I più grandi furti d’arte della storia

La Gioconda, una saliera, un Urlo e un po' di altri colpi spettacolari o semplicissimi, scelti dalla rivista ArtNews

(Topical Press Agency/Getty Images)
(Topical Press Agency/Getty Images)

ArtNews, importante rivista statunitense, ha presentato una classifica di quelli che ritiene essere i venticinque più grandi furti d’arte della storia, spiegando di averne scelti di ogni tipo: da quelli complicati e ingegnosi a quelli semplici ma efficaci, da quelli in cui i quadri si ritrovano poco dopo a quelli in cui invece se ne perdono le tracce. L’unica regola è che si trattasse di furti e non di saccheggi, spoliazioni o razzie (di cui ha parlato in quest’altro articolo). Questi sono i primi dieci della lista, con un racconto un po’ più esteso di come andarono, per chi non li ricorda o non li ha mai saputi.

10. La Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Caravaggio
Questo olio su tela di inizio Seicento fu rubato dall’Oratorio di San Lorenzo, a Palermo, nell’ottobre 1969. Da allora non è mai stato restituito, ritrovato o quantomeno rintracciato. Le poche certezze sono che quando fu rubato attorno al dipinto non c’erano rilevanti sistemi di sicurezza e che a scoprirne l’assenza fu una custode.

Non sappiamo chi lo prese e dove possa essere, ma c’è tutto un filone di ipotesi secondo cui fu rubato dalla mafia, che lo espose durante certi suoi importanti incontri e che – si dice perfino – lo offrì come merce di scambio durante la cosiddetta trattativa Stato-mafia. Ma ci sono anche racconti e teorie più o meno credibili secondo cui il dipinto si rovinò mentre veniva rubato e fu quindi distrutto, oppure secondo cui il quadro, nascosto in un casale di campagna, finì divorato dai topi. Ci fu anche un giornalista che disse di essere stato a un passo dall’acquistarlo, spiegando però che l’incontro decisivo saltò per via del terremoto in Irpinia.

È certo, comunque, che il furto della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi fa molto parlare, da decenni. In libri e documentari che tentano la difficile ricostruzione di quanto successo, ma anche in opere di finzione che prendono spunto dal furto ma che poi parlano anche d’altro, come fece Leonardo Sciascia in Una storia semplice.

9. La Saliera di Francesco I di Benvenuto Cellini
L’orafo, scultore fiorentino Benvenuto Cellini (tra l’altro uno dei più importanti esponenti del manierismo) la realizzò tra il 1540 e il 1543, mentre era a Fontainebleau alla corte di Francesco I di Francia. Alta 26 centimetri e realizzata in oro, ebano e smalto, sulla saliera sono rappresentati Nettuno, dio del mare, e la Terra.

La saliera fu rubata nel 2003 dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, dove era finita perché a un certo punto Carlo IX di Valois l’aveva regalata all’arciduca Ferdinando d’Asburgo. In un periodo in cui il museo era in parte coperto da ponteggi, qualcuno ci si arrampicò, ruppe una finestra e la estrasse dalla teca di vetro in cui si trovava. Un gesto che in effetti fece suonare l’antifurto, cosa che però non preoccupò granché chi era di guardia, che pensò a un falso allarme. Wilfried Seipel, allora direttore del museo, parlò di una catastrofe, visto che la saliera (talvolta definita “la Gioconda della scultura”) aveva un valore stimato di almeno 50 milioni di dollari.

Nel gennaio 2006 la polizia diffuse una serie di immagini del sospettato autore del furto mentre era intento a comprare un telefono cellulare. Come si venne a sapere poco dopo quell’uomo era Robert Mang, un esperto in sistemi di sicurezza che confessò e accompagnò gli investigatori in un bosco fuori Vienna, mostrando loro dove aveva sepolto la scatola con al suo interno la saliera. Mang fu poi condannato a quattro anni di carcere.

8. Una natura morta di Vincent van Gogh
Vincent van Gogh dipinse i papaveri gialli e rossi di questo olio su tela di 65 x 54 centimetri nel 1887, tre anni prima della sua morte.

Esposta al museo Mohamed Mahmoud Khalil di Giza, in Egitto, la natura morta fu rubata una prima volta nel 1978, e poi ritrovata circa un decennio più tardi in Kuwait. Ma il quadro fu rubato un’altra volta – ed è il furto di cui parla ArtNews – dallo stesso museo nell’agosto 2010, in un giorno in cui i visitatori furono solo nove. Come ha scritto ArtNews, «non funzionò l’allarme del dipinto e non funzionarono nemmeno tutti gli altri allarmi del museo». Dopo il furto 11 dipendenti del ministero della Cultura egiziana si dimisero e alcuni di loro, così come alcuni dipendenti del museo, furono arrestati e incarcerati. La natura morta, dal valore di circa 50 milioni di euro, non è ancora stata ritrovata.

7. Tre dipinti della Kunsthalle Schirn di Francoforte
In vista di una sua mostra, nel 1994 la Kunsthalle Schirn di Francoforte ottenne in prestito, tra gli altri, due dipinti di William Turner (questo e quest’altro) e uno (questo) di Caspar David Friedrich. I primi due erano arrivati dalla Tate Gallery di Londra, il terzo dalla Kunsthalle di Amburgo. Furono rubati tutti e tre il 28 luglio 1994, da alcuni ladri che legarono e imbavagliarono due guardiani.

Poco dopo “il colpo”, due ladri e un mercante d’arte furono arrestati, processati e condannati, ma a quanto pare nessuno di loro diede informazioni utili al ritrovamento dei dipinti. Nel 2000 si seppe che i Turner erano (o quantomeno erano stati) proprietà di un gruppo criminale serbo e nel 2002 la Tate disse di essere riuscita a riottenerli entrambi, tra l’altro ricevendo 38 milioni di sterline come risarcimento dall’assicurazione. Nel 2003 anche la Kunsthalle Hamburg riuscì a riavere il suo Friedrich: anche in quel caso, con ogni probabilità, in seguito a una trattativa del museo con gli autori del furto, o quantomeno con chi nel frattempo era entrato in possesso del dipinto.

In entrambe le trattative un ruolo chiave – e non proprio limpidissimo – lo ebbe l’avvocato e mediatore Edgar Liebrucks, che già prima era noto per aver difeso diversi importanti esponenti della criminalità organizzata e che grazie alle sue operazioni legate a quei tre dipinti guadagnò centinaia di migliaia di euro.

6. L’urlo di Edvard Munch
Nel febbraio 1994, mentre a Lillehammer stavano per iniziare le Olimpiadi invernali, circa 150 chilometri più a sud alla Galleria nazionale di Oslo fu rubata una delle prime versioni dell’Urlo dipinte dal norvegese Edvard Munch. I ladri entrarono, tagliarono il filo che collegava il dipinto alla parete e prima di andarsene lasciarono anche un bigliettino con scritto «mille grazie per la scarsa sicurezza».

L’Urlo a Oslo nel 2004 (Heiko Junge/SCANPIX/Lapresse)

Del furto si parlò molto, in Norvegia ma anche nel resto del mondo. Ci fu persino un gruppo antiabortista che – mentendo – disse di essere in possesso del dipinto, e che l’avrebbe restituito solo nel caso in cui la televisione nazionale avesse trasmesso un loro messaggio (cosa che non successe).  Il dipinto fu ritrovato nel maggio di quell’anno in un hotel a sud di Oslo e quattro persone furono arrestate per avere avuto qualche ruolo nel furto.

5. 124 artefatti del museo archeologico di Città del Messico
«Per fare un gran colpo» ha scritto ArtNews «non bisogna per forza di cose essere dei professionisti». Un’ottima prova di questa affermazione sta in questo furto del 1985, nel quale due ex studenti universitari che non si erano laureati ed erano probabilmente vicini a un giro di traffico di droga rubarono oltre 100 tra opere e sculture, compresa una preziosa maschera mortuaria di giada risalente al periodo dei Maya.

Pur non essendo professionisti, però, i due prepararono il furto con gran dedizione, tra le altre cose recandosi al museo più di 50 volte prima di intrufolarsi attraverso i condotti di aerazione. Poi, però, vennero rintracciati e catturati: a quanto pare, poco prima che i due vendessero parte della refurtiva in cambio di cocaina. La storia di questo furto è stata da ispirazione per Museo – Folle rapina a Città del Messico, film messicano del 2018.


4. Dipinti impressionisti dal Musée Marmottan Monet di Parigi
Impressione, levar del sole – il dipinto del 1872 di Claude Monet che fece da apripista al movimento impressionista – è oggi esposto al Musée Marmottan Monet di Parigi. Il museo esiste dal 1934, ma il grosso delle opere di Monet arrivò nella seconda metà degli anni Sessanta, lasciate come donazione da Michel Monet, secondo figlio del pittore.

In un giorno di ottobre del 1985, Impressione, levar del sole e altre otto opere impressioniste (di Monet ma non solo) furono rubate in quello che ArtNews definisce «uno dei più audaci furti di sempre». I ladri entrarono nel museo in pieno giorno, dopo aver pagato il biglietto, e rubarono le opere dopo aver tenuto in ostaggio 9 guardie e 40 visitatori, con le armi che avevano portato con sé.

Le successive indagini portarono all’arresto di un membro della yakuza che aveva avuto legami con la Francia (paese in cui aveva anche passato alcuni anni in carcere) e che in casa aveva un catalogo d’arte su cui erano state segnate proprio le opere rubate, e soprattutto due dei nove dipinti rubati. Le altre furono ritrovate nel dicembre 1990 in una villa in Corsica.

3. Il furto al Museo d’Arte moderna di Parigi
Di questo furto compiuto sappiamo il nome dell’autore e anche moltissimi dettagli, perché un paio di anni fa l’autore – Vjeran Tomic – li raccontò al New Yorker con dovizia di particolari.

Nel 2010 Tomic, che già aveva un notevole curriculum criminale, stava passeggiando lungo la Senna quando notò che le finestre del Museo d’Arte moderna erano simili a quelle di un appartamento in cui era entrato abusivamente anni prima. Andò quindi al museo come visitatore, per studiarle un po’ anche dall’interno, rimanendo piuttosto sconvolto dal fatto che nessuno avesse mai tentato un furto, visto che a suo dire il posto era tutt’altro che inespugnabile. Intorno alle tre di notte del 20 maggio 2010, Tomic entrò nel museo, prese il quadro che voleva (e che già sapeva di poter piazzare a un acquirente) e già che c’era, visto che non era partito nessun allarme, si prese anche un dipinto fauvista di Matisse, un ritratto fatto da Modigliani alla sua musa Lunia Czechowska (che secondo Tomic «sembrava fosse viva, pronta per ballare un tango») e poi anche un quadro di Picasso e uno di Braque. Scrisse che avrebbe potuto prendere anche altri quadri – in particolare un altro di Modigliani – ma che non se la sentì.

Tomic fu preso nel 2011, dopo una “soffiata” di cui non si sa granché e dopo che la polizia si accorse che la sua segreteria telefonica diceva «se vuoi comprare quadri, opere d’arte o gioielli, sono disponibile. Tra l’altro ho anche cinque quadri di grande valore». Non sappiamo, però, dove siano quei quadri. L’ultimo che si pensa li abbia avuti tra le mani dice di averli distrutti, ma ci credono in pochi e Tomic non è tra questi.

– Leggi anche: Il “furto del secolo” di Vjeran Tomic

2. La Gioconda dal Louvre
Come molti sanno, quella che probabilmente è l’opera d’arte più famosa al mondo deve parte della sua fama all’italiano Vincenzo Peruggia, che conosceva il Louvre avendoci lavorato, e nel 1911 decise di rubarla portandosela via sotto il cappotto. Lo fece, pare, perché pensava che essendo stata dipinto da Leonardo da Vinci spettasse all’Italia e fosse stata rubata da Napoleone. In realtà da Vinci la portò in Francia con sé, vendendola insieme ad altre opere al re Francesco I, quello della saliera, e sembra che Napoleone si limitò a farla mettere nella sua camera da letto.

– Leggi anche: Opere rubate che non lo erano

Sta di fatto che Peruggia si portò indisturbato la Monna Lisa a casa e poi se la tenne per mesi nascosta sotto il pavimento della stanza da letto (secondo altre versioni, invece, appesa sopra al tavolo della cucina). Fu arrestato nel 1913 dopo aver provato a venderla a un antiquario di Firenze, che si recò all’appuntamento con Peruggia insieme all’allora direttore degli Uffizi. Prima di tornare in Francia, comunque, la Gioconda si fece un bel giro in alcuni dei più importanti musei italiani. Sempre in Italia, Peruggia fu condannato a qualche mese di carcere (ma sembra che abbia fatto solo qualche giorno).

La Gioconda agli Uffizi nel 1913 (ANSA-S&M Studio)

1. Le 13 opere del museo Isabella Stewart Gardner di Boston
Il 18 marzo 1990, il giorno dopo San Patrizio, una festa molto sentita a Boston, due uomini vestiti da poliziotti entrarono nell’importante museo cittadino e dopo aver immobilizzato guardie e addetti alla sicurezza se ne andarono con un Vermeer, un Rembrandt, un Manet, un Degas e qualche altra opera, per un valore totale stimato in circa mezzo miliardo di euro.

Cornici senza quadri a Boston, nel marzo 2010 (AP Photo/Josh Reynolds, File)

A più di trent’anni dal furto, non è stata ritrovata nemmeno una delle opere rubate e ancora ci si chiede perché furono rubati proprio quei quadri (ce n’erano alcuni di addirittura maggior valore), chi li prese (anche qui la pista del crimine organizzato è quella generalmente ritenuta più plausibile) e dove diavolo siano oggi (o quantomeno se esistano ancora o se siano stati distrutti). Nel caso in cui abbiate informazioni utili al loro ritrovamento il museo offre ricompense milionarie. Oltre a una gran serie di articoli e libri, del furto ha parlato nel dettaglio anche il podcast Last Seen.

– Leggi anche: La storia della rapina di via Osoppo

Tag: arte-furti