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  • Giovedì 14 settembre 2023

La tassa europea sulle emissioni delle navi rischia di far chiudere il porto di Gioia Tauro

Potrebbe creare un vantaggio competitivo per i porti del Nordafrica a danno di quelli italiani, in particolare quello calabrese

portacontainer
Una nave portacontainer (EPA/OLIVIER HOSLET)

L’autorità portuale che controlla il porto di Gioia Tauro, in Calabria, ha commissionato uno studio per capire quali saranno le conseguenze della nuova tassa europea sulle emissioni delle navi. L’ultimo capitolo dello studio – intitolato “Cosa significa perdere Gioia Tauro” – dice chiaramente che se la tassa venisse confermata così com’è il porto rischia di chiudere perché le compagnie di navigazione sposteranno le navi nei porti africani. È un rischio che riguarda soprattutto Gioia Tauro, il principale porto di trasbordo italiano, ma anche altri porti come Cagliari e Taranto oltre a Valencia in Spagna, Sines in Portogallo, Marsaxlokk a Malta e il porto del Pireo, in Grecia.

La nuova tassa europea si basa sul meccanismo chiamato ETS che sta per Emissions Trading System, “sistema per lo scambio delle quote di emissione”. Ogni anno ciascuna azienda europea responsabile di emissioni inquinanti riceve una quantità di “crediti” per ogni tonnellata di anidride carbonica che secondo i calcoli della Commissione Europea può emettere. L’azienda poi può decidere di spendere quei crediti per emettere anidride carbonica, oppure scegliere di inquinare di meno – e quindi fare investimenti per essere più sostenibile – e vendere parte delle proprie quote a un’azienda meno virtuosa.

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Lo scorso gennaio il Parlamento Europeo e la Commissione Europea hanno raggiunto un primo accordo per includere in questo meccanismo anche il trasporto marittimo, compreso quello intercontinentale, con una serie di regole. Questa misura rientra nel progetto più ampio chiamato “Fit for 55” che punta a ridurre le emissioni del 55 per cento rispetto al 1990.

La tassa entrerà in vigore dal primo gennaio del 2024 e dovrà essere pagata dalle compagnie di navigazione per tutte le navi con più di 5.000 tonnellate di stazza lorda, un volume in cui rientrano tutte le grandi navi portacontainer.

Il calcolo della tassa, basato su un sistema elaborato dall’EMSA (la European maritime safety agency), è piuttosto complicato, ma ci sono alcune regole generali che penalizzano i porti europei. La tassazione completa si applica a tutte le tratte tra porti interni all’Unione Europea, mentre solo al 50 per cento nel caso in cui solo il porto di provenienza o arrivo sia nell’Unione Europea. Non c’è nessuna tassa, invece, quando i porti di partenza e destinazione non sono all’interno dell’Unione, anche se le navi passano dal Mediterraneo.

Da questo schema sono stati esclusi Port Said, in Egitto, e il porto di Tangeri in Marocco, il primo perché dista oltre 300 miglia nautiche dalle coste europee e il secondo perché non è considerato scalo in quanto si occupa prevalentemente di trasbordo. Nei porti di trasbordo i container passano dalle grandi portacontainer a navi più piccole, così da distribuirli negli altri porti che non possono accogliere grandi navi con un pescaggio più profondo (il pescaggio misura la parte della nave che rimane immersa).

Il risultato di questa esclusione è stato spiegato concretamente in alcune simulazioni fatte dall’autorità portuale che controlla il porto di Gioia Tauro. Una nave proveniente da Singapore e diretta ad Anversa con scalo a Gioia Tauro pagherebbe la tassa al 50 per cento per la rotta Singapore-Gioia Tauro e al 100 per cento per il percorso Gioia Tauro-Anversa. La stessa rotta, ma con scalo a Port Said, avrebbe una tassa del 50 per cento per entrambi i viaggi. Se non verranno fatte modifiche, i porti europei saranno penalizzati anche nei traffici con il continente americano. Una nave partita da Mundra, in India, e diretta a New York con scalo a Gioia Tauro pagherà la tassa al 50 per cento per entrambe le rotte, mentre sarà molto più conveniente fare scalo a Port Said o Tangeri perché in quel caso la compagnia di navigazione non pagherebbe nulla.

La principale conseguenza di questa tassa, si legge nello studio, sarebbe l’abbandono del porto di Gioia Tauro e anche di altri porti europei, con notevoli ripercussioni sull’occupazione e sull’economia italiane.

I dati di Assoporti mostrano che Gioia Tauro si è imposto come principale porto di trasbordo italiano: da qui passa il 28 per cento del traffico nazionale di container e il 77 per cento del traffico di trasbordo. Negli ultimi 20 anni l’Italia ha investito 179 milioni di euro per lo sviluppo del porto di Gioia Tauro e altri 230 milioni sono stati investiti dai gestori dei terminal, dove lavorano 1.600 portuali oltre a 4.000 lavoratori dell’indotto. Secondo l’autorità portuale, inoltre, la tassa così come è pensata potrebbe addirittura peggiorare l’inquinamento del Mediterraneo, perché nei porti africani non vengono applicate le norme relative ai carburanti, cioè l’obbligo di alimentare le navi con energia elettrica portata dalla rete e non prodotta dai motori ausiliari.

Nel PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza con cui il governo intende spendere i finanziamenti europei del fondo Next Generation EU, sono stati previsti investimenti per quasi un miliardo di euro per la cosiddetta elettrificazione delle banchine. Uno dei principali problemi dei porti italiani, infatti, è che le grandi navi sono obbligate a tenere accesi i motori ausiliari durante l’ormeggio perché le banchine forniscono energia elettrica soltanto alle gru. Il piano, che ha accumulato alcuni ritardi, prevede di elettrificare le banchine di 34 porti italiani per ridurre al minimo l’utilizzo dei motori riducendo sensibilmente le emissioni di anidride carbonica, ossidi di azoto e polveri sottili oltre che il rumore.

La scorsa settimana Diego Aponte, presidente di Msc, la prima compagnia al mondo per il trasporto dei container, ha detto che la nuova tassa sulle emissioni causerà la perdita di molti posti di lavoro. «Secondo me è molto pericolosa questa situazione, che ovviamente privilegerà tutti i porti tipo Tangeri e gli scali egiziani e toglierà traffico a scali come Gioia Tauro in Italia, Sines in Portogallo, Pireo in Grecia e tanti altri porti europei», ha detto. «Dunque penso anche che la partita sia ancora aperta e noi ci batteremo fino alla fine». I sindacati confederali hanno chiesto al governo di farsi portavoce delle richieste dei porti italiani.

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Una possibile modifica è stata suggerita dalla stessa autorità portuale che controlla Gioia Tauro: la richiesta è estendere anche ai porti del Mediterraneo le eccezioni previste per i porti del Nordafrica. La richiesta va presentata entro il 18 settembre, l’ultimo giorno disponibile per presentare commenti alla normativa e identificare i porti di trasbordo non inclusi nella lista della Commissione Europea.

Al momento non è chiaro se la proposta di Gioia Tauro sia condivisa anche da altri porti europei. Tra le altre cose, una delle possibilità è che la norma venga adattata, ma estendendo anche a Port Said e a Tangeri le regole previste per i porti europei: in questo modo aumenterebbe il gettito della tassa e verrebbe risolto il problema del divario competitivo. Tuttavia questa norma non piace alle compagnie di navigazione, che vorrebbero scongiurare un aumento dei costi.

L’alternativa al pagamento della tassa, cioè la riduzione delle emissioni delle navi, al momento sembra poco praticabile e conveniente. Sulle navi mercantili passa più dell’80 per cento del volume delle merci scambiate nel mondo e più del 70 per cento del loro valore. Le navi si possono considerare la più efficiente forma di trasporto per quanto riguarda l’impiego di carburante: i camion infatti producono molte più emissioni a parità di merci trasportate. In termini assoluti, però, le navi sono una fonte di emissioni e di inquinamento notevole.

Oggi le portacontainer usano come carburante l’olio combustibile denso, che viene prodotto usando i residui della raffinazione del petrolio: è una sostanza nera e vischiosa fatta con ciò che rimane dopo aver ottenuto carburanti trasparenti come la benzina e il gasolio. È uno dei carburanti più economici e al tempo stesso più inquinanti che esistano, ma non ci sono molte alternative.

Un’opzione già in parte utilizzata è l’utilizzo del gas naturale liquefatto (GNL), però è comunque un combustibile fossile e produce a sua volta emissioni inquinanti. Un’ulteriore possibilità è usare l’idrogeno, che però ha un grosso problema: allo stato gassoso occupa molto spazio, e trasportarne in quantità utili per percorrere un lungo viaggio è proibitivo. Per questo si sta pensando alla possibilità di realizzare stazioni di rifornimento di idrogeno lungo le rotte principali, ma è una soluzione che richiederebbe grandissimi investimenti e probabili rallentamenti dei commerci.

I motori elettrici sviluppati finora per le navi non sono abbastanza potenti. Le portacontainer tradizionali possono trasportare un carico duecento volte superiore alle navi elettriche attualmente in circolazione e sono in grado di percorrere rotte quattrocento volte più lunghe. La necessità di ridurre le emissioni sta anche favorendo il cosiddetto gigantismo navale, cioè la costruzione di navi enormi: le compagnie di navigazione sostengono che mettere più container su un’unica nave e farla navigare a velocità ridotte come quelle delle portacontainer più grandi riduca le emissioni a parità di merci trasportate.

Il problema di usare navi sempre più grandi è però che servono porti, moli e canali a loro volta più grandi. E per farlo bisogna dragare fondali, costruire dighe e gru più grandi, tutte cose che richiedono grossi dispendi di energia e producono ulteriori emissioni inquinanti.

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