10 cose che forse non sapete su Pablo Picasso

Il celebre pittore spagnolo aveva un nome lunghissimo, amava le corride e fu accusato di aver rubato la Gioconda: morì cinquant'anni fa

Pablo Picasso nel suo studio a Vallauris, in Francia, il 23 ottobre del 1953 (AP Photo)
Pablo Picasso nel suo studio a Vallauris, in Francia, il 23 ottobre del 1953 (AP Photo)
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L’8 aprile del 1973, cinquant’anni fa, morì in Francia Pablo Picasso, uno dei pittori più noti, innovativi e influenti del Ventesimo secolo. Nella sua lunga carriera – morì a 91 anni – Picasso attraversò numerose fasi artistiche, contribuendo a ideare o perfezionare varie tecniche e stili che definirono l’arte del suo secolo, dal collage al cubismo al surrealismo. Nelle parole del critico d’arte Philippe Daverio, senza Picasso «non avremmo la stessa idea di modernità che abbiamo oggi».

La popolarità delle opere e della vita di Picasso va ben oltre le persone appassionate d’arte, ma della sua storia e della sua carriera ci sono anche aspetti poco conosciuti: ne abbiamo raccolti alcuni.

Il suo nome completo era piuttosto lungo, diciamo
Picasso nacque a Malaga il 25 ottobre del 1881 e il suo nome completo era composto da più di venti parole: Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Martyr Patricio Clito Ruíz y Picasso. Comprendeva i primi cognomi dei suoi genitori (José Ruíz y Blasco e María Picasso y López), e poi una serie di nomi presi da parenti o santi, a volte indicati in ordine diverso o leggermente differenti, a seconda delle fonti in cui si trovano. Dal 1901 comunque decise di firmarsi semplicemente Picasso, come il primo cognome della madre.

Nel libro Conversazioni con Picasso del fotografo Brassaï fu lui stesso a parlare della scelta, spiegando che Picasso era un nome «più insolito, più altisonante rispetto a Ruíz»: lo aveva preferito sia per quello, sia per la doppia s, che era piuttosto insolita in Spagna, raccontò nel libro. «Picasso è di origine italiana», disse, «e il nome che una persona porta o sceglie ha la sua importanza. Ti immagineresti se mi facessi chiamare Ruíz? Pablo Ruíz? Diego-José Ruíz? O Juan-Népomucène Ruíz?».

Secondo quanto racconta John Richardson, amico e biografo di Picasso, scelse il cognome della madre anche per non essere associato alla famiglia del padre, che aveva un’azienda produttrice di guanti piuttosto nota in Andalusia.

“Les demoiselles d’Avignon”, una delle opere più famose di Picasso, dipinta nel 1907 e considerata tra gli esempi dello stile del primitivismo, la corrente che anticipa la nascita del cubismo, che nelle sue varie evoluzioni si esprimeva con colori forti e forme geometriche frammentate e scomposte (Museum of Modern Art di New York, Wikimedia Commons)

Cominciò a fare arte già da bambino
Secondo alcune ricostruzioni, la madre di Picasso raccontò che la prima parola pronunciata dal figlio da bambino fu “piz”, un’abbreviazione di “lápiz”, la parola spagnola che significa matita. A ogni modo, il padre era un pittore e un insegnante d’arte, e Picasso cominciò a disegnare e dipingere fin da piccolo. Completò il suo primo dipinto a 8 anni, un olio su tela chiamato “El picador”. Nel 1895, a 13, organizzò la sua prima mostra mentre frequentava la scuola di belle arti a Barcellona. Secondo alcuni documenti dell’epoca conservati nell’archivio della Fondazione Picasso di Malaga, nonostante la giovane età ricevette apprezzamenti da tre diversi giornali locali.

Non fu soltanto un pittore
Anche se è noto prevalentemente per i suoi dipinti, Picasso fu anche scultore, ceramista, poeta e scenografo. Cominciò ad avvicinarsi alla letteratura durante il suo primo viaggio a Parigi, nel 1900, quando conobbe vari poeti e artisti d’avanguardia, tra cui Max Jacob e Guillaume Apollinaire. Negli anni seguenti divenne un frequentatore assiduo degli incontri organizzati a casa della scrittrice e collezionista d’arte statunitense Gertrude Stein, che ospitava regolarmente scrittori come James Joyce, Ernest Hemingway e Francis Scott Fitzgerald. Stein fu una delle sue prime sostenitrici: acquistava i suoi dipinti, permettendogli di dedicarsi all’arte, e li esponeva negli eventi a casa sua.

Il “bevitore d’assenzio (Ritratto di Angel Fernández de Soto)”, del 1903, esposto prima di essere venduto all’asta a Londra nel 2010. Gli anni fra il 1901 e il 1904 furono quelli del cosiddetto “periodo blu” di Picasso, caratterizzato da tonalità di azzurro scuro e temi piuttosto cupi, come povertà, prostituzione e desolazione. I due successivi invece furono quelli del “periodo rosa”, con colori più chiari e caldi, ma soggetti sempre malinconici (Oli Scarff/ Getty Images)

Durante la Prima guerra mondiale, quando ormai si era stabilito a Parigi, Picasso collaborò con la compagnia di balletto Ballets Russes, per la quale ideò le scene e i costumi di varie rappresentazioni. Fu allora che incontrò la sua prima moglie, Olga Chochlova, una ballerina della compagnia. I due si sposarono nel 1918 e si lasciarono nel 1935: nei tre decenni successivi Picasso scrisse più di 300 poesie, oltre a due commedie surrealiste e altre opere. Con Françoise Gilot, che fu la sua compagna fra il 1943 e il 1953, aprì un laboratorio di ceramiche nel sud della Francia, vicino a Cannes.

– Leggi anche: I collage che anticiparono Picasso

Fu sospettato del furto della “Gioconda”
La mattina del 21 agosto del 1911, un lunedì, un varesotto chiamato Vincenzo Peruggia compì uno dei furti d’arte più celebri della storia: nell’unico giorno di chiusura al pubblico del museo del Louvre di Parigi, rubò la “Gioconda”, o “Monna Lisa”, il celebre dipinto di Leonardo Da Vinci di inizio Cinquecento. Peruggia aveva lavorato per alcuni anni al Louvre pulendo i quadri per conto della ditta Gobier, perciò conosceva piuttosto bene gli ambienti. Riuscì a portare via la Gioconda sotto al cappotto senza essere notato e la conservò per vari mesi nell’appartamento di Parigi in cui viveva.

Comprensibilmente, il caso suscitò un’enorme attenzione mediatica in tutta Europa e oltre. Dopo settimane di ricerche, furono sospettati del furto anche Picasso e Apollinaire: si era infatti scoperto che l’assistente di Apollinaire aveva rubato sempre dal Louvre due sculture africane che poi erano state regalate proprio a Picasso. Alla fine i due furono assolti: Peruggia invece fu arrestato due anni dopo, nel dicembre del 1913, dopo aver tentato di vendere il dipinto a un antiquario fiorentino. Confessò subito e l’anno successivo fu condannato a 7 mesi e 8 giorni di carcere, che però aveva già scontato in custodia cautelare.

Prima di essere riportata in Francia, la Gioconda fu esposta al pubblico alle Gallerie degli Uffizi di Firenze per cinque giorni, dal 14 al 18 dicembre del 1913.

Picasso ceramica

Un piatto di ceramica di Picasso prima di un’asta a Londra nel 2015 (Rob Stothard/ Getty Images)

Era superstizioso e aveva un barbiere di fiducia
In una biografia in cui parla degli anni trascorsi assieme a Picasso, Gilot racconta che era molto superstizioso, una cosa molto diffusa in Andalusia. Tra le cose su cui non transigeva c’era il fatto di farsi tagliare i capelli solo dalle donne con cui viveva, e, in un secondo momento, da un barbiere spagnolo che aveva conosciuto in Costa Azzurra. Si chiamava Eugenio Arias e spesso viene ricordato appunto come “il barbiere di Picasso”.

Arias aveva combattuto per nove anni contro il fascismo in Spagna e nel 1946 si era trasferito nella cittadina francese di Vallauris, dove un giorno Picasso si presentò per farsi tagliare i capelli nel suo negozio. Tra i due si creò un’amicizia molto profonda. «Spesso lo andavo a trovare giusto per farci una chiacchierata», raccontò Arias, «e un giorno mi disse: ‘Arias, vieni quando vuoi. Quando vieni mi sembra di stare in Spagna’». A Buitrago del Lozoya, a nord di Madrid, esiste un museo in cui è raccolta la collezione di illustrazioni, litografie, disegni e opere che Picasso donò ad Arias durante quasi trent’anni di amicizia.

Pablo Picasso maglia a righe

Picasso davanti a un suo dipinto nella sua casa vicino a Cannes nel 1955 (George Stroud/ Getty Images)

Venne nominato direttore del museo del Prado
Nel luglio del 1936 in Spagna cominciò la Guerra civile, che si combatté tra i nazionalisti del generale Francisco Franco e i repubblicani guidati dal Fronte Popolare, la coalizione dei partiti di sinistra. Il luglio successivo Picasso fu nominato con un decreto del governo repubblicano direttore del museo del Prado di Madrid, uno dei più famosi di tutta la Spagna. Accettò la nomina ma, essendo un convinto antifranchista, con l’inizio della dittatura di Franco partecipò solo ad alcuni eventi in qualità di direttore del museo senza di fatto insediarsi mai.

Nel luglio del 1937, all’Esposizione Internazionale di Parigi, presentò “Guernica”, la sua opera più celebre, ispirata al bombardamento subìto dalla piccola città basca di Guernica nell’aprile precedente. Disse che avrebbe voluto tenere il dipinto per sé fino a quando in Spagna non fosse tornata la democrazia.

Reina Sofia Guernica

La “Guernica” di Picasso al museo Reina Sofía di Madrid (Carlos Alvarez/ Getty Images)

Passò buona parte della sua vita sotto sorveglianza
Come ha osservato la storica francese Annie Cohen-Solal, per oltre quarant’anni Picasso fu tenuto sotto sorveglianza dalla polizia e dai servizi di intelligence francesi per via delle sue simpatie comuniste e dei suoi legami con alcuni anarchici e attivisti politici catalani. Cohen-Solal, che ha studiato questo aspetto della vita dell’artista analizzando i documenti contenuti negli archivi del museo di Picasso a Parigi, ha ricordato tra le altre cose che la sua richiesta di essere naturalizzato francese non fu mai accolta, e che spesso fu preso di mira dai nazionalisti perché straniero e considerato un pittore dal talento dubbio.

Aveva la passione per la tauromachia
Anche se nacque in Spagna, Picasso trascorse la maggior parte della sua vita in Francia, prima a Parigi e poi in Costa Azzurra. Tra i soggetti ricorrenti nelle sue opere, sia nei dipinti che nei disegni, ci sono le tauromachie, o corride, ovvero gli spettacoli di combattimento contro i tori, una delle tradizioni spagnole più antiche e controverse. Oltre a dipingere e disegnare tori, toreri e “picadores” (cioè i giostratori che nelle corride hanno il compito di infilzare il toro con apposite lance per indebolirlo), Picasso ritrasse spesso anche il minotauro, la figura mitologica con il corpo di uomo e la testa di toro.

Nonostante non vivesse più in Spagna, andava di frequente alle corride organizzate nel sud della Francia, a volte accompagnato dall’amico e biografo Richardson. Lo scrittore racconta di una volta in cui nell’arena di una corrida furono portati due vecchi cavalli, affinché i tori potessero attaccarli. Picasso, scrive Richardson, gli disse che quei cavalli «erano le donne della [sua] vita»: negli anni infatti Picasso ebbe un gran numero di donne, tra mogli, compagne e amanti, che secondo quanto narra sempre Richardson avevano dovuto «soffrire» per stare con lui e assecondare la sua arte.

Picasso solleva la statuetta di un toro regalatagli da alcuni toreri durante una corrida a Vallauris nel 1955. Sulla sinistra c’è Jacqueline Roque, che sposerà nel 1961; sulla destra invece il poeta, regista e sceneggiatore francese Jean Cocteau (Keystone/ Hulton Archive/ Getty Images)

C’è una storia dietro a quella maglia a righe
In varie fotografie scattate tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta Picasso compare con una maglia a righe bianca e blu: la maglia era ispirata all’uniforme dei marinai della Bretagna e nelle sue numerose versioni era un capo molto popolare in Francia. In base a un decreto del 1858, la divisa doveva essere bianca e avere 21 righe blu, ciascuna delle quali indicava una vittoria di Napoleone Bonaparte: originariamente le righe blu dovevano misurare un centimetro di altezza, e lo spazio bianco tra una e l’altra due.

La maglia ispirata all’uniforme dei marinai bretoni fu resa famosa dalla stilista Coco Chanel, che contribuì a farla diventare un capo alla moda nel periodo tra le due guerre mondiali. Vista come un simbolo dell’emancipazione delle donne, da allora la maglia a righe fu associata a un atteggiamento ribelle o comunque anticonformista: fu indossata tra gli altri da Brigitte Bardot e Audrey Hepburn e poi ripresa da stilisti come Jean Paul Gaultier e Karl Lagerfeld.

Fu uno degli artisti più prolifici di sempre
Nel 1960 Picasso si trasferì a Mougins, vicino a Cannes, dove visse e lavorò fino al momento della sua morte, avvenuta a causa di un edema polmonare l’8 aprile del 1973. In una carriera di oltre 75 anni, secondo il Guinness dei primati, realizzò circa 13.500 dipinti e disegni, 100mila stampe e incisioni, 34mila illustrazioni e 300 fra sculture e ceramiche. Secondo l’esperto d’arte Marc Blondeau, ex responsabile della casa d’aste Sotheby’s in Francia, oggi sarebbe «uno dei dieci uomini più ricchi del mondo»: non solo per l’enorme valore delle sue innumerevoli opere, ma anche per lo sfruttamento del suo nome, che nel tempo è diventato una specie di marchio.

Una scultura di Picasso esposta durante una mostra al Museum of Modern Art di New York nel 2015 (Andrew Burton/ Getty Images)

Moltissime opere di Picasso valgono decine di milioni di euro. Per fare qualche esempio, nel 2015 una versione del dipinto ‘‘Les femmes d’Alger’’ fu venduta all’asta per quasi 180 milioni di dollari, mentre quattro anni dopo venne ritrovato il “Ritratto di Dora Maar”, un suo quadro del 1938 che era stato rubato vent’anni prima, con un valore stimato superiore ai 25 milioni di dollari. A questo proposito, secondo le statistiche dell’Art Loss Register, il più grande database di opere d’arte rubate, Picasso è anche l’artista del quale ne sarebbero state rubate di più: 1.147.

Una versione del suo dipinto “Le Peintre” (1963) invece fu distrutta in un incidente aereo nel settembre del 1998, quando un aereo della compagnia Swissair precipitò nell’oceano Atlantico, vicino alle coste canadesi della Nuova Scozia, provocando la morte di tutte le 229 persone a bordo.

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