L’inchiesta sui furti di carburante nell’azienda dei rifiuti di Roma

Diciotto persone sono indagate, tra cui alcuni dipendenti dell'Ama: tra il 2017 e il 2020 sarebbero stati sottratti quasi 300mila litri

Un parcheggio dei mezzi Ama, a Roma (Vincenzo Livieri - LaPresse)
Un parcheggio dei mezzi Ama, a Roma (Vincenzo Livieri - LaPresse)
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Diciotto persone sono indagate a Roma con l’accusa di aver sottratto carburante all’Ama, l’azienda di raccolta dei rifiuti della città, partecipata dal comune: tra gli indagati ci sono anche alcuni dipendenti. Altre sette persone coinvolte in una prima fase dell’inchiesta, tra cui quattro lavoratori dell’Ama, hanno scelto di ricorrere al patteggiamento. Sono state condannate a pene da un anno e 11 mesi a 2 anni e 3 mesi di reclusione.

L’inchiesta è coordinata dal pubblico ministero Carlo Villani. Secondo le consulenze tecniche allegate all’indagine, dal 2017 al 2020 sarebbero stati sottratti all’Ama 293.858,19 litri di carburante utilizzando un metodo semplice: con le carte aziendali prepagate venivano fatti risultare rifornimenti a furgoncini che in realtà erano fermi in officina.

In una relazione scritta da consulenti tecnici nominati dalla procura e inviata alla Corte dei Conti è scritto: «Si riscontra che tra il 2017 e il 2020 sono stati registrati rifornimenti su mezzi fermi in officina per 293.858,19 litri». Nella relazione, citata dal Messaggero, si parla di «un quadro di criticità nella gestione delle carte aziendali» ma anche nelle «procedure di controllo». Vengono descritte «numerose operazioni incongruenti» e più rifornimenti fatti da singoli operatori.

Secondo i documenti dell’inchiesta le anomalie riguardano 2.064 dipendenti su circa 7mila totali, tuttavia tra queste ci sono anche incongruenze di pochi litri o anche di un solo litro. Ha detto al Corriere della Sera Marco Iannarilli, segretario regionale del sindacato Ugl Partecipate servizi ambientali: «C’è un’importante componente collegata alla sciatteria e incompetenza dei responsabili: ad alcuni, ad esempio, sono state contestate somme come 0,68 centesimi di presunto furto e poi si è scoperto che si trattava di errori di trascrizione. In altri casi, invece, c’è stata la malafede e temiamo che i responsabili delle autorimesse [dotate di distributori di carburante interni, ndr] in passato abbiano coperto i furti: è impossibile non rendersi conto che un mezzo effettua rifornimento in modo eccessivo rispetto al bisogno».

Secondo un altro sindacalista, Giancarlo Cenciarelli, segretario romano della Fp Cgil, hanno avuto un ruolo anche «l’assenza di procedure chiare e un’adeguata formazione all’applicazione delle stesse per i dipendenti. Ci sono state migliaia di contestazioni errate perché gli operai avevano commesso errori, anche di un solo centesimo, nella registrazione della spesa per il carburante. Questo perché non erano mai stati formati e tutto avveniva in forma cartacea. Chiaramente questo non è un alibi per chi ha agito in malafede, danneggiando la dignità di tanti lavoratori onesti ma le responsabilità le accerteranno i giudici».

I mezzi dell’Ama effettuavano il rifornimento con due modalità: o attraverso i distributori interni alle autorimesse o servendosi di distributori esterni.

Secondo la procura due dipendenti si sarebbero appropriati rispettivamente di carburante per 104.161 e per 97.381 euro, accordandosi con un benzinaio di via Flaminia Nuova, a Roma. L’indagine sta anche valutando la posizione di alcuni dirigenti dell’Ama, che secondo la consulenza tecnica richiesta dal pubblico ministero non hanno controllato la regolarità delle operazioni.

Per i rifornimenti dei propri mezzi l’Ama utilizza carte carburante dotate di pin. A ogni mezzo è abbinata una carta. È chi ha in dotazione il mezzo a fare rifornimento e dovrebbe farlo ovviamente solo per quel veicolo. I tecnici che hanno lavorato alla relazione per la procura hanno invece riscontrato che in molti casi lo stesso dipendente aveva effettuato più rifornimenti a distanza di pochi minuti oppure utilizzando carte prepagate di altri mezzi, in certi casi fermi per guasti o per manutenzione.

La procura sta indagando anche su un eventuale coinvolgimento di alcuni distributori di carburante. Hanno scritto i tecnici nella loro relazione: «Non appare comprensibile come i diversi addetti dei distributori interessati dalle operazioni segnalate, abbiano potuto attestare rifornimenti plurimi effettuati dalla stessa persona, a distanza di pochi minuti, su vari mezzi, oppure sullo stesso».

In una prima fase dell’inchiesta era emerso che per sottrarre la benzina era stato usato il cosiddetto metodo del “risucchio”: con un tubo di gomma veniva pescata la benzina dal serbatoio del mezzo in dotazione e messa poi in taniche per venderla. Le persone che hanno patteggiato e che sono state condannate erano state sottoposte a intercettazioni telefoniche per un certo periodo: «Sto rubando tutti i giorni, ecco perché ho la tachicardia», diceva un dipendente dell’Ama a un altro, alludendo probabilmente al fatto che per risucchiare la benzina doveva avviare l’operazione aspirando con la bocca dal tubo infilato nel serbatoio. Nelle intercettazioni l’operazione era definita la «bevuta».

Il presidente dell’Ama, Daniele Pace, ha detto che «in queste ore stanno partendo dei provvedimenti disciplinari e non sono esclusi licenziamenti per fatti che risalgono allo scorso anno». Intanto l’Ama ha cambiato le procedure interne: il rifornimento ai distributori interni alle rimesse è consentito solo ai mezzi che non sono abilitati a circolare in strada. Quelli invece abilitati adesso devono registrare chilometraggio e approvvigionamento, con un software che incrocia i dati per rilevare eventuali incongruenze.