Stanno finendo i posti per i migranti

In molte regioni italiane i centri di accoglienza straordinaria sono pieni e le prefetture faticano a coinvolgere i comuni

migranti
Alcuni migranti nel centro di accoglienza di Porto Empedocle, in Sicilia (Tullio M. Puglia/Getty Images)
Caricamento player

Nelle ultime settimane le prefetture e i comuni di molte province italiane, soprattutto nelle regioni del Nord, stanno cercando di trovare posti per accogliere i migranti che ogni giorno sbarcano sulle coste italiane. L’operazione non è semplice perché i centri di accoglienza straordinaria, i cosiddetti CAS, stanno ospitando più persone di quante ne potrebbero accogliere e finora i comuni sono stati coinvolti nell’accoglienza in modo piuttosto sporadico e casuale. Le regioni più sotto pressione sono il Veneto, la Toscana, in parte l’Emilia-Romagna e alcune province lombarde.

Dall’inizio dell’estate i flussi sono cresciuti in particolare dalla Tunisia con un numero di persone decisamente più alto rispetto agli ultimi due anni. Secondo i dati del ministero dell’Interno, dal primo gennaio al 19 luglio 2023 sono arrivate in Italia via mare 81.069 persone, più del doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando erano state 33.672, e più del triplo rispetto a due anni fa. Nel 2022 la maggior parte degli sbarchi avvenne ad agosto: arrivarono in Italia 16.822 persone, un numero destinato a essere superato già a luglio, entro la fine del mese.

Appena sbarcati, i migranti vengono portati nei cosiddetti hotspot, centri di prima assistenza dove vengono identificati e ricevono le prime cure. Poi vengono inviati al sistema di accoglienza, una rete di strutture pubbliche finanziata dal ministero dell’Interno e affidata alle prefetture e agli enti locali che a loro volta assegnano la gestione ad associazioni o cooperative attraverso dei bandi.

I migranti in attesa di un posto nelle strutture vengono ospitati nei centri di accoglienza straordinaria, i CAS, edifici privati o alberghi utilizzati per sopperire alla mancanza di posti nelle strutture pubbliche. La gestione dei CAS è affidata alle prefetture, che cercano le strutture private e si servono delle associazioni o delle cooperative per l’assistenza. Lo stato di regola si limita a pagare il vitto e l’alloggio, senza alcun riferimento alla formazione o all’inserimento sociale, con il risultato che questi centri diventano di fatto dei parcheggi per i migranti.

Durante la fase più acuta dell’emergenza che aveva riguardato i migranti, tra il 2016 e il 2018, i CAS erano diventati la forma principale di accoglienza per la difficoltà di trovare nuove strutture e per i tempi lunghi nella redazione dei bandi e nell’assegnazione della gestione. La stessa cosa sta accadendo ora. Per molti migranti quelli che dovrebbero essere alloggi temporanei sono diventati una sistemazione definitiva. Dopo due anni di relativa calma si è persa anche la poca l’organizzazione della rete di accoglienza gestita dai comuni e chiamata SAI, acronimo di Sistema di accoglienza e integrazione, un modello conosciuto in passato come SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Ricostruire la rete di accoglienza in poco tempo, mentre gli arrivi aumentano, è molto complicato.

– Leggi anche: Migranti, rifugiati, profughi, richiedenti asilo

La situazione più complessa e politicamente controversa è in Veneto. Secondo i dati aggiornati alla scorsa settimana, la regione ospita 7.445 persone di cui 6.703 nei CAS, i centri di accoglienza straordinaria, e 742 accolti e gestiti dai comuni in collaborazione con le parrocchie e le associazioni. Già nel mese di aprile il presidente Luca Zaia e l’ANCI Veneto, l’associazione dei comuni italiani, avevano iniziato a lavorare a un protocollo per coinvolgere i comuni nell’accoglienza.

L’idea è di distribuire pochi migranti in ogni comune per evitare la creazione dei cosiddetti hub, cioè CAS molto grandi dove vengono ospitati centinaia e in alcuni casi più di mille migranti. In passato la concentrazione di migranti in pochi luoghi, diventati di fatto dei ghetti, ha creato molti problemi. All’inizio del 2017 nell’ex base militare di Cona, in provincia di Venezia, il centro di accoglienza è stato occupato da migranti per protestare contro la morte di una donna, Sandrine Bakayoko.

Zaia e l’ANCI Veneto guidata dal sindaco di Treviso Mario Conte, entrambi esponenti della Lega, propongono di coinvolgere i comuni sulla base della disponibilità dei sindaci per scongiurare assegnazioni imposte dalla prefettura. Se fosse stato già operativo, con il piano di Zaia sarebbe forse stato evitato il caso avvenuto la scorsa settimana quando la prefettura di Vicenza ha abbandonato una quindicina di migranti di fronte ai municipi di alcuni comuni senza spiegazioni.

Nonostante sia stato proposto da due influenti esponenti della Lega come Zaia e Conte, il protocollo è stato accolto con molto scetticismo e in alcuni casi con chiara ostilità da molti amministratori leghisti. Il segretario regionale della Lega, Alberto Stefani, è intervenuto con un video pubblicato sui social per criticare la proposta. «L’accoglienza non può essere destinata a tutti», ha detto. Lo stesso hanno fatto diversi sindaci che hanno annunciato l’intenzione di non aderire al protocollo, al momento non operativo.

Nel frattempo le prefetture del Veneto fanno fatica a gestire i nuovi arrivi e molti CAS hanno superato la capienza autorizzata. Senza un controllo e un’organizzazione si sta ricreando il modello dei grandi hub che Zaia vorrebbe evitare. Nell’ex caserma Serena di Treviso, il CAS più grande del Veneto, ci sono 480 persone, oltre il 60 per cento in più rispetto allo scorso anno. Ogni giorno arrivano nuovi migranti. Tra il 2015 e il 2016 il CAS era arrivato a ospitare un migliaio di persone.

La scorsa settimana nell’area accanto a un’ex palazzina della Nato sulle Torricelle, a Verona, la prefettura aveva fatto montare alcune tende perché nella struttura non c’era più posto. «Che siamo in difficoltà è un dato oggettivo», ha detto Giovanni Barini della cooperativa Milonga che gestisce il CAS. «Nelle tende abbiamo ospitato una ventina di richiedenti asilo: non è questa una sistemazione dignitosa, ma non c’è più posto. D’altra parte se i sindaci negano case, come possiamo fare?». Dopo diverse polemiche, la prefettura era poi intervenuta per farle smontare.

Anche le prefetture di altre regioni hanno fatto ricorso alle tende per far fronte all’aumento delle persone da ospitare.

Nel centro Mattei di Bologna, una struttura del demanio nella parte orientale della città, le tende erano state montate all’inizio dell’anno in previsione di un flusso maggiore rispetto al passato. Già alla fine di aprile era stato segnalato il sovraffollamento del centro. Nelle ultime settimane nel Mattei sono state ospitate 500 persone, molte più delle 200 per cui era stato allestito. Il prefetto di Bologna, Attilio Visconti, ha ordinato di smontare le tende, ma senza altre destinazioni disponibili l’unica alternativa è la costruzione di 15 prefabbricati. La prefettura ha sollecitato i comuni a mettere a disposizione altre strutture come le ex caserme.

Due tende sono state montate anche a Paterno, frazione del Comune di Pelago, provincia di Firenze, dopo l’esaurimento dei posti nel centro di accoglienza. Massimo Cappelli, il coordinatore della società che gestisce il centro, ha spiegato al Corriere Fiorentino che le tende sono l’unico modo per rispondere alla mancanza di posti nell’intera provincia: al momento nei CAS ci sono circa duemila migranti oltre ad altre 700 persone ospitate nelle strutture del sistema di accoglienza e integrazione (SAI). «Le strutture sono sature e sarà difficile trovare nuovi immobili, quindi è possibile che venga avviata una procedura d’emergenza, con moduli abitativi o con delle tensostrutture», ha detto alla Nazione Marzio Mori, direttore dei servizi della fondazione Caritas di Firenze legati alla marginalità ed ai migranti. «Non vedo molte altre alternative».

La situazione è simile in alcune province della Lombardia. A Brescia la prefetta Maria Rosaria Laganà ha fatto un appello alle amministrazioni comunali per trovare nuove strutture: su 205 comuni solo 39 aderiscono alla rete SAI. La sindaca di Brescia, Laura Castelletti, ha spiegato che la città non è in grado di sostenere nuovi arrivi.

A Romano di Lombardia, in provincia di Bergamo, il sindaco Sebastian Nicoli ha chiesto alla prefettura un’ispezione per controllare le condizioni di ospitalità dei migranti in un albergo. Nel 2015 la Lega organizzò una manifestazione, a cui partecipò il segretario Matteo Salvini, per protestare contro l’accoglienza di trenta persone nella palestra di una scuola superiore del paese. Ora secondo gli ultimi aggiornamenti i migranti ospitati nell’albergo sono 159, un numero che secondo il sindaco è sproporzionato rispetto alla capacità di accoglienza della struttura. «Ho avuto modo di appurare che almeno fino a ieri non vi è una gestione di queste persone se non del livello minimo assistenziale», ha detto Nicoli.

Il governo non ha ancora detto come intende gestire l’aumento delle persone in arrivo. Pur essendo numeri gestibili da un paese come l’Italia, la maggioranza di destra di Giorgia Meloni promette da anni di ridurre i numeri dei migranti e richiedenti asilo che arrivano via mare, spesso con proposte irrealizzabili e problematiche e una retorica velatamente discriminatoria. Al momento non ci sta riuscendo.

Domenica l’Unione Europea ha firmato un memorandum di intesa col governo tunisino guidato dal presidente autoritario Kais Saied, che prevede fra le altre cose 105 milioni di euro alla Tunisia per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti e richiedenti asilo. Il memorandum, tuttavia, non interviene sulle ragioni più profonde dietro all’aumento degli arrivi, e ci sono buone ragioni per pensare che nemmeno nell’immediato riuscirà a ridurre le partenze delle imbarcazioni di migranti.

– Leggi anche: Ora i migranti partono perlopiù dalla Tunisia

In un articolo pubblicato sul Riformista, il sindaco di Prato Matteo Biffoni, delegato dell’ANCI per le politiche legate all’accoglienza, ha scritto che il governo dovrebbe riconoscere ai comuni maggiori strumenti, come la competenza del rinnovo dei permessi di soggiorno e il personale per farlo, oltre a più risorse per i servizi sociali e per i mediatori culturali e linguistici nelle scuole. L’obiettivo della proposta di Biffoni è limitare il sistema di accoglienza straordinario delle prefetture e rendere centrale il sistema di accoglienza diffuso dei comuni attraverso professionisti specializzati. «Capisco che stanziare risorse per temi scomodi non faccia piacere, ma non farlo è ipocrita, perché significa solo aumentare le file dei fantasmi, delle occupazioni abusive, della manovalanza per la criminalità organizzata», ha scritto Biffoni.