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  • Giovedì 1 giugno 2023

L’altitudine avrà un ruolo in queste finali NBA?

Tra Denver e Miami ci sono oltre 1.600 metri di dislivello: i dati indicano che Denver già beneficia dell'altura, ma a Miami non sembra importare

di Pietro Cabrio

Erik Spoelstra, allenatore dei Miami Heat (AP Photo/David Zalubowski)
Erik Spoelstra, allenatore dei Miami Heat (AP Photo/David Zalubowski)
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Le finali del campionato di basket NBA iniziano nella notte tra giovedì e venerdì. Le giocano i Denver Nuggets e i Miami Heat e sono ritenute fra le più improbabili di sempre. Denver, pur giocando i playoff da cinque anni di fila, non era mai arrivata in finale nella sua storia. Miami, invece, era stata soltanto la dodicesima squadra della stagione regolare e per qualificarsi ai playoff era dovuta passare per gli spareggi.

Queste finali sono quindi presentate soprattutto per la loro imprevedibilità, oltre che per i due giocatori più rappresentativi: il serbo Nikola Jokic per Denver, eletto due volte miglior giocatore del campionato, e Jimmy Butler per Miami, che in questi playoff sta sostenendo la sua squadra con una media di 28,5 punti a partita. Ma c’è anche un altro aspetto che negli ultimi giorni sta tenendo insolitamente banco, ed è l’altitudine.

Tra le città di Denver e Miami ci sono infatti oltre 1.600 metri di dislivello. La prima è la città più elevata fra quelle che ospitano una squadra di NBA, la seconda è pochi metri sopra il livello del mare (nonché fra quelle più a rischio per l’innalzamento del livello dei mari). La Ball Arena di Denver, che è il palazzetto dove giocano i Nuggets, si trova a 1.609 metri di altitudine, cosa di cui la squadra si vanta: il soprannome “Mile-High City” (“città alta un miglio”) viene usato anche sulle maglie e all’interno del palazzetto il numero 5280, che è l’altitudine della città misurata in piedi, si legge un po’ ovunque.

Nello sport professionistico l’altura può essere infatti un problema a causa dell’aria rarefatta. A chi non è abituato può provocare sintomi di affaticamento, difficoltà respiratorie, accelerazione del battito cardiaco e sopra certe altitudini anche mal di testa e stati confusionali.

I rischi dell’altura sono noti soprattutto nell’atletica leggera e nel calcio. In Sud America, per esempio, le sconfitte subite in Bolivia, Ecuador o Colombia da grandi squadre di calcio o nazionali come Brasile e Argentina nei primi anni Duemila ebbero come effetto l’introduzione di regolamenti specifici che in alcuni casi resero di fatto impossibile disputare le partite nelle zone più elevate dei paesi citati. Lì però le altitudini sono ancora maggiori e possono superare i 3.500 metri. Il divieto fu molto contestato fin dalla sua introduzione e per questo rimase in vigore appena un anno, tra il 2007 e il 2008.

Anthony Davis e Jamal Murray (Harry How/Getty Images)

In Sud America gli scompensi atletici causati dall’altura si ripropongono ancora regolarmente: è rimasto nella storia per esempio il 6-1 con cui nel 2009 la modesta Bolivia sconfisse l’Argentina allenata da Diego Armando Maradona. E proprio in Bolivia è diventata quasi un’usanza per i tifosi presentarsi nei propri stadi per le partite internazionali vestiti da fantasma, “il fantasma dell’altura”.

Anche Denver gioca molto sulle caratteristiche della sua città e stando ai dati sembra beneficiarne. In NBA il cosiddetto fattore campo medio, ossia il vantaggio che le squadre avrebbero nelle partite giocate in casa, è stato calcolato nel 62 per cento di probabilità di vittoria, mentre Denver tiene una media del 66 per cento. Secondo ESPN Stats & Information i Nuggets sono anche la squadra del campionato con lo scarto più ampio tra le percentuali di vittorie ottenute in casa (65,2 per cento) e in trasferta (35 per cento).

Questi dati sono strettamente collegati alla competitività della squadra in questione, e ce ne sono altri che possono sostenere questa tesi. Agli ultimi playoff Denver ha giocato otto partite in casa senza mai perdere, mentre nella stagione regolare ha avuto il secondo miglior record casalingo con 34 vittorie e 7 sconfitte.

Le prime due gare di queste finali NBA si giocheranno a Denver e secondo alcune indiscrezioni i giocatori di Miami, che sono già in città e ci rimarranno fino al 5 giugno, sono stati ampiamente istruiti a riguardo. Il loro allenatore, Erik Spoelstra, sembra però non curarsene troppo, almeno all’apparenza. In conferenza stampa ha detto: «I nostri ragazzi sono in grande forma e pronti a competere. Se Denver vuole andare a giocare in cima al monte Everest, lo faremo. Poi però anche loro dovranno venire a Miami, e magari li facciamo giocare con l’aria condizionata spenta e l’umidità al 90 per cento».

Rispetto ad altri casi, il fatto di giocare al chiuso e non soltanto una partita, ma due nell’arco di quasi una settimana di permanenza in città, potrebbe effettivamente mitigare gli effetti dell’altitudine per Miami. Ci sono stati però casi di giocatori che ci hanno messo molto tempo ad abituarsi, come ha raccontato Aaron Gordon, che dopo sei stagioni passate ad Orlando, in Florida, ora gioca a Denver: «Sembrava non ci fosse mai abbastanza ossigeno» disse a riguardo. Altri stanno ricordando invece che l’ultima vittoria di Miami ai 1.609 metri sopra il mare di Denver risale al 2016.

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