• Mondo
  • Sabato 9 ottobre 2021

Una sigla europea di cui sentiremo parlare sempre di più

ETS è il sistema di scambio di quote delle emissioni inquinanti: secondo alcuni c'entra con il recente aumento dei prezzi dell'energia

Emissions from a coal-fired power plant are silhouetted against the setting sun, Monday, Feb. 1, 2021, in Independence, Mo. (AP Photo/Charlie Riedel)
Emissions from a coal-fired power plant are silhouetted against the setting sun, Monday, Feb. 1, 2021, in Independence, Mo. (AP Photo/Charlie Riedel)

Nelle settimane in cui si parla soprattutto delle ragioni che hanno causato l’aumento del prezzo dell’energia in Europa, una delle sigle che spuntano fuori più spesso è ETS. Sta per Emissions Trading System, “sistema per lo scambio delle quote di emissione”, è in vigore dal 1995 ed è una delle principali misure attuate dall’Unione Europea per incentivare la transizione verso fonti di energia più sostenibili. Ma ultimamente è anche assai criticata da alcuni paesi, perché accusata di essere fra i fattori che contribuiscono all’aumento dei prezzi dell’energia, che stanno costringendo vari governi dell’Unione Europea – fra cui quello italiano – a soluzioni di emergenza.

Il sistema ETS è stato studiato negli anni Novanta per cercare di porre un limite alle emissioni di anidride carbonica che le aziende e le centrali elettriche europee emettono ogni anno (e che rappresenta circa il 41 per cento delle emissioni totali dell’Unione).

Funziona come un mercato a tutti gli effetti: ogni anno ciascuna azienda europea responsabile di emissioni inquinanti riceve una quantità di “crediti” per ogni tonnellata di anidride carbonica che secondo complicati calcoli della Commissione Europea può emettere. L’azienda poi può decidere di spendere quei crediti per emettere anidride carbonica, oppure scegliere di inquinare di meno – e quindi fare investimenti per essere sempre più sostenibile – e vendere parte delle proprie quote a un’azienda meno virtuosa.

– Leggi anche: Il mondo si litiga l’energia

In questo modo, idealmente, l’Unione Europea dovrebbe riuscire a tenere sotto controllo le emissioni inquinanti e incentivare le aziende a usare fonti di energia più sostenibili, senza imporre limiti stringenti da un giorno all’altro. Il sistema ETS ha grandi estimatori un po’ ovunque, a prescindere da chi lo vorrebbe ancora più ambizioso o più graduale: secondo i dati della Commissione Europea negli ultimi 16 anni ha ridotto del 42,8 per cento le emissioni inquinanti delle aziende coinvolte nel sistema.

Per rendere sempre meno inquinanti le aziende europee, inoltre, l’Unione Europea riduce ogni anno le quote complessive concesse alle aziende, in una percentuale legata alla quantità di anidride carbonica che bisogna evitare di produrre in linea con gli obiettivi europei. Fino a pochi mesi fa l’impegno dell’Unione Europea era quello di ridurre le emissioni nette del 40 per cento rispetto ai livello del 1990, entro il 2030. Nel periodo fra il 2013 e il 2020, in linea con questi obiettivi, era stata prevista una riduzione annuale delle quote disponibili dell’1,74 per cento.

Cosa c’entra con il recente aumento dei prezzi
Alcuni osservatori ritengono che il recente aumento dei prezzi dell’energia vada attribuito in parte al sistema ETS perché nel 2021 siamo entrati in una nuova fase del sistema, che prevede una riduzione annuale delle quote disponibili del 2,2 per cento. Da quest’anno, quindi, sono disponibili meno quote rispetto a quelle messe a disposizione fra 2013 e 2020. A gennaio costavano circa trenta euro l’una, mentre nel 2020 costavano in media venti euro.

Secondo alcuni, la scarsa disponibilità delle quote – che vengono comprate e utilizzate anche dai produttori di energia – ha spinto ulteriormente verso l’alto anche il costo dell’energia: a causa della scarsità di gas naturale, infatti, molti paesi europei stanno producendo energia ricorrendo ad altri combustibili fossili, che però rendono necessario l’acquisto di un numero superiore di quote.

A sua volta, una maggiore domanda rispetto a un’offerta statica – il numero di quote stabilite per il 2021 non è stato aumentato – ha fatto ulteriormente aumentare i prezzi delle quote. A settembre hanno superato i 60 euro, fa notare il Financial Times.

Perché ne sentiremo parlare sempre di più
Per via degli ambiziosi obiettivi fissati dal Green Deal della Commissione Europea, la cui legge sul Clima – approvata in estate – prevede di ridurre a zero le emissioni nette prodotte dall’Unione Europea entro il 2050, con un obiettivo intermedio al 2030 di una riduzione del 55 per cento.

Dato che il nuovo obiettivo è più ambizioso rispetto al 40 per cento in vigore fino a pochi mesi fa, la Commissione si trova davanti al complesso obiettivo di aggiornare tutte le misure già in vigore per adeguarle al nuovo obiettivo. Per fare questo qualche settimana fa ha presentato un pacchetto di misure chiamato Fit For 55, che ora dovrà essere discusso dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’UE, l’organo in cui siedono i rappresentanti dei governi dei 27 paesi membri.

Mentre il vecchio obiettivo della riduzione del 40 per cento delle emissioni nette entro il 2030 prevedeva una riduzione complessiva delle quote ETS del 43 per cento entro il 2030, il pacchetto Fit For 55 prevede che entro lo stesso anno vadano ridotte del 61 per cento. Di conseguenza, una volta discusso e approvato, il Fit For 55 ridurrà a un ritmo ancora più veloce le quote disponibili per le aziende.

Il Fit For 55 prevede anche l’introduzione di un secondo sistema, chiamato ETS II, che si applicherà alle aziende di autotrasporto su strada e a quelle edili, responsabili rispettivamente del 22 e del 35 per cento delle emissioni inquinanti dell’Unione Europea.

Cosa ne pensano gli stati
L’accelerazione dell’ETS e l’introduzione dell’ETS II sono state criticate soprattutto dai paesi più indietro dal punto di vista della transizione ecologica, le cui aziende potrebbero decidere di scaricare i rincari sui consumatori; di fatto ampliando il divario con i paesi più progrediti, cioè quelli del Nord, dove la sensibilità per il clima è più diffusa.

Paesi come Germania, Paesi Bassi, Svezia e Finlandia chiedono maggiore severità per quelli che oggi inquinano di più, e sperano che l’aumento dei prezzi non renda più timide le proposte dell’Unione Europea. La commissaria all’Energia, la estone Kadri Simson, ha detto che le ragioni principali dell’aumento di energia «non provengono dall’Europa» e che comunque le misure proposte dalla Commissione «comprendono soluzioni di medio-lungo termine».