Il primo FIFA che non si chiama FIFA

“EA Sports FC 24” è l'ultimo capitolo della serie di videogiochi di calcio di maggior successo di sempre, che da quest'anno ha dovuto cambiare nome

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Venerdì 29 settembre esce EA Sports FC 24, l’ultimo capitolo del più popolare e famoso videogioco di calcio, che fino allo scorso anno, e per i precedenti trenta, era semplicemente conosciuto come FIFA. Lo sviluppa dal 1993 Electronic Arts, uno dei più grandi editori del mondo dei videogiochi, che lo ha negli anni trasformato in uno dei giochi più venduti praticamente ogni anno: dal primo capitolo a oggi le copie complessive vendute sono state più di 320 milioni, mentre nel solo primo mese di commercializzazione FIFA 23 ne aveva vendute 10 milioni.

Non è comune che una serie così popolare e riconoscibile anche al di fuori del mondo dei videogiochi decida di cambiare nome e immagine, ma la scelta è stata resa necessaria dal fatto che Electronic Arts e la FIFA (Federazione Internazionale di Calcio, che è l’organo che gestisce e organizza tutti i tornei intercontinentali di calcio, beach soccer e calcio a 5) non sono riuscite a raggiungere un accordo per il rinnovo della licenza.

L’accordo commerciale tra la FIFA ed Electronic Arts era iniziato oltre trent’anni fa con la prima versione del gioco, pubblicata sulla console SEGA Mega Drive nel dicembre del 1993 e chiamata FIFA International Soccer. Negli anni i termini per la concessione della licenza dei nomi dei tornei, delle squadre e dei calciatori, oltre che del brand “FIFA”, sono cambiati diverse volte, adattandosi a nuove piattaforme, sistemi di distribuzione e soprattutto alla crescente popolarità della serie. L’ultimo accordo risale a circa dieci anni fa e prevedeva che Electronic Arts, in cambio dell’esclusiva sull’utilizzo del nome FIFA, versasse circa 140 milioni di euro all’anno alla FIFA, e potesse pubblicare due versioni aggiuntive del gioco in occasione dei Mondiali di calcio.

Quando due anni fa si era iniziato a parlare di rinnovo del contratto però è parso subito chiaro che la distanza tra le due parti fosse significativa. La FIFA, il cui presidente Gianni Infantino subentrò a Sepp Blatter dopo un grave scandalo, propose a Electronic Arts un accordo che prevedesse il pagamento di 950 milioni di euro in quattro anni, quasi il doppio rispetto al precedente accordo. Le divergenze che hanno portato alla rottura non erano però legate solo al costo della licenza, ma anche a cosa questa avrebbe dovuto coprire. La FIFA avrebbe voluto ad esempio cercare nuovi partner oltre a EA per pubblicare altri giochi su altre piattaforme, mentre quest’ultima sembra avesse chiesto meno vincoli legati agli accordi commerciali con gli sponsor, più libertà nell’inserimento di nuove modalità di gioco e la possibilità di investire nel mondo degli NFT (cioè Non-Fungible Token, certificati autenticati di proprietà di contenuti digitali che non se la stanno passando particolarmente bene).

La separazione tra la FIFA e Electronic Arts è stata descritta da entrambe le parti come amichevole, e nonostante Infantino abbia assicurato che sarà il prossimo gioco che si chiamerà FIFA a essere il migliore sul mercato, quella che parte avvantaggiata nella futura sfida è indubbiamente Electronic Arts. Negli anni infatti non solo ha costruito una struttura produttiva enorme intorno al proprio gioco (sviluppato principalmente a Vancouver da oltre 1.200 persone), ma ha stretto accordi con le maggiori leghe nazionali, con i singoli club e con FIFPRO, la Federazione internazionale dei calciatori professionisti, che gli garantisce di poter utilizzare il nome e ricreare nel gioco le fattezze della quasi totalità dei suoi iscritti, che sono oltre 65 mila.

Entrare nel mercato con un nuovo gioco sportivo è sempre stato estremamente complicato, e anche a fronte di ingenti investimenti il risultato non è assicurato. Alla stessa Electronic Arts sono serviti quasi 15 anni per imporre la sua serie non solo dal punto di vista commerciale ma anche culturale, ai danni di Konami e del suo PES (che nacque come Winning Eleven per diventare poi ISS, PES e infine eFootball). Mentre nonostante diversi tentativi il rilancio della sua serie dedicata al basket (NBA Live) non ha mai avuto successo e non ha mai davvero impensierito NBA 2K, il gioco di basket di riferimento del momento.

Per la FIFA sarà insomma molto complesso creare in tempi rapidi un prodotto che possa competere ad alti livelli sul mercato, e questo non solo per il divario tecnologico e di esperienza nei confronti di Electronic Arts, ma soprattutto perché questa si è assicurata negli anni degli importanti accordi per l’utilizzo di marchi, leghe e giocatori che, almeno al momento, non possono essere utilizzati in altri giochi di calcio. La Champions League, la Premier League, la Liga spagnola e anche la Serie A italiana hanno accordi di partnership diretti con Electronic Arts, che gli permettono di essere presenti solo all’interno di EA Sports FC 24 e in nessun altro gioco.

Gli accordi per l’utilizzo delle licenze sono in questo tipo di giochi fondamentali: per Aaron McHardy, per oltre 17 anni produttore esecutivo di FIFA, le licenze sono «quello che collega la serie al mondo reale», e quello che ha permesso a Electronic Arts di imporsi sul mercato ai danni di PES, che non ha avuto la forza economica di rivaleggiare in quel campo con EA. Per anni infatti PES, pur vendendo meno di FIFA, è stato un gioco molto amato dagli appassionati di calcio, che lo apprezzavano per le sue dinamiche di gioco più realistiche e la maggiore semplicità di utilizzo.

Fino alla metà degli anni Duemila il ristretto numero di licenze per identificare correttamente nomi di squadre e giocatori (spesso inventati e con risultati comici come Ravoldi per Rivaldo, Roberto Larcos per Roberto Carlos o Piemonte Calcio per la Juventus) non era sembrato un problema per gli appassionati. Con il passare del tempo però, l’assenza delle squadre e delle competizioni più importanti unita a un netto miglioramento nella qualità di FIFA contribuì a far sì che il gioco di EA Sports vincesse la rivalità con PES non solo dal punto di vista delle vendite ma anche di quello culturale, imponendosi come il gioco di calcio di riferimento.

La modalità di gioco con cui Electronic Arts ha saputo capitalizzare meglio questo suo vantaggio si chiama Ultimate Team, e fa parte dei giochi sportivi di EA sin da FIFA 09. All’interno di Ultimate Team si può creare una squadra con giocatori di qualsiasi nazionalità e campionato, da usare poi nella modalità multiplayer collegata. La sua particolarità è che questi giocatori si trovano all’interno di pacchetti (che sono delle “loot box”, l’equivalente delle bustine con dentro le figurine) il cui contenuto è sconosciuto e costantemente aggiornato. La ricerca del miglior giocatore possibile per la propria formazione unita alla casualità legata alle loot box fa sì che gli appassionati investano una gran quantità di tempo e spesso denaro (si possono acquistare anche con soldi reali) all’interno della modalità.

Da un po’ di tempo Electronic Arts non comunica più il fatturato legato ai singoli giochi e alle singole modalità di gioco: sappiamo però che nel 2021, ultimo anno in cui ha diffuso questi dati, Ultimate Team aveva generato profitti per 1,62 miliardi di dollari rappresentando per lo sviluppatore il 29% del suo intero fatturato, che nel 2022 è arrivato a 7,4 miliardi di dollari di cui quasi 5,5 derivanti dalle vendite di beni e servizi digitali (e quindi le modalità online di FIFA e di tutti gli altri giochi sportivi così come gli oggetti cosmetici e aggiuntivi delle altre serie, come Apex Legends o Star Wars Jedi).

La decisione di non fare più affidamento su una licenza così importante come quella della FIFA ha avuto e avrà ripercussioni più dal punto di vista commerciale e delle partnership che da quello ludico. Per l’utente comune cambierà ben poco, a partire dalla qualità del gioco: tutte le recensioni attualmente disponibili online (attualmente la sua media sull’aggregatore Metacritic è di 77, mentre FIFA 23 si fermò a 76) concordano nel definire l’esperienza di gioco in continuità con il passato. Ci sono infatti delle novità in diversi aspetti del gioco (come ad esempio l’introduzione di calciatrici provenienti dai 5 diversi campionati femminili che possono essere schierate nella propria squadra di Ultimate Team) ma sono, prese singolarmente, di piccola entità. L’opinione comune della critica è insomma riassunta dalla recensione che Chris Roling scrive su Bleacher Report: «se escludiamo il nuovo aspetto dei menu, l’impressione è che ci si trovi davanti esattamente quello che sarebbe potuto essere FIFA 24».

Se il percorso intrapreso da Electronic Arts è tutto sommato lineare, per la FIFA le cose sono molto diverse. Attrezzarsi internamente per una produzione di questo livello è estremamente complicato e richiede enormi investimenti, soprattutto se il competitor è il leader indiscusso del mercato da diversi decenni. Servono infatti centinaia di artisti, sviluppatori e programmatori, una infrastruttura tecnica per la gestione del gioco online, uno studio in grado di eseguire il motion capture, quella tecnologia che permette di replicare fattezze e movenze dei giocatori nella loro controparte digitale, oltre ovviamente agli accordi per l’utilizzo di nomi, marchi e competizioni.

Al momento la FIFA e il suo presidente Infantino non hanno dato informazioni sul prossimo gioco, e si sa solo che si chiamerà FIFA 25 e uscirà verosimilmente nell’autunno del 2024. Anche nel caso in cui la FIFA decidesse di dare nuovamente in licenza il suo nome a uno sviluppatore esterno le possibilità non sarebbero poi molte. I due editori probabilmente più accreditati nel sostituire Electronic Arts, gli unici che hanno già esperienza di giochi sportivi di questa portata, sono Konami, che dalla sua ha la grande esperienza maturata con PES ma una struttura forse non sufficientemente grande, e 2K Sports, lo sviluppatore che fa parte del gruppo Take-Two Interactive (quelli di Grand Theft Auto) che già sviluppa diversi giochi sportivi di grande successo come NBA 2K e WWE 2K.