È un momentaccio per Azione

Questa settimana una deputata e vari esponenti politici locali sono passati a Italia Viva, rianimando lo scontro politico tra Renzi e Calenda

Carlo Calenda (LaPresse)
Carlo Calenda (LaPresse)
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Venerdì gli ex componenti della segreteria locale di Roma di Azione, il partito di Carlo Calenda, sono passati a Italia Viva, il partito di Matteo Renzi. La segreteria era un organo direttivo che era stato creato andando contro le regole nazionali del partito, e anche per questo era stata sfiduciata lo scorso novembre ed era quindi decaduta. Azione ha quindi smentito che facessero parte della dirigenza locale del partito, ma in ogni caso otto politici locali, tra cui un consigliere dell’XI municipio di Roma, hanno aderito a Italia Viva. Sui giornali se n’è parlato come dell’ultimo sintomo di un momento complicato che sta attraversando Azione in questi giorni.

Nonostante il progetto di fare un partito unitario di centro – il Terzo Polo – sia fallito ormai oltre un mese fa, i motivi di scontro politico tra Azione e Italia Viva non si sono esauriti, anzi.

A partire dal 15 maggio una serie di politici nazionali e locali sono passati dal partito di Calenda a quello di Renzi, oppure si sono dimessi dalle loro cariche. Le prime sono state una consigliera regionale in Emilia-Romagna, Giulia Pigoni, e la deputata Naike Gruppioni, entrambe passate a Italia Viva. Poi il segretario di Azione a Firenze, Franco Baccani. Il segretario piemontese di Azione, Gianluca Susta, si è dimesso ma non lascerà il partito. Infine si è dimessa anche la maggioranza del direttivo di Modena, 38 persone tra cui il segretario comunale, Pietro Borsari.

La gran parte di questi esponenti di Azione ha motivato la propria decisione criticando la dirigenza nazionale: «Registro un forte scontento della base per le giravolte continue sia alle scorse politiche sia nel caso del partito unico. Le nostre richieste sono state totalmente inascoltate», ha detto Giulia Pigoni parlando con il quotidiano Domani. Gli ex membri del direttivo di Modena hanno scritto in un comunicato che la loro decisione «risulta necessaria a fronte di una distanza politica ormai insanabile rispetto alle scelte adottate dal partito a livello nazionale, giudicate isolazioniste».

In pratica la dirigenza nazionale viene accusata di essere stata la principale responsabile del mancato accordo tra Azione e Italia Viva per formare un partito unico. Naike Gruppioni ha anche parlato di incompatibilità con il carattere di Calenda: in un’intervista a Repubblica ha detto che parlarci è difficile, «di solito lui parla e tu devi ascoltare. Ho provato a comunicare con lui in questi sette mesi ma non ci sono riuscita molto bene».

Calenda si è mostrato subito assai contrariato, un po’ tentando di ridimensionare la situazione e un po’ attaccando Renzi, accusandolo di dedicarsi a queste manovre per far passare dalla sua parte i parlamentari di Azione, peraltro mentre Calenda era impegnato nella campagna elettorale per le amministrative. Intervistato a DiMartedì su La7 questa settimana, Calenda ha escluso di poter andare alle elezioni europee insieme a Italia Viva.

Ma a parte le prossime elezioni, il passaggio di parlamentari dall’uno all’altro partito pone una questione politica non trascurabile, cioè la tenuta dei gruppi parlamentari.

Come ha spiegato bene un recente articolo di Pagella Politica, attualmente Italia Viva e Azione ne formano uno unico in entrambe le camere del parlamento. Alla Camera nessuno dei due partiti ha i numeri per dividere il gruppo e formarne uno autonomo, mentre al Senato sì: il numero minimo per formare un gruppo parlamentare è 6, e nel gruppo di Azione-Italia Viva sono 10. Con il recente passaggio di Enrico Borghi dal Partito Democratico a Italia Viva, i senatori del partito di Renzi sono diventati 6, e 4 quelli di Azione. Potenzialmente quindi, almeno al Senato, Italia Viva potrebbe rompere il gruppo e formarne uno autonomo, costringendo i 4 di Azione a unirsi al gruppo misto: questo implicherebbe una perdita economica consistente per Azione perché i gruppi, e dunque i partiti, ricevono contributi proporzionati al numero di componenti del gruppo, ma al gruppo misto ne spettano meno. L’ipotesi più probabile è che Renzi voglia sfruttare questo vantaggio per ottenere qualcosa nella riunione del gruppo parlamentare del Senato, che si svolgerà lunedì.