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  • Lunedì 25 settembre 2023

Migliaia di persone di etnia armena stanno lasciando il Nagorno Karabakh

Per andare in Armenia, perché temono di subire violenze o discriminazioni dall'Azerbaijan, che ha preso il controllo del territorio

Profughi di etnia armena del Nagorno-Karabakh arrivati nella città di Goris, in Armenia (AP Photo/Vasily Krestyaninov)
Profughi di etnia armena del Nagorno-Karabakh arrivati nella città di Goris, in Armenia (AP Photo/Vasily Krestyaninov)
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Tra domenica e lunedì più di 6mila persone di etnia armena che vivevano nel Nagorno Karabakh, stato separatista che si trova in territorio azero ma che è abitato principalmente da persone di etnia armena, hanno abbandonato le proprie case per andare in Armenia: sono state le prime tra le decine di migliaia che si ritiene lasceranno il Karabakh a causa dell’operazione militare della settimana scorsa con cui l’esercito dell’Azerbaijan aveva preso il controllo di quasi tutto il territorio e costretto in appena due giorni le autorità locali (legate al governo dell’Armenia) alla resa.

Il Nagorno Karabakh è un territorio con circa 120mila abitanti, perlopiù di etnia armena: dal 1993 era un piccolo stato di fatto indipendente, ma ora molto probabilmente si dissolverà all’interno dell’Azerbaijan, che invece è a maggioranza musulmana e di etnia turca. La zona era da decenni al centro di rivendicazioni etniche e territoriali, che in passato avevano causato anche due guerre in cui erano state uccise migliaia di persone. Molte persone di etnia armena che vivevano nel Nagorno Karabakh adesso temono di essere perseguitate.

Il governo armeno ha detto che domenica sera le persone del Nagorno Karabakh che avevano attraversato il confine per entrare in Armenia erano state 1.050. Nel tardo pomeriggio di lunedì la cifra è salita a 6.650. Alcune persone sono arrivate con le proprie auto e altre in autobus; 23 che erano state ferite durante l’operazione militare dell’Azerbaijan in ambulanza, grazie alla collaborazione della Croce Rossa internazionale.

Per decenni l’Azerbaijan aveva cercato di riprendersi il Karabakh e nel 2020 aveva iniziato una nuova guerra contro l’Armenia, che era riuscito a vincere, riconquistando buona parte del territorio della regione. Agli armeni del Nagorno Karabakh era rimasta una piccola porzione di territorio che ancora governavano indipendentemente, e che era collegata all’Armenia da una sola strada, il “corridoio di Lachin”. Negli ultimi nove mesi l’Azerbaijan aveva bloccato quasi interamente questo corridoio, da cui il Nagorno Karabakh riceveva il 90 per cento dei generi di prima necessità, provocando grosse sofferenze alla popolazione locale.

Martedì scorso l’Azerbaijan aveva attaccato anche questi ultimi territori rimasti, che comprendono la capitale Stepanakert, con il pretesto di compiere una “operazione antiterrorismo”. Nel giro di 24 ore le autorità del Nagorno Karabakh erano state costrette ad arrendersi e ad accettare un cessate il fuoco che di fatto è stata una resa.

Già la settimana scorsa il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, aveva fatto sapere che il paese era pronto ad accogliere circa 40mila famiglie del Nagorno Karabakh. In un discorso fatto domenica, Pashinyan ha detto che per le persone di etnia armena che rimangono nel territorio il rischio è quello della «pulizia etnica», a meno che non venga introdotto un «meccanismo di protezione efficace».

– Leggi anche: È la fine del Nagorno Karabakh?

Inizialmente circa 800 persone di etnia armena sfollate a causa dell’operazione militare erano state accolte da una missione russa che ufficialmente si occupa di peacekeeping, cioè di sostenere le autorità locali nel “mantenimento della pace”.

Per decenni la Russia aveva mantenuto rapporti sia con l’Armenia che con l’Azerbaijan, contribuendo a garantire la pace nella regione. Quando martedì l’Azerbaijan aveva attaccato i territori armeni del Nagorno Karabakh, però la Russia non ha fatto niente: i peacekeeper russi, che avevano l’obiettivo di preservare lo stato di cose e gli equilibri tra azeri e armeni, non hanno reagito all’attacco e sono rimasti nelle loro basi. Sheila Paylan, attivista per i diritti umani ed esperta del conflitto nella regione, sostiene comunque che l’Azerbaijan non avrebbe agito senza l’assenso della Russia.

Secondo alcuni analisti, decidendo di non intervenire a favore del Nagorno Karabakh, la Russia avrebbe voluto in un certo senso punire l’Armenia e soprattutto Pashinyan per il suo tentativo di avvicinamento all’Occidente. Tradizionalmente la Russia dovrebbe avere un’alleanza più forte con l’Armenia, con la quale ha anche firmato un trattato di mutua difesa militare. Ma mentre l’Armenia è un paese piccolo e povero, l’Azerbaijan è uno dei principali esportatori di gas al mondo, è molto più ricco e un mercato più grande e prospero per i prodotti e le armi fabbricate in Russia. Da tempo, dunque, la Russia ritiene più conveniente mantenere buoni rapporti con l’Azerbaijan piuttosto che con il suo vecchio alleato armeno.

Tra le altre cose, lunedì il presidente turco Recep Tayyip Erdogan incontrerà il presidente azero Ilham Aliyev durante una visita alla Repubblica autonoma di Nakhchivan, una exclave azera che si trova tra i territori di Armenia, Turchia e Iran. La presidenza turca ha detto che Erdogan e Aliyev discuteranno degli ultimi sviluppi nel Nagorno Karabakh. La Turchia, che aveva fornito aiuti militari all’Azerbaijan durante il conflitto del 2020, ha fatto sapere di sostenere la recente operazione militare azera.

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