbe arrivare successivamente in Turchia.

L’obiettivo di questo viaggio, estremamente complicato, è da un lato convincere Israele a mettere in atto un qualche tipo di pausa alle operazioni militari per consentire l’arrivo di aiuti umanitari per la popolazione della Striscia di Gaza; dall’altro, Blinken sta parlando assiduamente con i leader dei paesi arabi per cercare di evitare un’espansione del conflitto e per preparare il terreno a un negoziato di pace efficace, una volta che la guerra sarà finita.

È il secondo viaggio di questo tipo che Blinken fa in poche settimane. Il segretario di Stato aveva già intrapreso un giro simile nei giorni successivi al massacro di civili israeliani compiuto da Hamas, e in quel momento aveva ottenuto un buon risultato, convincendo vari leader del mondo arabo a incontrare in Giordania il presidente Joe Biden, che sarebbe arrivato per l’occasione. Ma la sera prima della partenza di Biden l’esplosione dell’ospedale al Ahli di Gaza fece annullare tutto, soprattutto perché inizialmente si pensò che il bombardamento fosse stato compiuto dall’esercito israeliano, e questo causò enorme rabbia nel mondo arabo. Si è poi stabilito con buone probabilità che a colpire l’ospedale fu invece un razzo lanciato dall’interno della Striscia di Gaza.

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Il primo obiettivo di Blinken è convincere Israele a un qualche tipo di tregua umanitaria per fare arrivare aiuti e cure ai civili della Striscia. Blinken, come quasi tutti i diplomatici occidentali, parla esplicitamente di «pause umanitarie», per intendere interruzioni temporanee e brevi dei combattimenti, che non limiterebbero l’azione di Israele contro Hamas. Blinken ha detto esplicitamente di essere contrario a un cessate il fuoco più stabile, e questo l’ha messo in contrasto con i leader arabi, che chiedono invece di porre immediatamente fine ai combattimenti. «Mettete fine a questa follia», ha detto sabato sera il ministro degli Esteri giordano durante una conferenza stampa congiunta con Blinken.

L’interlocutore più difficile sulla questione però è Israele, il cui governo non ha intenzione di interrompere le operazioni militari nemmeno in via temporanea, almeno finché Hamas non avrà rilasciato parte degli ostaggi. Parlando con Blinken venerdì, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha escluso ogni forma di pausa umanitaria, e l’ha ribadito anche domenica: «Non ci sarà un cessate il fuoco finché gli ostaggi non saranno restituiti».

Blinken ha poi l’obiettivo di tenere unito il mondo arabo, e fare in modo che la rabbia e l’oltraggio nei confronti di Israele non si traduca in violenza o in una espansione del conflitto. Il rischio principale di apertura di un secondo fronte di guerra arriva non tanto dai paesi arabi con cui Blinken tratta, ma dall’Iran e dal gruppo armato radicale Hezbollah, con cui gli Stati Uniti non hanno comunicazioni ufficiali. Nonostante questo, parlare con paesi come l’Egitto o la Giordania è estremamente importante per ottenere risultati marginali ma comunque importanti. Per esempio, negli scorsi giorni l’Egitto ha acconsentito dopo settimane ad aprire il varco di Rafah alla frontiera con la Striscia di Gaza per far uscire persone con il doppio passaporto e civili feriti.

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Un altro obiettivo di Blinken è preparare il terreno a possibili negoziati di pace, che per forza di cose vedranno l’intervento di vari paesi della regione. Si è visto in maniera piuttosto chiara durante il suo incontro di domenica con Mahmoud Abbas, il presidente dell’Autorità palestinese, che governa parte della Cisgiordania e che agli occhi della comunità internazionale è l’unico rappresentante del popolo palestinese, anche se nella realtà la sua influenza e autorità sono sempre più limitate.

Antony Blinken e Mahmoud Abbas (Jonathan Ernst/Pool photo via AP)

Ufficialmente, Blinken e Abbas hanno parlato di aiuti umanitari nella Striscia e dell’aumento delle violenze in Cisgiordania, ma i giornali si sono concentrati molto su alcune frasi in cui Abbas ha detto che l’Autorità palestinese è pronta a prendersi la responsabilità della Striscia di Gaza una volta terminata la guerra. «Gaza è parte integrante dello stato della Palestina, e [l’Autorità palestinese] ne assumerà la piena responsabilità nell’ambito di una soluzione politica complessiva per la Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e la Striscia di Gaza», ha detto Abbas in un comunicato. Un funzionario statunitense che ha chiesto di rimanere anonimo ha detto a Reuters che «il futuro di Gaza non era l’argomento centrale dell’incontro, ma l’Autorità palestinese sembra pronta ad avere un ruolo».

Fatah, la fazione palestinese di Abbas che domina l’Autorità palestinese, fu cacciata dalla Striscia nel 2007 dopo aver perso le elezioni e dopo una dura guerra civile contro Hamas. Oggi secondo i sondaggi (la cui affidabilità però è dubbia), dentro alla Striscia di Gaza Fatah è ancora molto impopolare, ma lo stesso vale per Hamas, che è osteggiata da buona parte della popolazione locale.