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  • Venerdì 22 settembre 2023

In Nagorno Karabakh la Russia non si è mossa

Per decenni ha mantenuto rapporti con Armenia e Azerbaijan, contribuendo a garantire la pace nella regione: la guerra in Ucraina ha cambiato tutto

Peacekeeper russi in Nagorno Karabakh nel 2020 (AP Photo/Dmitry Lovetsky)
Peacekeeper russi in Nagorno Karabakh nel 2020 (AP Photo/Dmitry Lovetsky)
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Una delle questioni più importanti e commentate dell’operazione militare con cui questa settimana l’Azerbaijan ha preso il controllo di quasi tutto il Nagorno Karabakh, uno stato separatista che si trova in territorio azero ma che è abitato principalmente da persone di etnia armena, è il ruolo della Russia. La Russia ha da anni centinaia di soldati stanziati in Nagorno Karabakh, con una missione ufficialmente di peacekeeping (cioè per sostenere le autorità locali nel “mantenimento della pace”). È inoltre la potenza economica e militare principale della regione, e ha rapporti molto stretti sia con l’Armenia sia con l’Azerbaijan: per decenni il suo potere militare e la sua influenza hanno contribuito a mantenere la pace nell’area.

Ma quando martedì l’Azerbaijan ha attaccato i territori armeni del Nagorno Karabakh, la Russia non ha fatto niente. Il presidente Vladimir Putin non ha fatto nessuna dichiarazione, non ha convocato a Mosca i capi di stato dei paesi coinvolti. Soprattutto i peacekeeper russi presenti, che avevano la missione di preservare lo stato di cose e gli equilibri tra azeri e armeni, non hanno reagito all’attacco e sono rimasti nelle loro basi. Ci sono varie ragioni possibili per questa inazione della Russia, che riguardano la politica russa nella regione del Caucaso meridionale, quella dove si trovano l’Armenia e il Nagorno Karabakh.

Il Nagorno Karabakh è un piccolo stato di fatto indipendente abitato da circa 120 mila persone, praticamente tutte di etnia armena. Agli occhi della comunità internazionale il Nagorno Karabakh è parte del territorio azero, ma da circa 30 anni (dalla prima guerra tra Armenia e Azerbaijan, vinta dall’Armenia) è governato in maniera indipendente, con un proprio esecutivo e proprie istituzioni, e con il sostegno molto forte della vicina Armenia (che di fatto ha un controllo stretto su tutto quello che succede in Karabakh, o meglio: l’ha avuto fino a ora).

Per decenni l’Azerbaijan aveva cercato di riprendersi il Karabakh e nel 2020 aveva iniziato una nuova guerra contro l’Armenia, che era riuscito a vincere, riconquistando buona parte del territorio della regione.

Dopo la guerra del 2020 la Russia era intervenuta con decisione, e aveva costretto il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev a stipulare un armistizio che disegnava nuovi confini per il Nagorno Karabakh ma ne preservava l’indipendenza di fatto. La Russia aveva inviato in Karabakh 2.000 soldati con missione di peacekeeping, e il compito di assicurare che le condizioni dell’armistizio fossero rispettate.

Sia l’Armenia sia l’Azerbaijan sono due ex repubbliche sovietiche che hanno fatto parte dell’URSS fino alla sua dissoluzione, e in entrambi i paesi l’influenza della Russia è sempre stata molto forte. Anche dopo la fine dell’Unione Sovietica, nelle aree che un tempo dominava, la Russia ha sempre mantenuto una grossa autorità: era il paese più grande, quello militarmente dominante, l’economia più sviluppata e il paese che, dopotutto, manteneva ancora una certa “autorità morale” legata al passato sovietico. Per questo, tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila, tutte le volte che tra paesi ex sovietici scoppiavano delle crisi era sempre la Russia a intervenire per ristabilire l’ordine.

La guerra in Ucraina ha cambiato questo stato di cose. Ora la Russia è completamente concentrata sulla vittoria in Ucraina, e ha distolto buona parte delle sue attenzioni (e soprattutto dei suoi mezzi economici e militari) dagli altri paesi ex sovietici. Lo si è visto l’anno scorso, quando tra Kirghizistan e Tagikistan iniziò un breve scontro armato di confine in cui la Russia praticamente non intervenne (anche se poi fu chiamata a fare da mediatrice per il cessate il fuoco).

Lo si è visto anche in Nagorno Karabakh. Le nuove condizioni territoriali decise dopo il cessate il fuoco del 2020 prevedevano che il Nagorno Karabakh e l’Armenia rimanessero collegati da un’unica strada di montagna, il cosiddetto “corridoio di Lachin”, il cui ruolo era fondamentale: gli abitanti armeni della regione dipendono dall’Armenia per il 90 per cento dei viveri e dei beni di prima necessità, e tutto doveva passare proprio per il corridoio di Lachin. I peacekeeper russi avrebbero dovuto assicurarsi che il corridoio rimanesse aperto e gli scambi attivi.

Peacekeeper russi nel corridoio di Lachin nel 2020 (AP Photo/Sergei Grit, File)

Ma quando, nove mesi fa, usando una scusa l’Azerbaijan ha chiuso il corridoio di Lachin, i peacekeeper russi non hanno fatto niente. Completamente isolati dall’Armenia e dal resto del mondo, senza cibo, medicinali e altri generi di prima necessità, per nove mesi i civili del Karabakh hanno sofferto condizioni molto dure, fino all’attacco azero di questa settimana.

Questa inazione della Russia davanti all’isolamento e alle condizioni tragiche dei civili del Nagorno Karabakh ha provocato una rabbia crescente in Armenia.

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan non è mai stato una figura apprezzata dalla Russia: ex giornalista, fu eletto nel 2018 sull’ondata di un grande movimento di protesta che chiedeva più democrazia, più riforme e meno corruzione. Anche per questo, Pashinyan ha sempre guardato con un certo favore all’Occidente, ma ha anche mantenuto buoni rapporti con la Russia: l’Armenia, che è uno stato piccolo e povero, senza sbocchi sul mare, dipende quasi interamente dalla Russia per la sua economia, la sua sicurezza e la sua difesa.

Ma dopo la chiusura del corridoio di Lachin, e davanti all’inazione della Russia, Pashinyan ha cominciato a criticare la Russia direttamente, e soprattutto si è avvicinato via via all’Occidente. Ha detto esplicitamente che l’Armenia non può più fare affidamento solo sulla Russia per la sua difesa e ha cominciato a costruire legami più stretti con l’Unione Europea e gli Stati Uniti: questa settimana, quando è cominciato l’attacco azero, soldati statunitensi si trovavano in Armenia per un’esercitazione militare congiunta con l’esercito armeno.

La reazione della Russia è stata ovviamente molto dura. E quando questa settimana l’Azerbaijan ha attaccato il Nagorno Karabakh, molti commentatori russi vicini al governo hanno detto esplicitamente che l’Armenia se l’era cercata. Dmitri Medvedev, l’ex presidente russo, ha scritto su Telegram che Pashinyan ha «flirtato con la NATO» e ha aggiunto: «Indovinate cosa lo attende adesso?», anticipando probabilmente che il primo ministro armeno sarà deposto. Margarita Simonyan, celebre commentatrice politica e direttrice del canale statale RT, ha scritto: «Pashinyan sta pretendendo (!) che i peacekeeper russi difendano il Karabakh. E allora la NATO?».

I peacekeeper russi accolgono civili armeni nelle loro basi il 21 settembre (Russian Defense Ministry Press Service via AP)

Debolezza e punizione
Le ragioni dell’inazione russa in Nagorno Karabakh sono quindi due: da un lato ci sono la debolezza e la disattenzione provocate dalla guerra in Ucraina, che hanno ridotto le possibilità di intervento della Russia. Aleksandr Atasuntsev, un giornalista russo indipendente, ha detto al New York Times: «La Russia non ha più le risorse per spaventare tutti come faceva prima. La Russia ha un solo obiettivo: vuole vincere in Ucraina ed è pronta a sacrificare molto per farcela, anche gli alleati».

L’altra ragione riguarda il raffreddamento dei rapporti con l’Armenia. Secondo alcuni analisti, decidendo di non intervenire a favore del Nagorno Karabakh la Russia avrebbe voluto in un certo senso punire l’Armenia e soprattutto Pashinyan per il suo tentativo di avvicinamento all’Occidente. L’Armenia si trova in una situazione attualmente molto instabile: sono in corso forti proteste contro il primo ministro e c’è il rischio che effettivamente Pashinyan sia deposto. La Russia spera che al suo posto sarà eletta una figura più conciliante.

Questo allontanamento dall’Armenia corrisponde a un avvicinamento all’Azerbaijan. Tradizionalmente la Russia dovrebbe avere un’alleanza più forte con l’Armenia, con la quale ha anche firmato un trattato di mutua difesa militare. Ma mentre l’Armenia è un paese piccolo e povero, l’Azerbaijan è uno dei principali esportatori di gas al mondo, è molto più ricco e un mercato più grande e prospero per i prodotti e le armi fabbricate in Russia. Da tempo, dunque, la Russia ritiene più conveniente mantenere buoni rapporti con l’Azerbaijan piuttosto che con il suo vecchio alleato armeno.

Ma questa necessità di scegliere con quali paesi stare mostra anche come la Russia abbia perso il suo ruolo tradizionale nella regione, che era quello di paese egemone capace di risolvere i conflitti e le dispute. Come ha scritto il New York Times, fino a qualche anno fa la Russia era «una potenza indispensabile capace di far sbattere le teste una contro l’altra finché tutte le parti non tornavano in sé». Questo ruolo è di fatto perso.