Che senso ha per i politici andare nei “luoghi delle tragedie”

Ha un valore più che altro simbolico, ma nella maggior parte dei casi non farlo comporta più rischi che benefici

Meloni a Caivano (ANSA/CESARE ABBATE)
Meloni a Caivano (ANSA/CESARE ABBATE)
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Giovedì nello stesso giorno ci sono state due importanti visite istituzionali nei luoghi in cui erano avvenuti due fatti di cronaca gravi e molto commentati: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è stata a Caivano, vicino a Napoli, dove da qualche giorno si è scoperto un caso di stupro ai danni di due bambine di 10 e 12 anni; il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è andato a Brandizzo, vicino a Torino, dove nella notte erano morti investiti da un treno cinque operai che stavano lavorando alla manutenzione delle rotaie.

Le visite istituzionali di questo genere hanno un significato perlopiù simbolico, ma questo non vuol dire che non servano a niente: in base a chi le fa, al modo e alla situazione specifica in cui avvengono possono produrre effetti concreti. E anche quando passano un po’ in sordina per via di una certa assuefazione a questi gesti, è comunque ritenuta una scelta migliore rispetto a non andarci affatto, cosa che potrebbe causare indignazione nell’opinione pubblica e accuse di indifferenza alla politica.

Filippo Sensi è senatore del PD ed esperto di comunicazione politica, portavoce della presidenza del Consiglio prima con Matteo Renzi e poi con Paolo Gentiloni. Dice che «nel dubbio è sempre meglio esserci», perché per le persone coinvolte può essere importante sentire la vicinanza delle istituzioni, e che secondo lui questa importanza è una cosa che generalmente si sottovaluta. «Poi certo, quello è solo un punto di partenza: se a quella presenza non si dà seguito con interventi concreti le persone verranno a chiederne conto».

In generale negli ultimi anni le visite di politici che ricoprono incarichi istituzionali nei cosiddetti “luoghi delle tragedie” sono molto aumentate, anche per via di un racconto mediatico della politica divenuto più visibile, letteralmente: rispetto al passato i politici si muovono con molte più telecamere al seguito, e oltre che nelle televisioni e nei giornali le loro immagini circolano in abbondanza su internet e nei social network. La presenza in un posto in cui è successo qualcosa di grave è insomma molto più notata, e per contro anche l’eventuale assenza.

Lo scorso febbraio per esempio, quando un peschereccio che trasportava oltre 200 persone migranti naufragò al largo delle coste di Cutro, in Calabria, Meloni fu molto criticata per non essere andata sul posto nei giorni immediatamente successivi. Si giustificò dicendo che aveva altri impegni istituzionali all’estero già fissati, e al suo posto andò a Cutro il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi.

L’assenza di Meloni risaltava in modo particolare in quell’occasione più di quanto non sarebbe successo in altre, perché lei stessa e i suoi alleati erano arrivati al governo spingendo per un approccio rigido e critico nei confronti dell’immigrazione e dei migranti, specialmente quelli che arrivano dal mar Mediterraneo.

In quel contesto si distinse la visita di Mattarella alla camera ardente organizzata a Cutro per le persone morte nel naufragio, che pure avvenne senza proclami, senza discorsi pubblici e in generale in un modo che apparve studiato per risultare delicato e poco ingombrante. Per alcune ore l’unica foto a disposizione dei giornali per dare notizia di quella visita fu un’immagine diffusa dall’ufficio stampa del Quirinale: mostrava Mattarella di spalle davanti alle bare delle persone morte.

(Ufficio stampa del Quirinale)

Quella di Mattarella fu probabilmente un esempio di visita simbolica che ebbe conseguenze. È difficile da dimostrare, ma fu solo dopo evidenti pressioni che Meloni decise di organizzare a Cutro un Consiglio dei ministri, oltre 10 giorni dopo il naufragio, in cui furono annunciate misure che nelle intenzioni del governo avrebbero dovuto evitare altre tragedie simili.

Tutta l’impostazione di quella visita però si rivelò molto deludente, a dimostrazione che la sola presenza non è sufficiente. La conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri fu molto contestata dai giornalisti perché Meloni decise di non rispondere alle loro domande, e la presidente del Consiglio organizzò un incontro con le famiglie delle vittime solo 18 giorni dopo il naufragio. Nei mesi successivi peraltro le misure prese in quel Consiglio dei ministri si sono dimostrate fallimentari, su più fronti.

Una visita istituzionale infatti è assai diversa se fatta dal presidente della Repubblica o dalla presidente del Consiglio, e ancora di più se fatta da un ministro o da un amministratore locale. Il presidente del Consiglio ha un ruolo più operativo. Da lui, o da lei, ci si aspetta che faccia qualcosa, che annunci misure concrete per provare a risolvere il problema che ha reso necessaria la visita.

È per questo che, nel suo discorso a Caivano, Meloni ha promesso una serie di interventi realizzabili nella zona e soprattutto nel quartiere Parco Verde, in cui sarebbero avvenuti gli stupri. Allo stesso modo, quando andò in visita in Emilia-Romagna dopo le alluvioni dello scorso maggio, Meloni disse che il governo avrebbe erogato fondi in tempi molto rapidi per sistemare i danni, esponendosi però a molte critiche nei mesi successivi: nelle ultime settimane i sindaci di quelle zone si sono lamentati perché non hanno ancora ricevuto gran parte dei soldi promessi.

È per motivi come questo che da presidente del Consiglio, nel 2014, Matteo Renzi disse in tv che era inutile per lui andare a visitare Genova dopo un’alluvione: «Credo che tu debba mettere piede in quella città soltanto dopo che hai affrontato, anzi risolto, i problemi», disse, sostenendo che fosse fine a se stesso «andare a fare le passerelle». Tuttavia nei mesi successivi Renzi scelse quasi sempre di andare nei luoghi in cui era successo qualcosa di particolarmente grave.

Il presidente della Repubblica invece non si muove né a titolo personale, né per offrire risposte concrete a un problema: porta simbolicamente la vicinanza dello Stato. Il modo e la frequenza con cui lo fa dipende anche dal carattere e dalla sensibilità del presidente in carica. Negli ultimi anni Mattarella lo ha fatto con una certa frequenza. Secondo i giornalisti che seguono di più il Quirinale questa assiduità è dovuta anche al suo consenso popolare alto e trasversale, che in un certo senso genera un’aspettativa nelle persone.

Nadia Zicoschi, giornalista quirinalista del Tg1, spiega che per come si muove solitamente Mattarella la priorità è esserci assicurandosi di non creare intralci. In occasioni come la visita a Brandizzo di giovedì, per esempio, «ci sono volute ore e ore di valutazioni per capire se la visita fosse fattibile, perché tutta la zona era messa sotto sequestro e naturalmente doveva essere esaminata», dice Zicoschi.

Solitamente – ed è quello che è successo anche a Brandizzo – un gruppo di addetti alla sicurezza del presidente fa prima un sopralluogo, per capire come si può farlo arrivare creando meno scompiglio possibile. Poi con lui si muove il numero minore possibile di persone, anche per non distogliere l’attenzione dal fatto in questione.

In generale gli obiettivi sono quasi sempre due: far sentire la vicinanza delle istituzioni alle vittime, e dare maggiore visibilità pubblica a eventi che altrimenti fra molte notizie potrebbero passare più inosservati. Funziona così anche all’estero. Andrew Card, un importante funzionario durante la presidenza di George W. Bush negli Stati Uniti, ha detto per esempio al Washington Post che uno degli obiettivi del presidente era convincere le persone a fare donazioni per i luoghi in cui erano avvenuti disastri. Il presidente «porta i media nazionali. Porta attenzione. Gli americani sono grandiosi nel rispondere a una tragedia se ne sono a conoscenza», ha detto Card.

Al contempo però lo stesso Bush fu molto criticato quando decise di non visitare New Orleans, colpita dall’uragano Katrina nel 2005, uno dei più gravi di sempre: nei primi giorni dopo l’uragano era rimasto in vacanza in Texas, e tornando alla Casa Bianca decise di non fermarsi a New Orleans. Alcuni funzionari della sua amministrazione giustificarono la decisione dicendo che fermarsi avrebbe reso necessario un dispiegamento di forze dell’ordine e mezzi troppo ampio, che avrebbe reso più lenti e macchinosi gli aiuti alle zone colpite dall’uragano. Dopo quell’avvenimento e le moltissime critiche a Bush per quell’episodio, però, è stato quasi impossibile per i presidenti americani rinunciare ad andare nei luoghi colpiti da disastri o fatti molto gravi.

Un altro esempio storico indicativo in questo senso fu la visita di Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica, a Vermicino, una frazione nel comune di Frascati. Pertini andò lì perché nel giugno del 1981 un bambino di 6 anni, Alfredo Rampi, era caduto in un pozzo. Arrivò il pomeriggio del 12 giugno, un giorno e mezzo dopo la caduta, e si fece passare il microfono usato per comunicare col bambino per parlargli direttamente.

La sua presenza sul posto convinse i telegiornali a non interrompere la diretta televisiva, che andò avanti senza interruzioni documentando gli sforzi per cercare di tirare il bambino fuori dal pozzo, peraltro incoraggiati dalla sua presenza. Allo stesso tempo contribuì ad alimentare una situazione già caotica per via della massiccia presenza di media e curiosi. Rampi, più noto con il suo soprannome “Alfredino”, non riuscì a uscire dal pozzo e morì tre giorni dopo la caduta.

Pertini mentre cerca di comunicare con Alfredino Rampi (Wikimedia Commons)

Pertini fu in generale un presidente dalla presenza mediatica ingombrante e incisiva per i tempi, che secondo molti cambiò anche l’approccio dei presidenti successivi a questo tipo di tragedie. Sono ancora molto ricordati la visita e il discorso che fece l’anno precedente, nel 1980, quando andò nei territori colpiti dal terremoto in Irpinia.