Molti presidenti di Regione non vogliono nuovi CPR

La decisione del governo di costruire altri centri di detenzione per i migranti irregolari ha ricevuto critiche sia da destra che da sinistra

(ANSA/MAX CAVALLARI)
(ANSA/MAX CAVALLARI)
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Dopo che il governo ha annunciato l’apertura di nuovi Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) sul territorio nazionale, molti presidenti di Regione anche di destra hanno criticato la decisione o perlomeno hanno espresso dubbi sulla sua bontà. Sostengono che tutte le strutture disponibili per accogliere i migranti sono già piene e che, in ogni caso, i CPR non risolverebbero i problemi del sistema di accoglienza, che è cronicamente sovraffollato.

I CPR sono centri in cui vengono detenuti i migranti in una situazione irregolare, per esempio perché la loro richiesta di asilo è stata rifiutata oppure perché non hanno un permesso di soggiorno valido, e che quindi dovrebbero essere rimpatriati. Oggi sono attivi nove CPR in sette regioni: in provincia di Bari, Brindisi, Caltanissetta, Gorizia, Nuoro, Potenza, Roma, Milano e Trapani.

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Secondo le norme attuali i migranti irregolari possono essere trattenuti in queste strutture per un massimo di tre mesi, prorogabili di 45 giorni. Lunedì però il governo ha deciso di estendere a 18 mesi il limite massimo di permanenza nei CPR per alcuni casi specifici, come quelli in cui «lo straniero non collabora al suo allontanamento» o in presenza di «ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione» da parte dei paesi di origine.

L’estensione del tempo massimo di permanenza nei CPR porterà inevitabilmente a un aumento nel numero di persone detenute. Per questo il Consiglio dei ministri ha anche annunciato che intende costruire nuovi CPR «in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili», probabilmente in caserme ed ex basi militari. In particolare, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha detto che il piano del governo prevede di attivare almeno un CPR in ogni regione, nel corso dei prossimi mesi. Le prefetture dovranno decidere i luoghi in cui costruire i nuovi centri, o eventualmente individuare strutture già esistenti e idonee a essere convertite in CPR.

Su questo, le critiche sono arrivate soprattutto da politici locali leghisti: il governatore del Veneto Luca Zaia ha detto che i CPR «non risolveranno il problema» dell’aumento dei flussi migratori, mentre il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, ha ricordato che tutte le strutture presenti sul territorio e legate all’accoglienza dei migranti sono «già al completo». Anche il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha detto più o meno la stessa cosa. In Molise, il governatore di Forza Italia Francesco Roberti ha detto che al momento nella regione non sono presenti strutture idonee a essere convertite in CPR, e che sarà quindi necessario discuterne con il governo.

L’opposizione è arrivata anche da parte degli amministratori di centrosinistra. Secondo il governatore della Toscana Eugenio Giani, del Partito Democratico, è necessario «lavorare sui centri di accoglienza, sulla possibilità di ospitare e integrare» le persone che arrivano in Italia, mentre i CPR sono solo «uno specchietto per le allodole». Michele Emiliano, governatore della Puglia dove sono già presenti due centri di permanenza per il rimpatrio, ha detto che i CPR non sono risolutivi, anzi: «Fanno innervosire moltissimo tutti i sindaci e tutti i presidenti di Regione di qualunque schieramento». È nettamente contrario anche il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini: «Al momento sono parole al vento», ha detto. «Per me di CPR non se ne parla assolutamente».

Uno dei pochi a essere favorevoli è il presidente della Liguria Giovanni Toti, del partito di centrodestra Italia al centro. Ha dato «ampia disponibilità» al governo per l’apertura di un centro sul territorio regionale: «Chiunque pensi di tirarsi indietro, di non partecipare a questo sforzo o di trovare soluzioni miracolistiche, che sono state più volte proposte senza risultato, sbaglia, da destra e da sinistra».

La detenzione nei CPR è di tipo amministrativo, ossia avviene senza che sia stato commesso un reato e senza che si tenga un normale processo: nonostante questo, i migranti irregolari vengono detenuti come se fossero in un carcere, e anzi in condizioni talvolta peggiori, senza le garanzie e le tutele previste dall’ordinamento penitenziario. Da anni infatti le associazioni che si occupano di diritti umani denunciano le condizioni disumane e degradanti all’interno dei centri.

Inoltre, non è detto che l’apertura di nuovi CPR e l’estensione dei tempi di permanenza si traducano in un aumento del numero di rimpatri: l’ostacolo principale rimane la mancanza di accordi tra l’Italia e il paese di origine dei migranti, indispensabile per avviare la procedura. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2021 sono state rimpatriate forzatamente 3.420 persone, un dato analogo a quello del 2020 e in calo rispetto alle più di 6mila del 2019 e del 2018.

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