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  • Venerdì 12 aprile 2024

Storia di una “piccola e sporca macchina” femminista

Nel suo nuovo libro Giulia Siviero racconta come fu inventato il Del-Em, uno strumento per permettere alle donne l’autogestione dell’aborto e non solo

Dettaglio di una fotografia di Argelia Bravo in cui si vede il viso della fotografa coperto da un passamontagna
Un dettaglio della fotografia di Argelia Bravo, fotografa e femminista venezuelana, sulla copertina di Fare femminismo di Giulia Siviero
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Negli anni Settanta, quando l’aborto era illegale nella maggior parte dei paesi del mondo, i movimenti femministi trovarono diversi modi per sostenere le donne che volevano interrompere volontariamente e in sicurezza le loro gravidanze indesiderate. In California ad esempio venne inventato il “Del-Em”, uno strumento molto semplice che permetteva anche di accorciare le mestruazioni. Lo racconta e spiega uno dei capitoli di Fare femminismo, il libro di Giulia Siviero, femminista e giornalista del Post, che è pubblicato dalla casa editrice Nottetempo ed è uscito oggi in libreria: ne pubblichiamo un estratto. Fare femminismo è un saggio che racconta la storia dei femminismi concentrandosi sulle pratiche, cioè sulle azioni pensate e poi attuate dalle femministe per dare concretezza militante alle proprie idee e cambiare la realtà.

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Rovistando nei negozi che vendono acquari, nelle ferramenta e nei laboratori di chimica, Lorraine Rothman, insegnante che fa parte delle West Coast Sisters di Los Angeles, inventa all’inizio degli anni Settanta un nuovo dispositivo portatile per il controllo della vita riproduttiva delle donne: può essere usato per abortire in un momento in cui l’aborto è prevalentemente illegale, ma non solo. E poiché un medico l’ha definito una “piccola macchina sporca”, le femministe adottano provocatoriamente quell’espressione e battezzano la loro creatura Dirty Little Machine, da cui DLM, e poi il definitivo Del-Em.

Fino a quel momento, per le donne che vogliono abortire ma non possono farlo per legge, la maggior parte dei movimenti femministi ha messo in piedi un’infrastruttura di sostegno facendo rete con alcune cliniche o medici compiacenti. Negli Stati Uniti, dall’inizio degli anni Sessanta, il cosiddetto Army of Three coordina per esempio una “underground railroad” di informazioni per fornire un’alternativa ai ferri da calza e alle grucce. L’esercito è formato da tre donne: Pat Maginnis (descritta in un articolo del New York Times del 1966 con “gli occhi di una fanatica” e, in modo spregiativo, come una “zitella”), Lana Phelan e Rowena Gurner. Hanno tutte abortito illegalmente e il loro volantino contiene un elenco continuamente aggiornato di fornitori di aborti fuori dagli Stati Uniti, soprattutto in Messico, ma anche in Giappone e in Svezia. Ci sono nomi, indirizzi, numeri di telefono, onorari, descrizioni della procedura per ciascun medico, suggerimenti su come viaggiare ed evitare la polizia di frontiera, acquistando per esempio dei souvenir al confine in modo da sembrare normali turiste.

A Chicago, un altro collettivo segue il loro esempio. “Pregnant? Don’t want to be? Call Jane”, si comincia a leggere sui giornali studenteschi. Jane è lo pseudonimo di tutte le donne che fanno parte dell’Abortion Counseling Service of Women’s Liberation, conosciuto come Collettivo Jane, che dal 1969 comincia a fornire un servizio di consulenza e accompagnamento a un aborto sicuro ed economicamente accessibile alle donne che lo contattano.

Ma reti per gli aborti collettivi esistono anche in moltissime altre parti del mondo: da Parigi, all’inizio degli anni Settanta, due volte alla settimana partono pullman di quarantacinque donne alla volta dirette a Londra (dove l’aborto viene praticato legalmente dal 1967 in cliniche private, ma a prezzi piuttosto accessibili). Dall’Italia i gruppi si organizzano per viaggiare anche in aereo o in treno ottenendo, poiché sono numerosi, delle riduzioni sul prezzo del biglietto. Non sempre c’è però la garanzia di trovare medici che pratichino l’aborto per scelta politica e nei modi giusti: succede anzi che lo facciano per trarre profitto dalle gravidanze indesiderate e che sbandierino atteggiamenti colpevolizzanti e mortificanti. Nel 1976, una donna che dall’Italia va ad abortire in una clinica londinese racconta lo shock del risveglio dopo l’operazione: “Un dolore fisico e morale, una sensazione quasi inspiegabile. Mi sono svegliata singhiozzando disperatamente, e sentivo un’altra che faceva lo stesso, accanto a me. […] Ho capito che per dimenticare la violenza subita eravamo state tutte pronte a spiegarci quell’orrendo risveglio come un effetto dell’anestesia, ma che invece quel pianto era qualcosa di autentico, era una risposta al modo in cui ci avevano fatto quella cosa, una catena di montaggio”.

I movimenti femministi dell’area di Los Angeles indirizzano le donne che vogliono abortire alla clinica gestita dallo psicologo Harvey Karman, che pratica illegalmente gli aborti con un dispositivo che dice di aver progettato lui stesso: una cannuccia sottile, morbida e flessibile (oggi nota come cannula di Karman) per aspirare il contenuto dell’utero in una grande siringa. Il metodo dell’aspirazione è in realtà già diffuso da anni in Cina, Unione Sovietica, Giappone e Bulgaria. L’aspirazione richiede pochi minuti, è meno invasiva rispetto al metodo della dilatazione e del raschiamento, e le donne chiamano l’interruzione di gravidanza praticata in questo modo “aborto in pausa pranzo”: perché possono tornare subito alle loro attività senza che nessuno si accorga di quel che è accaduto.

Osservando Karman, Lorraine Rothman sviluppa la sua versione del dispositivo per utilizzarlo nel contesto politico del self-help e per sottrarlo alla logica della catena di montaggio. Aggiunge sia una valvola per controllare la direzione del flusso d’aria, in modo che non si rischi di invertire l’aspirazione pompando aria nell’utero, sia un tubo di raccolta collegato a un barattolo, per aumentare la capacità di contenimento ed evitare che la siringa possa riempirsi prima della fine dell’operazione causando complicazioni.

Il Del-Em è di facile assemblaggio. Servono due tubi di gomma lunghi circa 30 centimetri (quelli per acquari vanno benissimo), una cannula di 4 millimetri, un barattolo con un coperchio di plastica e una siringa. I due tubi vanno infilati nel tappo di plastica del barattolo, uno va collegato alla cannula, l’altro alla siringa senza ago. La cannula viene inserita nella vagina e nella cervice. Tirando lo stantuffo della siringa, il contenuto dell’utero passa dal tubo al barattolo.

Fotografia del Del-Em

Una fotografia del Del-Em (Lorraine Rothman, Feminist Women’s Health Center, CC BY-SA 3.0, tramite Wikipedia)

Rothman e le altre parlano del dispositivo spiegando che serve per l’estrazione mestruale: può essere utilizzato per l’autogestione dell’aborto, e di fatto lo è, ma le attiviste del self-help lo adoperano soprattutto per aspirare in una volta sola la maggior parte del flusso mestruale e dare sollievo immediato dai crampi e altri sintomi o fastidi. E lo usano, infine, come metodo anticoncezionale d’emergenza: una sorta di pillola meccanica del giorno dopo. Non sono però favorevoli all’idea che ci sia un Del-Em nel bagno di ogni donna né che il Del-Em diventi lo strumento per fornire un semplice servizio, così come fanno ginecologi e cliniche. Il metodo dell’aspirazione vuole anzi ripensare la soluzione dell’aborto individuale all’interno di contesti collettivi e politici, centrati su comunità di femministe che lavorano sulla propria sovranità riproduttiva.

In questi contesti i ruoli sono rovesciati: la donna su cui viene fatta l’aspirazione è la persona che attivamente controlla la procedura, mentre le altre che maneggiano gli strumenti si lasciano guidare dalle sue indicazioni e dai suoi tempi. Dopo che lei si è inserita in autonomia lo speculum, una compagna le infila la cannula facendo attenzione a fermarsi al minimo cenno di dolore. Per la donna che la sente entrare, è importante sapere che può interrompere o rallentare l’introduzione in qualsiasi momento. Può essere lei stessa ad azionare la siringa oppure no, mentre una terza le parla costantemente per tenerla informata e farla sentire a suo agio, in una sorta di anestesia verbale che sostituisce quella farmacologica, non più necessaria.

Negli Stati Uniti i movimenti femministi più grandi e istituzionali non sempre sostengono la pratica con convinzione. Nell’estate del 1971, la National Organization for Women (NOW), che ha migliaia di militanti e sezioni in decine di stati, organizza una conferenza a Los Angeles e si rifiuta di inserire la dimostrazione dell’auto-visita e dell’estrazione mestruale nel proprio programma ufficiale, affermando che sia (di) troppo. Le West Coast Sisters di Carol Downer la spostano dunque nella loro camera d’albergo e distribuiscono dei volantini alla conferenza per pubblicizzare l’incontro. L’iniziativa ha talmente successo che la devono riproporre ogni mezz’ora per tutta la durata della conferenza. Alla fine, oltre duecento donne del NOW passano dalla stanza numero 148 delle West Coast Sisters: tutte hanno visto il Del-Em e se ne vanno con il loro speculum di plastica in un sacchetto di carta marrone. Da lì, il Del-Em riesce a diffondersi ben oltre il contesto in cui è stato inventato, consentendo di affiancare, e in alcuni casi di sostituire, l’organizzazione e il finanziamento dei viaggi all’estero o gli appuntamenti negli studi medici con gli interventi autogestiti: con pratiche collettive di aborti che da clandestini diventano, a quel punto, militanti.

© 2024 nottetempo srl

La copertina del libro "Fare femminismo" di Giulia Siviero, su cui compare la fotografia di una donna che indossa un passamontagna e allatta un bambino