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  • Giovedì 13 aprile 2023

La democrazia «dove la democrazia non sanno neppure cosa sia»

È quella delle assemblee delle comunità indigene messicane contrarie al "Treno Maya", raccontata nel nuovo The Passenger

Un gruppo di migranti centroamericani 
attende l’arrivo del treno merci nella 
stazione di Tenosique (stato di Tabasco), 
per poter salire sul tetto e proseguire 
il viaggio verso nord. La tratta da Tenosique 
a Palenque farà parte del percorso 
del Treno maya (Fabio Cuttica)
Un gruppo di migranti centroamericani attende l’arrivo del treno merci nella stazione di Tenosique (stato di Tabasco), per poter salire sul tetto e proseguire il viaggio verso nord. La tratta da Tenosique a Palenque farà parte del percorso del Treno maya (Fabio Cuttica)

Quando è salito al governo nel 2018, il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha fatto una promessa che conta di rispettare entro la fine del suo mandato, a dicembre del 2023: far costruire il Treno Maya. Il progetto prevede una linea ferroviaria lunga più di 1.500 chilometri che attraversi le foreste della penisola dello Yucatán, nel sud-est del paese. Secondo López Obrador, porterà «istruzione, benessere e alloggi» alle comunità in cui passerà. Da mesi però gruppi indigeni, organizzazioni per la difesa dei diritti umani e ambientali, intellettuali e accademici fanno notare che la nuova ferrovia porterà con sé anche molti problemi.

In un capitolo del nuovo numero di The Passenger, il libro-rivista della casa editrice Iperborea su paesi, città e luoghi del mondo, che questa volta è dedicato proprio al Messico, il giornalista Dario Alemán racconta come alcuni gruppi di cittadini indigeni dello Yucatán riuniti in assemblea stiano provando a organizzarsi contro la costruzione del Treno Maya. E di come il governo glielo stia rendendo molto difficile. Ne pubblichiamo un estratto.

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Negli ultimi due secoli sono stati scritti infiniti volumi per tentare di dare una definizione della democrazia, sono state scatenate innumerevoli guerre in suo nome, si è investigato in ogni direzione, dall’antica Grecia fino alle utopie rivoluzionarie senza mai trovare una spiegazione del tutto soddisfacente. Nessuno, però, è mai venuto a dare un’occhiata da queste parti, al Cripx o negli altri luoghi dove le comunità indigene si riuniscono per trovare soluzioni ai problemi comuni; dove la democrazia non sanno neppure cosa sia, e tanto meno importa.

Eppure il Cripx, pur essendo un semplice organismo comunitario, costituisce quanto di più vicino a una forma di governo assembleare si possa immaginare. Le riunioni sono aperte, e chiunque – analfabeti, giovani, anziani, contadini, apicoltori, uomini, donne – può partecipare, prendere posto su una delle panchine del vecchio patio dove si tengono, alzare la mano quando è d’accordo, e argomentare in spagnolo, tzeltal o, se necessario, in altre lingue maya. La democrazia popolare indigena è una realtà di fatto che non ha bisogno delle ragioni del buonismo «indigenista», e questo perché si basa su un principio molto semplice: le voci di tutti contano in ugual misura.

La sede del Cripx si trova nel villaggio di Xpujil, un luogo di estrema miseria la cui vita dipende dai pochi turisti giramondo che vi trascorrono in tenda la notte prima di recarsi in visita alle vicine rovine maya di Calakmul. Il paese è attraversato dalla statale 186, una strada che corre da un’estremità all’altra della penisola unendo le varie località di Campeche e Quintana Roo, battuta di continuo da un gran viavai di camion e auto che, tuttavia, molto di rado si fermano qui.

In altre parole, l’unica via di comunicazione tra il mondo e Xpujil è una specie di supplizio di Tantalo per i suoi abitanti avidi di progresso. Un progresso che finalmente arriverà, dicono, a bordo del Treno maya, che qui avrà una delle sue 18
stazioni. Nell’attesa si tira avanti grazie alle strade asfaltate, le taverne, i mercatini di vestiti made in China, un ambulatorio medico. Molto più, in ogni caso, di quanto si possa trovare a 43 chilometri da lì, in mezzo alla giungla, a La Mancolona.

Vagone abbandonato di un vecchio treno lungo una tratta che tornerà attiva con il passaggio del Treno maya (Fabio Cuttica)

In assemblea vari membri delle comunità hanno scoperto che le carte firmate erano, in realtà, una petizione a favore del Treno maya, una delle tante parvenze di trasparenza con cui il governo di López Obrador punta a dimostrare che gli indigeni che vivono nelle foreste dove passerà il treno sono per la stragrande maggioranza (92 per cento) favorevoli al progetto. E non è l’unico stratagemma scorretto adottato dal governo. In certe comunità i funzionari statali, dopo aver sciorinato i vantaggi del megaprogetto, si sono rifiutati di rispondere alle domande sul possibile impatto ambientale e sociale, tacendo per esempio il fatto che la costruzione della ferrovia, solo nel tratto di Calakmul, implica l’abbattimento di 283 ettari di bosco tropicale, l’equivalente di 404 campi da calcio.

In altri casi hanno omesso di tradurre dallo spagnolo, o l’hanno fatto a propria discrezione, le ragioni della consultazione, oppure hanno falsificato firme di persone mai neppure interpellate. Presente a quelle assemblee c’era sia chi sosteneva che il Treno maya avrebbe comportato deforestazione e distruzione dei cenotes, le grotte e le caverne sotterranee tipiche dello Yucatán dove è racchiusa la maggior parte delle riserve idriche del paese, sia chi pensava che, con un po’ di fortuna, l’iniziativa del presidente avrebbe portato prosperità al proprio villaggio. Invece, alla fine, tutti si sono sentiti presi in giro, traditi.

La promessa di modernità legata al Treno poteva pure essere veritiera, ma
non aveva più un futuro. Nessuno più voleva saperne.

© Dario Alemán, 2023
Traduzione di Nicola Jacchia

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