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  • Mercoledì 19 luglio 2023

La cassa integrazione per il caldo è un’eccezione

In teoria può essere richiesta quando ci sono più di 35 gradi, ma prima i datori di lavoro devono introdurre misure per limitare i rischi

caldo
(Carlo Lannutti/LaPresse)
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Martedì i responsabili dello stabilimento Stellantis di Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli, hanno concesso ai lavoratori che assemblano l’auto Fiat Panda di finire il turno pomeridiano alle 16 per via del caldo eccessivo segnalato nei reparti. Alcuni giornali hanno citato il caso dello stabilimento campano collegandolo alla possibilità di ricorrere alla cassa integrazione ordinaria per “eventi meteo”, come previsto dal 2016 dalle circolari diffuse ogni anno dall’INPS, l’ente di previdenza sociale italiano. In realtà i sindacati di base hanno spiegato che la fine del turno anticipata nello stabilimento di Pomigliano d’Arco è stata decisa a causa di un guasto, che ha mandato in tilt i computer del reparto verniciatura e soprattutto i condizionatori dello stabilimento. Oltre al caldo, quindi, c’era un blocco della linea di produzione.

Non è ancora chiaro se Stellantis chiederà la cassa integrazione ordinaria per le ore perse e se possa effettivamente chiederla, ma nel frattempo sono usciti vari articoli in cui si parla di questa possibilità. Tuttavia, pur essendo prevista dalle norme dell’INPS, la cassa integrazione ordinaria per eventi meteo è considerata un’eccezione rispetto alle regole per cui i datori di lavoro dovrebbero assicurare condizioni di lavoro dignitose ai dipendenti.

Questo genere di cassa integrazione può essere richiesta dal datore di lavoro in presenza di fenomeni meteorologici come neve, pioggia, gelo e nebbia per i lavori che si svolgono all’aperto. Ci sono diversi parametri da rispettare, per esempio i lavori di costruzione di edifici si possono fermare quando ci sono precipitazioni giornaliere oltre i 2 millimetri di pioggia. Basta invece superare un millimetro di pioggia in caso di lavori di intonacatura, verniciatura, pavimentazione e impermeabilizzazione.

Un primo riferimento alle temperature elevate fu inserito in una circolare pubblicata dall’INPS nel 2016, per individuare le possibili cause di ricorso alla cassa integrazione ordinaria. «Le temperature eccezionalmente elevate, di norma superiori ai 35/40 gradi, costituiscono un motivo che dà titolo all’intervento», si legge nella circolare.

Man mano, negli anni successivi, l’INPS ha specificato altri dettagli poi riassunti in un messaggio pubblicato nel 2022. Nel 2017 è stato chiarito che la soglia di 35 gradi di per sé non è un parametro vincolante. La cassa integrazione ordinaria può essere concessa anche a una temperatura inferiore, dopo aver valutato la cosiddetta temperatura “percepita”, più elevata rispetto a quella segnalata dagli strumenti di misurazione. Può essere tenuta in considerazione anche la percentuale di umidità che, combinata con la temperatura, può causare condizioni di lavoro poco sopportabili.

C’è un punto cruciale specificato dall’INPS in merito alla responsabilità dei datori di lavoro: e cioè che si può ricorrere alla cassa integrazione ordinaria in tutti i casi in cui «sussistono rischi o pericoli per la sicurezza e la salute dei lavoratori, purché le cause che hanno determinato detta sospensione/riduzione non siano imputabili al datore di lavoro stesso o ai lavoratori».

Questa precisazione non è secondaria. Significa che prima di tutto i datori di lavoro devono creare i presupposti per lavorare in condizioni dignitose, e per rendere sopportabile eventualmente lavorare anche quando fa caldo.

Peraltro in molti settori si lavora costantemente a temperature molto elevate: nelle acciaierie, nei forni e nelle aziende alimentari, nei campi coltivati durante i mesi estivi. Sono casi che dimostrano come le temperature elevate rientrino nel principio più generale per cui il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi e studiare misure per ridurli. I rischi possono essere limitati, per esempio, installando sistemi di condizionamento dell’aria o assicurando pause più lunghe ai lavoratori.

In una circolare dell’Ispettorato nazionale del lavoro (INL), intitolata “​Tutela dei lavoratori sul rischio legato ai danni da calore”, si parla della necessità di considerare misure per mitigare i rischi durante le ore più calde della giornata, dalle 14 alle 17, anche con interventi per specifiche mansioni, per le attività che richiedono un intenso sforzo fisico e per quelle che richiedono di indossare dispositivi di protezione individuale. Ma la sopportazione delle alte temperature dipende anche da fattori come l’età, le condizioni di salute e il sesso di lavoratori e lavoratrici. Come per tutti gli altri casi, il mancato rispetto delle misure di prevenzione e protezione dei rischi può portare alla sospensione dell’attività dei lavoratori in seguito a un accertamento degli ispettori del lavoro.

Nelle sue linee guida per la gestione del rischio in caso di temperature elevate, l’INAIL (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) spiega che è molto importante considerare l’importanza dell’idratazione, di un abbigliamento adeguato, dell’organizzazione dei turni di lavoro e della possibilità di accedere ad aree ombreggiate durante le pause. E devono essere prese misure specifiche quando i lavoratori sono più soggetti alle conseguenze del caldo: come nei casi di malattie della tiroide, obesità, asma e bronchite cronica, diabete e patologie cardiovascolari.

Solamente quando il datore di lavoro non può introdurre misure per limitare i rischi a causa delle temperature elevate può fermare il lavoro e chiedere la cassa integrazione ordinaria. Nella domanda devono essere ben specificate le cause riconducibili all’eccessivo calore che hanno portato alla sospensione del lavoro. Per via della sua eccezionalità, negli ultimi anni sono pochissime le aziende che l’hanno richiesta, mentre è molto frequente quella per maltempo durante i mesi autunnali e invernali. Intervistati da alcuni giornali locali, negli ultimi giorni diversi sindacalisti hanno spiegato che le aziende preferiscono introdurre misure per assicurare condizioni di lavoro migliori piuttosto che fermare la produzione.