L’immigrazione sta mettendo d’accordo Salvini e Meloni

Entrambi stanno sfruttando l'aumento degli sbarchi e alcuni fatti di cronaca per parlarne con toni allarmistici e soluzioni poco concrete

di Luca Misculin

(AP Photo/Santi Palacios)
(AP Photo/Santi Palacios)
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Al momento l’immigrazione è uno dei pochi temi concreti della campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 settembre, che in questi giorni si sta concentrando molto su candidature e alleanze. Ne stanno parlando soprattutto i partiti di destra, nei modi e toni con cui la destra italiana ormai da anni si occupa di accoglienza e integrazione dei migranti: con allarmismo e senza indicare soluzioni troppo realistiche.

Il segretario della Lega Matteo Salvini, che negli anni scorsi sulle notizie false e sui toni allarmistici sui migranti aveva costruito parte dei suoi consensi, ha annunciato una visita a Lampedusa e pubblicato diversi post sui suoi account social in cui ha promesso uno «stop agli sbarchi», «espulsioni e difesa dei confini». La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, prima della caduta del governo di Mario Draghi chiedeva spesso le dimissioni della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese accusandola di una gestione troppo benevola dei migranti che arrivano via mare. Pochi giorni fa Meloni ha inoltre ripreso con grande indignazione il video di una rissa fra persone straniere avvenuta davanti alla Stazione Centrale di Milano: «A quante altre aggressioni e violenze dovremo assistere per ammettere che in Italia c’è un enorme problema sicurezza?», ha scritto Meloni.

È verosimile che Salvini e Meloni – che pure su altre questioni non la pensano allo stesso modo, come per esempio il sostegno dell’Italia all’Ucraina – insisteranno con toni del genere fino alla fine della campagna elettorale. Sarà infatti un’estate di molti arrivi di migranti, come si è visto finora.

Secondo i dati del ministero dell’Interno, dal 1° gennaio alla mattina del 27 luglio 2022 sono arrivati sulle coste italiane 37.950 migranti. Nello stesso periodo erano stati 27.474 nel 2021 e 12.473 nel 2020, un anno in cui la pandemia da coronavirus aveva ridotto moltissimo gli arrivi via mare. L’aumento degli arrivi, gestibile per un paese come l’Italia e molto lontano dai picchi del 2016-2017, è stato attribuito a una maggiore instabilità nei principali paesi di partenza dei migranti, dovuta anche alla guerra in Ucraina e alle sue conseguenze, come la crisi alimentare provocata dal blocco delle esportazioni del grano, e agli strascichi della pandemia da coronavirus.

Una barca di migranti attende di essere soccorsa al largo di Lampedusa (AP Photo/Pau de la Calle)

Un modo efficace di ridurre i flussi di migranti che arrivano in Italia via mare, quindi in maniera irregolare e rischiando la vita, sarebbe quello di creare vie legali per trasferirsi in Italia da paesi che non appartengono all’Unione Europea: ad oggi però queste vie sono praticamente inesistenti per via della cosiddetta legge Bossi-Fini, approvata nel 2002 dall’allora governo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi e mai abrogata, nemmeno dai governi di centrosinistra.

La misura più rilevante della Bossi-Fini fu limitare l’ingresso in Italia soltanto ai migranti già in possesso di un contratto di lavoro. «Le ambasciate e i consolati italiani fungeranno quindi da uffici di collocamento, cercando di soddisfare le richieste di imprese e famiglie», scriveva ottimisticamente Repubblica nel giugno del 2002.

Le cose sono andate in maniera molto diversa. «L’idea che si possano incrociare domanda e offerta di lavoro a distanza, quando il lavoratore straniero si trova ancora nel paese di origine, è semplicemente assurda», spiegò nel 2017 ad Altreconomia il sindacalista della CISL Maurizio Bove, esperto di immigrazione e lavoro. Nessun datore di lavoro si affida al rischio di assumere una persona che vive a migliaia di chilometri di distanza e che non ha mai visto di persona, esponendola peraltro al rischio di diventare irregolare nel caso qualcosa vada storto durante il rapporto di lavoro.

Di conseguenza da allora la stragrande maggioranza dei migranti che arrivano in Italia per cercare lavoro lo fa irregolarmente, sperando di trovare un lavoro in nero e di essere regolarizzata più avanti: per esempio con la sanatoria come quella applicata dal secondo governo di Giuseppe Conte, riuscita solo in minima parte, o con le poche centinaia di regolarizzazioni garantite ogni anno dal cosiddetto “decreto flussi”, una legge con cui il governo regola soprattutto l’ingresso di lavoratori stranieri stagionali.

– Leggi anche: La sanatoria per i lavoratori stranieri non ha funzionato

Negli anni la Bossi-Fini ha spinto centinaia di migliaia di persone straniere a vivere in Italia senza alcun permesso di soggiorno, cioè irregolarmente: una condizione ai margini della società che le spinge verso la criminalità o il lavoro in nero. Pochissime di queste persone vengono inoltre rimpatriate, dato che i rimpatri sono da sempre difficili e molto costosi per lo stato.

La Bossi-Fini era nata con l’obiettivo esplicito di ridurre gli ingressi irregolari in Italia e renderla quindi un posto più sicuro, ma ottenne l’effetto opposto: l’aumento di persone irregolari, di cui lo Stato ha una percezione e quindi un controllo molto limitato, crea problemi di ordine pubblico e convivenza che amplificano la percezione di disagio, soprattutto nelle grandi città.

La situazione è ulteriormente peggiorata fra 2018 e 2019 con i cosiddetti “decreti sicurezza” voluti e promossi dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini durante il primo governo guidato da Giuseppe Conte.

Salvini abolì il permesso di soggiorno per motivi umanitari per scoraggiare migranti e richiedenti asilo a venire in Italia (è una forma di protezione internazionale dai criteri meno stringenti dello status di rifugiato, e quindi garantito con maggiore facilità). Presentò il primo “decreto sicurezza” come «un passo in avanti per rendere l’Italia più sicura». Anche in quel caso, però, non accadde quanto promesso.

I cosiddetti “decreti sicurezza” hanno creato decine di migliaia di nuovi irregolari. In questi anni il numero totale degli irregolari è rimasto stabile per via della sanatoria del secondo governo Conte, dei mancati arrivi per la pandemia, e per il ripristino di alcune forme di protezione decise anche queste dal secondo governo Conte. Senza questi fattori, e coi “decreti sicurezza” ancora in atto, il numero degli irregolari sarebbe aumentato moltissimo.

Anche in questa campagna elettorale, la Lega sta usando toni duri sul tema dell’immigrazione. In una dichiarazione all’agenzia Vista, l’attuale sottosegretario all’Interno e deputato della Lega, Nicola Molteni, ha detto che per il suo partito «la priorità è ripristinare i decreti sicurezza». In un recente comizio a Domodossola, in provincia di Verbano-Cusio-Ossola, Salvini ha promesso «zero clandestini in giro per il nostro paese» (usando una parola scorretta per definire le persone irregolari ed evitando di dire che quando fu in carica come ministro dell’Interno, fra 2018 e 2019, i numeri dei rimpatri di stranieri irregolari rimasero sostanzialmente uguali rispetto a quelli compiuti dai suoi predecessori e dai suoi successori).

Il programma di Fratelli d’Italia non è stato aggiornato rispetto a quello pubblicato nel 2018, che prevedeva un «rimpatrio immediato» per gli irregolari, «espulsione dei clandestini» e maggiore «controllo delle frontiere e blocco navale».

Meloni ha ribadito più volte anche in questi anni la necessità di attuare un blocco navale per impedire l’arrivo di barche e gommoni di migranti dal Nord Africa. Attuare un blocco navale significa sostanzialmente schierare le navi militari italiane a protezione dei porti, con l’ordine di sparare sulle imbarcazioni che non sono autorizzate ad entrare nelle acque italiane: un’operazione difficilissima e probabilmente incostituzionale e contraria al diritto internazionale. Il programma di Fratelli d’Italia prevede vie legali di ingresso in Italia ma solo attraverso il “decreto flussi”, cioè una norma pensata soltanto per i lavoratori stagionali, e soltanto «per nazionalità che hanno dimostrato di integrarsi e che non creano problemi di sicurezza».

Per quanto riguarda i cosiddetti “decreti sicurezza”, all’epoca del primo governo Conte Meloni li appoggiò esplicitamente, e anzi spiegò che avrebbe preferito misure ancora più dure. Non è chiaro se nel frattempo abbia cambiato posizione.