Gli orsi di Xi Xi (e i miei)

«La scrittrice più inventiva e originale di Hong Kong, la città nella quale vivo da ventisei anni, ha dedicato le ultime decadi della sua vita a un dialogo letterario con la città, e a cucire bellissimi orsi. Confermando una volta di più che Hong Kong è un luogo unico anche in letteratura, e che le difficoltà che attraversa da alcuni anni sono uno strazio, e una perdita per il mondo intero»

Un primo piano dell'orso che rappresenta Sima Qian, vissuto durante la Dinastia Han, tra il 145 e l’85 avanti Cristo, e considerato il padre della storiografia cinese (Orso di Xi Xi; foto di Ilaria Maria Sala)
Un primo piano dell'orso che rappresenta Sima Qian, vissuto durante la Dinastia Han, tra il 145 e l’85 avanti Cristo, e considerato il padre della storiografia cinese (Orso di Xi Xi; foto di Ilaria Maria Sala)
Caricamento player

Quando mi sveglio la mattina, uscendo dal letto ringrazio i miei orsi per aver trascorso la notte con me. Poi, alla fine della giornata, li spingo da parte con la spalla, gentilmente, affinché facciano posto a me e al mio libro. Spegnendo la luce, di nuovo li abbraccio.

Non so se vi piaccia dormire con gli orsi – io per fortuna sono riuscita a non dover mai provare a dormire senza averne almeno uno con me. Dato che vivo in Asia dal 1988 – prima a Pechino, poi a Tokyo, poi Hong Kong e Shanghai e Hong Kong e Kathmandu – avere sempre un orso che mi accompagni nel sonno comporta un leggero impegno. Non tutti sono abituati alle incertezze dei viaggi. Alcuni di loro, poi, hanno dimensioni ragguardevoli, e non sono così mobili. Per essere riuniti bisogna aspettare che io mi trovi in una casa non troppo temporanea, ma fra tutti, l’orso che ha maggiore dimestichezza con aerei, autobus e treni è un urside bruno che si chiama Orso Buono, che viaggia dentro una borsa di seta coreana cucita in stile bojagi – un tipo di patchwork con cui gli artisti coreani del tessuto creano ritmiche immagini geometriche.

Onestamente, non mi è chiaro perché vogliamo così spesso spingerci in dei ruoli definiti dall’età – o perché la parola “infantile” abbia connotati negativi quando viene riferita ai comportamenti di persone adulte. Quindi, è innegabile che i miei orsi siano dai più chiamati orsacchiotti, o perfino orsi di pezza (!) come se non fosse mille volte meglio fare spazio all’immaginazione.

A Hong Kong, ho trovato un riferimento letterario che conferma in pieno il mio punto di vista: la scrittrice che si firmava Xi Xi (si pronuncia Sai Sai, per chi vuole leggerlo alla cantonese, o Si Si, in mandarino), scomparsa nel 2022 a 85 anni. L’ultimo suo libro uscito in inglese è proprio quello sugli orsi, animali che confezionava con stoffa, ago e filo. Nei primi anni Novanta Xi Xi subì un intervento di mastectomia che eliminò il cancro di cui era malata, danneggiandole però i nervi della mano destra. Così, si impose di imparare a scrivere e disegnare con la sinistra, e per recuperare mobilità nelle dita cominciò a cucire. Orsi.

Scrisse di essere rimasta sorpresa dalla mancanza di orsi cinesi (solo ora mi rendo conto di non aver del tutto capito cosa intendesse con questo, ma è troppo tardi per chiederglielo), e che fu proprio una tale mancanza a spingerla a decidere di cucirli lei stessa. Tramutando così in orsi i grandi personaggi della letteratura e della mitologia quali Laozi, l’Imperatore Giallo, e sua moglie Leizu, ovvero i progenitori dell’intera civiltà cinese (secondo la tradizione Leizu ha anche inventato la seta, molto utile per vestire orsi languidi e amanti del lusso), insieme a grandi scrittori come Cao Xueqin, l’autore del Sogno della Camera Rossa (questo sì tradotto in italiano, da Einaudi).

Gli orsi di Xi Xi sono atletici, dagli arti lunghi e sottili ma con larghi, affidabili piedi. Hanno dimensioni variabili – in alcune foto, in cui si può vedere Xi Xi reggere vicino a sé gli orsi a cui ha dato vita, sembrano grandi la metà di lei. Immagino che abbia discusso con loro diverse tematiche letterarie e artistiche, dato che per quanto languidi sembrano del tutto inclini a conversazioni sapienti. L’impatto di Xi Xi sulla letteratura di Hong Kong è totale: se tutta la scrittura contemporanea in lingua russa è uscita dal cappotto di Gogol, quella di Hong Kong è stata cucita addosso alla città grazie all’ago di Xi Xi.

Vorrei dirvi di più su di lei, ma poche cose girano più in tondo di disquisizioni su scrittori e scrittrici a cui non abbiamo accesso, e dunque qui basti sottolineare questo: la scrittrice più inventiva e originale di Hong Kong, la città nella quale vivo da ventisei anni, ha dedicato le ultime decadi della sua vita a un dialogo letterario originalissimo e intenso con tutto quello che Hong Kong rappresentava per lei, e a cucire bellissimi orsi. Confermando una volta di più che Hong Kong è un luogo unico e fuori dal comune, anche in letteratura, e che le difficoltà che attraversa da alcuni anni a questa parte sono uno strazio, e una perdita per il mondo intero.

La didascalia di Xi Xi per uno dei suoi orsi: «Zhong Lichum (鍾離春) conosciuta anche come Zhong Wuyan (锺无艳) è passata alla storia per due cose: il suo sgradevole aspetto e i suoi saggi consigli. Visse nel IV secolo prima di Cristo nell’epoca degli Stati combattenti». (foto Ilaria Maria Sala)

Voglio tornare sul problema di come sia meglio riferirsi a quegli orsi sufficientemente generosi da lasciarsi abbracciare durante la notte. Preferisco la parola “orsi” a “orsacchiotti” – per non parlare della terribile maleducazione del chiamarli orsacchiotti di peluche. Trattandosi di alcuni fra i compagni più magici che possiamo avere, non so come si possano utilizzare per loro nomi così poco lusinghieri. Certo, non tutti hanno questa predilezione quasi esclusiva per gli orsi: una mia amica era incapace di passare la notte senza il suo coniglio. Lo stesso, come vogliamo chiamare generosi compagni di questo tipo? Animali di pezza? Troppo scortese.

In inglese, per gli orsi, la parola Teddy ha preso il sopravvento. Ma non è la soluzione: la connessione con Theodore Roosevelt è fastidiosa. Il nome infatti proviene da una vignetta disegnata da Clifford Berryman pubblicata sul Washington Post nel 1902, ispirata dal giorno in cui Roosevelt rifiutò di sparare a un cucciolo d’orso che era stato legato a un albero apposta per lui. Nella vignetta, Roosevelt non si preoccupa di portare soccorso all’orsetto, ma volge sdegnosamente la schiena, rifiutandosi di uccidere ad armi così impari. Da lì Morris Michtom, un produttore di giocattoli di New York, si mise a confezionare orsi da compagnia chiamandoli Teddy Bears. Ma se condivido volentieri l’intimità del mio letto con i miei orsi, non lo farei con il fantasma di Roosevelt.

La vignetta di Clifford Kennedy pubblicata sul Washington Post nel 1902 (via Library of Congress)

Quindi, niente “teddy”. Orsi giocattolo? Animaletti? No. Nessuna di queste parole si presta, e non deve stupire che tante di queste creature abbiano nomi propri (il coniglio della mia amica si chiamava Signor Coniglio, forse non era un tipo da dire molto su di sé). Il mio braccio destro si chiama Orso Buono. Da qualche anno ha cominciato a indossare una giacca marrone che gli ho confezionato a maglia, dato che anche lui, come tutti, si infragilisce un po’ con gli anni. Giacca o non giacca, continua a essere un animale feroce, ed è facile che si inselvatichisca in luoghi di montagna – in particolare le Dolomiti, e il Monte Fuji.

Ma l’importanza degli orsi non può essere sottovalutata. Xi Xi, per esempio, avrebbe potuto cercare di mantenere la mobilità della mano destra con l’uncinetto, o modellando creta, o facendo giraffe, bambole, o topolini. Margarete Steiff, la sarta tedesca che fondò la casa di giocattoli Steiff dove ebbe origine il primo orso europeo (progettato da suo nipote Richard, il quale, proprio come Michtom, era rimasto impressionato dalla decisione di Roosevelt di non sparare a un cucciolo prigioniero) in realtà aveva cominciato dando vita a degli elefanti. Lei li aveva pensati come puntaspilli (uno degli oggetti meno celebrati ma più indispensabili di ogni sartoria) e furono i suoi clienti a decidere che invece si prestavano meglio a divenire compagni di giochi dei bambini.

Gli orsi di Xi Xi, quelli di Steiff, o il mio Orso Buono, non sono animali selvaggi che potrebbero improvvisamente saltarci addosso e sbranarci, ma orsi colti, giocosi e raffinati. Buono ha una giacca elegante, gli orsi di Xi Xi sono evidentemente in grado di allacciarsi i nastri di seta dei loro sofisticati vestiti, e si guardano intorno con un’espressione riflessiva. Questo, quando sanno di essere guardati. Nessuno può sapere cosa succeda quando sono lontani dall’osservazione umana.

Chissà che tipo di passatempi ha l’Orso Buono quando non sono vicina a lui. Sapendo che è un orso buono non penso che sia mai finito in una rissa, a meno che, forse, non si sia trovato in una situazione in cui era necessario difendermi in circostanze che non posso immaginare. Nel 2019, per esempio, quando tutta Hong Kong era scossa dalle manifestazioni pro-democrazia, progressivamente più disperate e violente davanti al rifiuto del governo di instaurare un dialogo con i cittadini e delegando invece tutto alla polizia e ai suoi lacrimogeni e manganelli, tornavo a casa tardi la sera, spesso con il gas ancora appiccicato ai capelli e ai vestiti, al gilet con scritto PRESS in grosse lettere gialle. Mentre mettevo via il taccuino con le interviste, gli occhiali e la maschera protettiva, e mi preparavo ad andare da Buono, non so quanto rancore si potesse star sviluppando in lui contro chi ci faceva correre, sera dopo sera, per sfuggire a spray urticanti, gas lacrimogeni, o per il dolore di vedere una città un tempo incamminata verso la democrazia così drammaticamente incanalata verso una gestione autoritaria e repressiva.

Dopotutto, Orso Buono era stato – insieme al mio diario, a della biancheria di ricambio, e al mio passaporto – parte del pochissimo che mi ero portata in un minuscolo zaino quando venni evacuata dall’Università dove studiavo a Pechino, nel 1989, e portata nel territorio allora britannico di Hong Kong, dopo che le forze armate misero fine alle proteste di Piazza Tian’anmen nell’aprile di quello stesso anno. Quindi, ha esperienza con le tragedie politiche.

Riconosco che sia stato ferito diverse volte in passato, ma non mi ha mai voluto dire come sia successo. Che possa davvero andarsi a mettere in delle baruffe? Certo, non dovremmo assegnare alle bestie selvagge la nostra moralità – la natura ha le sue leggi, intoccate dalle nostre categorie morali. E del resto, siamo ancora incapaci di convivere con orsi meno inclini ad accettare l’imposizione di mansuetudine in nostra presenza. Non ci resta dunque che essere grati a quegli orsi che si trovano nei nostri letti con ferite misteriose e che malgrado questo restano civili e confortanti.

Un altro orso amico mio, Osvaldo, ha persino un nastro di satin intorno al collo, che gli conferisce un aspetto davvero chic. Pende un po’ storto, a dirla tutta, forse per un eccesso di dandismo, o forse perché se lo mette in quattro e quattr’otto quando sente che sto tornando a casa? Ci sono così tanti misteri.

Il problema è che se rifiutiamo di accettare che tutto quello che abbiamo intorno abbia una personalità, e che gli orsi abbiano una personalità più interessante di tanti altri, facciamo solo del male a noi stessi. Perché privarsi della capacità di meravigliarsi? Davanti al vento che soffia fra le foglie e i rami, e fa muovere l’erba. Davanti agli uccelli che volano e cinguettano. O quella meraviglia costante data dagli oggetti, così affidabili e reali, come questo tavolo su cui sto scrivendo ora.

Xi Xi diceva che era strano che ci fossero così pochi orsi cinesi, ma negli ultimi anni qualcosa è cambiato – non in Cina, ma a Taiwan. Quel che è più curioso, in modo militaresco. C’è un gruppo che si chiama Kuma Academy (kuma vuol dire “orso” in giapponese) dove vengono addestrati i civili a prepararsi a un possibile attacco al di là dello stretto. Chi segue gli addestramenti ha la possibilità di sostenere l’organizzazione acquistando gadget fatti a forma di orso-soldato. Quando ci furono le esercitazioni cinesi in cui venivano simulati attacchi a luoghi paragonabili alla costa taiwanese, i soldati taiwanesi in contro-addestramento militare sfoggiavano mostrine con su due orsi: Winnie the Pooh, spesso paragonato a Xi Jinping, il presidente cinese, che riceveva un cazzotto proprio in piena faccia da un orso grigio taiwanese. A riprova che non tutti gli orsi sono uguali.

Un frame di un video della Kuma Academy di Taiwan

Ci sono giorni terribili in cui la vita è schiacciante, e ci muoviamo traumatizzati su pavimenti che lo stesso ci sostengono, porte che si aprono per lasciarci passare, e l’Orso Buono è a letto, affidabile, concentrato nei suoi pensieri a me non del tutto noti. O giorni felici, in cui gli stessi pavimenti ci sono forse grati per avere il passo un po’ più spensierato e leggero. Giorni in cui l’aria si separa per lasciare che l’attraversiamo, con un mormorio impercettibile, buongiorno, buongiorno, c’è posto per tutti, guarda come volteggia sereno il mondo!

A volte, invece, siamo in lutto. Come me ora, che cerco di convivere con l’inconcepibile perdita di mia madre. Giornate buie, che tagliano il cuore in due e lo spingono su per i polmoni rendendo il respiro arduo e difficile. Sconfitta, tengo l’Orso Buono sul mio petto – con le dita accarezzo gli spessi punti cuciti sul suo collo dall’ago di mia mamma, dopo che le sue avventure segrete ce lo riportavano a casa un po’ scapigliato e pesto, con valorose ferite che lei ricuciva per me.

Fintanto che potevo chiederle di riparare Buono l’universo sembrava più coerente, malgrado le crisi politiche e le incertezze. Ora dovrò imparare a farlo da sola, dovesse mettersi di nuovo nei guai, e crogiolarmi un po’ meno nella dolcezza della meraviglia – quella dolcezza che ci consente di percepire tazze piene di opinioni, spazzole stanche di pulire e secchi stufi di portare acqua, vite quotidiane distinte dalla nostra ma a cui adattiamo continuamente le nostre forme interne ed esterne, arrendendoci, resistendo, sfuggendo, celebrando, ringraziando e creando. E tornando in case lontane, come quella in cui abito a Hong Kong, la mia città che diventa ogni giorno più omologata al resto della Cina, con libri che scompaiono, vignettisti a cui è intimato di smettere di pubblicare satira, e dove non è nemmeno più possibile commemorare con la storica veglia al Parco di Vittoria le vittime della repressione del 1989, a Pechino.

Ma dove mi accolgono ugualmente i miei orsi, gli affetti, le intenzioni, che non possono più essere raccontati a una madre, vicina attraverso ogni distanza.

Ilaria Maria Sala
Ilaria Maria Sala

Vive dal 1988 in Asia – dopo Pechino, si è spostata a Tokyo, poi Hong Kong, Shanghai, Hong Kong e Kathmandu, e ora di nuovo a Hong Kong. È autrice di diversi libri, l'ultimo, L'Eclissi di Hong Kong, Topografia di una città in tumulto, è stato pubblicato da ADD Editore nel 2022. Scrive in italiano e inglese, parla una decina di lingue (più o meno bene a seconda della lingua) ed è poetessa e ceramista.

STORIE/IDEE

Da leggere con calma, e da pensarci su