La visita di La Russa al monumento a Jan Palach il 25 aprile

Il presidente del Senato ha scelto di commemorare un simbolo dell'anticomunismo nel giorno della Liberazione

(Ufficio stampa Senato)
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Martedì 25 aprile, nel 78esimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo, il presidente del Senato Ignazio La Russa è stato per alcune ore a Praga, in Repubblica Ceca, dove aveva un impegno istituzionale alla conferenza dei presidenti del parlamento dei paesi dell’Unione Europea. Dopo essere sceso dall’aereo e prima di andare al luogo della conferenza, La Russa ha fatto una breve tappa in piazza San Venceslao a Praga per lasciare un mazzo di fiori sul monumento dedicato a Jan Palach, lo studente cecoslovacco che nel 1969 si diede fuoco proprio in quella piazza per protestare contro l’occupazione sovietica dell’allora Cecoslovacchia.

L’omaggio di La Russa al monumento di un simbolo dell’anticomunismo, proprio nel giorno della festa della Liberazione, è stato visto da molti come un gesto provocatorio. «Mi ha colpito che il presidente del Senato La Russa domani si recherà a Praga a rendere omaggio a Jan Palach che è sicuramente un eroe della libertà ma ci sono altri 364 giorni all’anno per farlo» ha detto il presidente dell’ANPI Gianfranco Pagliarulo. «Da noi c’è stato il fascismo e ci misuriamo con quello che c’è stato in Italia, poi andare sulla tomba di Palach è senz’altro meritorio» ha detto invece l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini.

Visti i suoi precedenti – ha una storia molto nota di contiguità al fascismo – La Russa è stato accusato nuovamente di non riconoscere i valori dell’antifascismo che si celebrano il 25 aprile e su cui si fonda la Repubblica italiana. In particolare, gli è stato rimproverato di usare pretestuosamente avvenimenti distanti dalla storia italiana per screditare il comunismo, che ebbe un ruolo centrale nella Resistenza: le Brigate Garibaldi, composte in larga parte da partigiani comunisti, furono le formazioni più numerose e più coinvolte nella Liberazione dal nazifascismo.

In Italia e non solo, la figura di Palach è stata più volte sfruttata dall’estrema destra per sostenere posizioni anticomuniste, e in quegli ambienti è diventato un simbolo riconoscibile e di appartenenza. Per questo la visita di La Russa non è sembrata casuale nella giornata del 25 aprile, nonostante in mattinata avesse partecipato alle celebrazioni all’Altare della Patria a Roma insieme alle altre alte cariche dello Stato, e nonostante dopo la conferenza a Praga sia stato in visita al campo di concentramento di Terezin, a 50 chilometri dalla capitale ceca.

Intervenendo alla conferenza dei presidenti del parlamento, La Russa ha sminuito la simbolicità del suo gesto, sostenendo di essere sempre passato dal monumento a Palach quando si è trovato dalle parti di Praga.

Delle posizioni di La Russa sul 25 aprile si discute da quando è entrato in carica. Negli ultimi giorni lui stesso aveva alimentato le polemiche: prima sostenendo una serie di inesattezze e falsità sull’attacco partigiano di via Rasella, poi proprio facendo sapere che nel giorno della Liberazione avrebbe fatto visita al monumento a Palach. La storia anticomunista di Palach però c’entra molto poco con l’anticomunismo italiano a cui si sente vicino La Russa: Palach fu infatti ritenuto un simbolo anche da molta sinistra italiana, e la sua storia è per esempio citata nella canzone Primavera di Praga di Francesco Guccini.

Palach era un ragazzo di 21 anni che veniva da un paesino a cinquanta chilometri da Praga, trasferitosi nella capitale per studiare all’università. Si diede fuoco in piazza San Venceslao il 16 gennaio del 1969, versandosi addosso benzina e correndo in fiamme per la piazza. Alla scena assistettero diverse persone: Palach intendeva fare un gesto eclatante per protestare contro la censura imposta dall’occupazione dell’Unione Sovietica in Cecoslovacchia, spingendo altre persone a ribellarsi e protestare.

Lo rese chiaro in quattro lettere identiche che lasciò dietro di sé: una era nel cappotto che si tolse in piazza prima di darsi fuoco, le altre tre le inviò al leader studentesco di Praga, all’assemblea della Facoltà di lettere e filosofia e a un compagno di studi. Nelle lettere Palach si firmava «Torcia umana numero 1» e invitava «altre torce umane» a seguirlo se entro cinque giorni dal suo gesto non fosse stata abolita la censura e se la popolazione non avesse dato appoggio alle proteste.

Morì solo dopo tre giorni di agonia: nel frattempo venne ricoverato ancora vivo e cosciente, ma con ustioni di secondo e terzo grado su quasi tutto il corpo. Quando riusciva, chiedeva agli infermieri quale fosse stata la reazione della città al suo gesto, e se la gente ne stesse parlando. I media del regime diedero pochissimo spazio alla notizia, che però nel frattempo si diffuse ampiamente negli ambienti studenteschi, insieme al contenuto delle lettere di Palach, innescando grandi manifestazioni.

La morte di Palach rinnovò il malcontento tra gli studenti e i cittadini che li sostenevano, che già si era manifestato nel periodo della Primavera di Praga dell’anno precedente. Un gruppo di studenti iniziò uno sciopero della fame nel luogo in cui Palach si era dato fuoco. Il giorno dopo la morte si tenne una lunga processione pacifica a cui parteciparono migliaia di persone, da piazza San Venceslao fino alla Facoltà di lettere e filosofia. Dalla facciata del palazzo i leader studenteschi ribadirono le richieste di abolizione della censura indirizzando critiche al segretario del Partito Comunista cecoslovacco, Alexander Dubcek. In precedenza, le sue idee riformiste avevano contribuito a ispirare la Primavera di Praga e il progetto di un “socialismo dal volto umano”, ma erano state oscurate dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Nei giorni successivi le proteste si diffusero in tutta la città, attirando altri cittadini e causando tensioni e scontri.

A Praga il governo cercò di contrastare le proteste screditando pubblicamente Palach, definendolo un fanatico con problemi mentali e facendo riferimento a patologie mai riscontrate dietro le reali motivazioni del suo gesto. Dopo di lui ci furono altre cinque “torce umane” che si diedero fuoco pubblicamente per ragioni politiche, ma le loro storie furono tenute nascoste per anni.

Tuttora a Praga c’è una piazza intitolata a Palach con una sua scultura, che venne realizzata anche grazie al calco del volto che alcuni studenti riuscirono a fare sul suo corpo morto prima che venisse seppellito. Dopo l’indipendenza della Cecoslovacchia il presidente ed ex dissidente Vaclav Havel omaggiò i loro sacrifici e dedicò una lapide a Palach nel centro di piazza San Venceslao, quella visitata da La Russa il 25 aprile.

– Leggi anche: La storia di Jan Palach, che si diede fuoco a Praga nel 1969