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  • Venerdì 25 agosto 2023

In Giappone i prezzi del pesce sono già un po’ calati per l’acqua di Fukushima

La Cina ha bloccato le importazioni di pesce giapponese, per quanto anche le sue centrali nucleari disperdano trizio nel Pacifico

Una manifestazione di protesta contro la dispersione dell'acqua accumulata nell'ex centrale nucleare di Fukushima su una spiaggia poco lontana dall'impianto, a Namie, il 24 agosto 2023 (AP Photo/Eugene Hoshiko, LaPresse)
Una manifestazione di protesta contro la dispersione dell'acqua accumulata nell'ex centrale nucleare di Fukushima su una spiaggia poco lontana dall'impianto, a Namie, il 24 agosto 2023 (AP Photo/Eugene Hoshiko, LaPresse)
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Già giovedì nei mercati del pesce delle zone costiere della regione di Fukushima, in Giappone, i prezzi dei prodotti erano diminuiti. Alle 13, quando in Italia erano le 6, era iniziata la dispersione nell’oceano Pacifico dell’acqua contenente sostanze radioattive accumulata nell’ex centrale nucleare di Fukushima Daiichi dal grave incidente causato dal terremoto e dal conseguente tsunami del 2011: un’operazione decisa da tempo dal governo giapponese e approvata dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), un’organizzazione autonoma all’interno del sistema delle Nazioni Unite. La decisione era stata però criticata dai pescatori giapponesi, preoccupati per le ripercussioni sul proprio lavoro, oltre che da gruppi di cittadini dei paesi vicini e dalla Cina.

Subito dopo l’inizio della dispersione dell’acqua accumulata nella centrale, le autorità doganali cinesi hanno bloccato con effetto immediato le importazioni di pesce e di altri prodotti «acquatici» dal Giappone. La Cina è il primo paese per quantità di prodotti ittici importati dal Giappone: insieme a Hong Kong ne importa ogni anno per un valore superiore al miliardo di euro. Fin dal 2011 la Cina non acquistava più pesce dalla zona di Fukushima e ora ha ampliato il divieto esistente a tutto il Giappone per «proteggere la salute dei consumatori cinesi».

La Cina si disse contraria al piano per effondere l’acqua di Fukushima nel Pacifico già nel 2011, quando lo stesso piano fu annunciato. Giovedì il ministero degli Esteri cinese ha diffuso un comunicato molto critico nei confronti del Giappone: «Il governo giapponese non dovrebbe causare danni secondari alle persone della regione e al resto del mondo per i propri interessi particolari».

La decisione delle autorità cinesi sembra tuttavia motivata più da ragioni politiche che da reali preoccupazioni per la salute, e pensata per causare danni economici al Giappone. La Cina infatti non ha vietato le importazioni di pesce da altri paesi della regione. Come hanno fatto notare molti scienziati, sia la sua centrale nucleare di Fuqing, che si affaccia sullo stretto di Taiwan, sia la centrale nucleare sudcoreana di Kori, vicino a Busan, disperdono annualmente nell’oceano acqua contenente il triplo del trizio rispetto a quello presente nell’acqua di Fukushima.

Il trizio è il principale elemento radioattivo presente nell’acqua di Fukushima (l’altro è il carbonio-14, per cui non ci sono particolari preoccupazioni): è un isotopo radioattivo dell’idrogeno naturalmente presente sia nell’acqua del mare che nell’atmosfera, ed è estremamente difficile separarlo dall’acqua dato che è molto simile all’idrogeno, uno dei due elementi che la compongono. Per questo, a differenza di tutte le altre sostanze radioattive che si trovavano nell’acqua usata negli anni per regolare la temperatura delle barre di combustibile nucleare di Fukushima, non è stato possibile rimuoverlo.

L’acqua comunque è grandemente diluita prima di essere dispersa nell’oceano, tanto da avere una concentrazione di trizio tale da mostrare un’attività inferiore ai 1.500 becquerel per litro (il becquerel è l’unità di misura dell’attività di un radionuclide, che corrisponde a un decadimento al secondo): il limite fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per l’attività del trizio nell’acqua potabile è di 10mila becquerel per litro. È stato stimato che l’acqua di Fukushima non influirà in modo apprezzabile sulla naturale concentrazione di trizio nell’oceano.

Il ministero degli Esteri cinese ha giustificato il diverso atteggiamento adottato nei due casi dicendo, senza giustificare scientificamente l’affermazione, che c’è una «differenza fondamentale tra l’acqua entrata in contatto con noccioli di reattori fusi nel disastro di Fukushima e l’acqua dispersa dalle centrali nucleari nella loro normale attività».

Tomoaki Kobayakawa, presidente della Tokyo Electric Power Company (Tepco), l’azienda energetica che gestisce la centrale, ha risposto alle decisioni e ai commenti delle autorità cinesi ricordando che i pescatori giapponesi saranno compensati per i danni economici derivanti dalla dispersione dell’acqua della centrale e dalla diminuzione delle vendite all’estero. Il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha invece detto di aver chiesto alla Cina di rimuovere il divieto di importazioni e ha promesso che difenderà il settore ittico dai danni reputazionali. Ha anche aggiunto: «Continueremo a chiedere che il governo cinese porti avanti una discussione su basi scientifiche».

Anche la Corea del Sud in passato aveva criticato il piano giapponese riguardo all’acqua di Fukushima, ma successivamente il governo del paese ne aveva accettato l’approvazione da parte dell’AIEA.

Intanto nelle comunità di pescatori della zona di Fukushima c’è molta preoccupazione perché l’economia locale aveva da poco cominciato a riprendersi dal terremoto del 2011, che causò la morte di 18mila persone. Attualmente nella zona si pesca circa un quinto rispetto alle quantità precedenti all’incidente nucleare, anche per la diminuzione del numero di pescatori.

– Leggi anche: Come è stata trattata l’acqua di Fukushima