Quanto è di sinistra Elly Schlein?

Si può provare a capirlo confrontando alcune sue posizioni con quelle dei principali partiti progressisti europei

(ANSA/FABIO FRUSTACI)
(ANSA/FABIO FRUSTACI)
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Dopo la vittoria di Elly Schlein alle primarie del Partito Democratico e la sua nomina a nuova segretaria, molte e molti hanno ipotizzato che in futuro il partito possa spostarsi più a sinistra. Alcuni, da destra, hanno usato toni molto forti per descrivere Schlein come un’esponente radicale della sinistra – “ComunistElly” è stato ad esempio il titolo di prima pagina del Tempo – ma anche altri più vicini al partito hanno sostenuto che il PD com’è stato fino alla scorsa settimana non esisterà più. Alcuni esponenti si sono detti preoccupati dal fatto che Schlein possa cambiarlo radicalmente: qualche giorno fa, l’ex ministro dell’Istruzione e tra i fondatori del PD Beppe Fioroni ha deciso ad esempio di andarsene, spiegando che «la sinistra-sinistra» non è nelle sue «corde».

Per ora su cosa sarà il PD di Elly Schlein si possono fare solo ipotesi, ma sulle posizioni che prenderà ci si può rifare alle dichiarazioni di intenti che la nuova segretaria ha presentato nel suo programma congressuale, o che ha fatto nelle interviste e durante gli incontri pubblici, per confrontarle con le posizioni dei principali partiti di sinistra e centrosinistra europei.

Lavoro
Un capitolo della mozione congressuale di Schlein si intitola “Restituire dignità e qualità al lavoro”. Si parla di lotta alla precarietà e allo sfruttamento, di superamento del Jobs Act – la legge sulla riforma del mercato del lavoro approvata anni fa dal centrosinistra – nelle parti che riguardano la facilitazione dei licenziamenti e la liberalizzazione dei contratti a termine, e di rendere più conveniente il lavoro stabile tramite l’abolizione delle forme più precarie come gli stage gratuiti. Un obiettivo dichiarato di Schlein è poi quello di contrastare il lavoro irregolare («Non è accettabile che i rider non abbiano diritto all’assicurazione, alle ferie, alla malattia, a niente», scrive), di formulare una proposta sul salario minimo e di sperimentare la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Infine, Schlein non si dice contraria al reddito di cittadinanza come strumento contro la povertà: propone di recuperarlo e di migliorarlo.

Le sue proposte sono piuttosto in linea con quanto sta cercando di fare per esempio il governo spagnolo del primo ministro socialista Pedro Sánchez. All’inizio del 2022 in Spagna era stata approvata un’importante riforma del mercato lavoro. Il punto principale della riforma consisteva nel limitare fortemente l’uso del contratto a tempo determinato, a cui si deve ricorrere solo nei casi di stagionalità, picchi di produzione e sostituzioni. È stato dunque rafforzato il contratto a tempo indeterminato e impostato come via di accesso ordinaria al mercato del lavoro. Sembra peraltro che la riforma stia avendo buoni risultati. Sempre in Spagna, nel 2020 il governo aveva introdotto l’ingreso minimo vital, un reddito minimo garantito per legge, molto simile al reddito di cittadinanza italiano. Successivamente erano stati approvati anche l’innalzamento del salario minimo e una legge che garantisse più tutele ai rider.

Molto simile a quanto attuato in Spagna viene portato avanti dalla sinistra francese di Jean-Luc Mélenchon, leader di La France Insoumise, il principale partito di sinistra dopo il tracollo dei socialisti degli ultimi anni: tetto al numero di lavoratori precari e ai salari più alti, riconoscimento del burnout (la cosiddetta sindrome da stress lavorativo, diversa dal semplice stress in quanto generalmente più negativa e impattante) come malattia professionale, innalzamento del salario minimo mensile.

Per quanto riguarda la settimana corta, nel Regno Unito sono i Laburisti ad aver presentato un disegno di legge in materia: punta a ridurre la lunghezza massima della settimana lavorativa da 48 a 32 ore. La Francia ha una legislazione sul tempo pieno a 35 ore settimanali. La riforma, che è stata storicamente promossa dal Partito Socialista, è stata introdotta in due fasi alla fine degli anni Novanta: nel 1998 con la legge Aubry I, che la introdusse su base volontaria, e nel 2000 con la legge Aubry II, che generalizzò per tutte le aziende una serie di agevolazioni fiscali, lasciò alle imprese stesse libertà di negoziare gli aspetti applicativi della riduzione e congelò i salari.

Anche in Portogallo nel 1996 è stato ridotto l’orario di lavoro, da 44 a 40 ore, a parità di salario e senza che fosse prevista una compensazione per le aziende. In Portogallo l’attuale governo di sinistra ha proposto poi l’avvio, da giugno di quest’anno, di un progetto pilota per introdurre la settimana lavorativa di quattro giorni, con una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

In Italia, al di là di piccole sperimentazioni nelle aziende, non esistono progetti organici di questo tipo. Il Movimento 5 Stelle aveva fatto una proposta durante l’ultima campagna elettorale, ma non c’è mai stata una discussione condivisa con anche le altre forze politiche.

Diritti
Nella prima riga della sua mozione congressuale Schlein parla di diritti sociali e di diritti civili e parlando delle persone LGBTQIA+ dice, innanzitutto, come sia fondamentale l’approvazione di una legge contro l’omotransfobia, l’abilismo e il sessismo, facendo dunque riferimento al disegno di legge Zan, approvato alla Camera nel 2020 e poi, dopo mesi di scontri e discussioni, affossato al Senato dai partiti della destra e da un certo numero di “franchi tiratori” del centro e del centrosinistra.

Schlein sostiene il matrimonio tra persone dello stesso sesso, andando dunque oltre la legge sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto promossa nel 2016 dalla senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà, una legge che già allora molti a sinistra avrebbero voluto più ambiziosa.

In tema di diritti Schlein dice infine di voler promuovere l’educazione alle differenze nelle scuole per «sradicare gli stereotipi sessisti, razzisti e contro le persone LGBTQIA+ e con disabilità», chiede l’approvazione di una legge sul fine vita e cita spesso le donne e il femminismo («una sinistra all’altezza delle sfide del presente non può che essere femminista», scrive nella sua mozione). Sostiene l’occupazione e l’imprenditorialità femminile, la formazione di donne e ragazze in tutte le discipline, una redistribuzione del carico di cura familiare con l’approvazione di un congedo paritario pienamente retribuito e non trasferibile tra genitori di almeno 3 mesi. E per quanto riguarda l’aborto chiede una piena attuazione della legge 194.

In Europa, una delle coalizioni di governo attualmente più progressiste su diritti e disuguaglianze è quella che sostiene il governo spagnolo, che in tema di donne, violenza di genere, persone LGBTQIA+ e persone transgender è riuscito a realizzare, sebbene con qualche difficoltà, un programma piuttosto ambizioso.

In Spagna è stata appena approvata la cosiddetta “Ley Trans”, una legge che prevede tra le altre cose la possibilità per tutte le persone a partire dai 16 anni di autodeterminare liberamente la propria identità di genere. Finora in Spagna, come anche in Italia, per cambiare la propria identità di genere sul documento d’identità erano necessari almeno due anni di trattamento ormonale e una diagnosi medica o psicologica che attestasse la cosiddetta “disforia di genere”, cioè la condizione delle persone che si identificano con un genere diverso da quello corrispondente al sesso di nascita. Con la “Ley Trans” basterà una dichiarazione della persona interessata, senza la necessità di un certificato medico. La “Ley Trans” faceva parte del patto della coalizione di governo formata dal partito di sinistra Unidas Podemos e dal Partito socialista, ma era stata promossa dalla ministra dell’Uguaglianza Irene Montero, di Podemos, e aveva creato un grosso dibattito nella coalizione di governo, specialmente per via di alcune posizioni dubbiose al riguardo proprio all’interno del Partito socialista. Nel programma di Schlein l’autodeterminazione delle persone trans non viene citata.

Il parlamento spagnolo ha poi approvato in via definitiva anche una riforma della legge sull’aborto, che prevede la creazione di un albo che impedisca a un medico che vi compare come obiettore di coscienza nel pubblico di praticare aborti nel privato, l’eliminazione del permesso obbligatorio di genitori o tutori per abortire a partire dai 16 anni, e l’eliminazione dei tre giorni di riflessione attualmente obbligatori prima dell’interruzione di gravidanza. Nel 2022 è stato poi modificato il codice penale per punire chi molesta o intimidisce le donne che vanno in una clinica per interrompere volontariamente la gravidanza.

Il governo spagnolo ha dunque cercato di intervenire anche su tutti i possibili ostacoli “laterali” che, al di là della legge, impediscono alle donne il pieno accesso all’aborto. In Italia, l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha negato di voler abolire o modificare la 194, ma ha detto piuttosto di volerla applicare pienamente. La stessa formula viene usata da Schlein. Il problema è che la 194 contiene tutti gli strumenti che consentono di svuotarla e che rendono, di fatto, in Italia l’accesso all’aborto difficoltoso. Chiedere una piena applicazione della 194, come sostengono molti movimenti femministi italiani, non è dunque garanzia di un accesso realmente libero all’aborto.

Nel 2021 il parlamento spagnolo aveva anche approvato una legge sul fine vita che regola sia l’eutanasia (descritta come «somministrazione di una sostanza al paziente da parte di personale sanitario competente») sia il suicidio medicalmente assistito, cioè «la prescrizione o la dotazione da parte di personale sanitario di una sostanza al paziente, in modo che questo possa somministrarsela in autonomia, per causare la propria morte». In Italia non ci sono leggi che regolamentino il suicidio assistito o l’eutanasia attiva (è attiva quando il medico somministra il farmaco, è passiva quando il medico sospende le cure o spegne i macchinari che tengono in vita la persona). In Italia esiste solo una sentenza della Corte Costituzionale che stabilisce come a certe condizioni si possa aiutare una persona a morire senza rischiare di finire in carcere, mentre l’eutanasia passiva dal 2017 è regolata dalla legge sul testamento biologico.

Transizione ecologica
Schlein è contraria al nucleare. Tra i suoi obiettivi ci sono la sospensione delle trivellazioni alla ricerca di fonti fossili e maggiori investimenti sulle energie rinnovabili e sul risparmio energetico. Schlein avrebbe anche l’intenzione di approvare un piano fiscale che leghi le imposte indirette alle emissioni di anidride carbonica, con conseguenti premi per chi ha comportamenti virtuosi.

Anche Mélenchon, in Francia, ha proposto la fine del programma nucleare nazionale e dei sussidi sui carburanti fossili. Mélenchon propone di usare fonti di energia differenti e di arrivare, col tempo, all’uso esclusivo di energie rinnovabili.

Il paese più grande ed economicamente avanzato al mondo ad avere deciso di abbandonare totalmente l’energia nucleare è la Germania. La decisione di chiudere le centrali nucleari non è diretta responsabilità dell’attuale governo guidato dal cancelliere Olaf Scholz, socialdemocratico, sostenuto anche dai Verdi e dai liberali dell’FDP. Il primo ad affrontare la questione in modo piuttosto incisivo era stato il cancelliere Gerhard Schröder alla fine degli anni Novanta, quando con il proprio governo sostenuto dai Socialdemocratici e dai Verdi decise la chiusura di tutti i reattori nucleari tedeschi entro il 2022. Il piano fu rivisto alla fine del 2010 dall’allora cancelliera tedesca Angela Merkel, la cui coalizione guidata dai conservatori decise di estendere di 12 anni la scadenza. A seguito però di uno dei più gravi incidenti nucleari della storia, avvenuto nel 2011 alla centrale nucleare giapponese di Fukushima, Merkel annunciò il ritorno al piano originario di Schröder.

Nel frattempo la Germania ha avviato un programma di medio-lungo periodo per costruire centrali solari ed eoliche, quindi per produrre elettricità da fonti rinnovabili. Ma nel breve periodo per colmare la parte di energia non più prodotta dagli impianti nucleari ha dovuto fare affidamento anche sui combustibili fossili, aumentando per esempio il ricorso alle centrali termiche che bruciano carbone, altamente inquinanti. A causa della guerra in Ucraina e della progressiva riduzione delle importazioni di gas naturale russo i Verdi hanno dovuto trovare un fragile compromesso fra il proprio obiettivo di agevolare la transizione della Germania verso l’uso di fonti di energia più sostenibili e le decisioni da prendere nell’immediato per tenere in piedi l’economia del paese: che hanno comportato, tra le altre cose, proprio la riapertura di alcune centrali a carbone.

– Leggi anche: Secondo Greta Thunberg la Germania fa male a chiudere le centrali nucleari

Ucraina, Europa, persone migranti
Il conflitto in Ucraina potrebbe essere la questione più delicata per Schlein. Negli ultimi giorni sono circolati dubbi sul fatto che la nuova segretaria porterà avanti il ​​sostegno militare del suo predecessore Enrico Letta all’Ucraina.

In effetti sul tema Schlein ha posizioni più sfumate rispetto a Letta, avendo ribadito più volte la necessità che l’Unione Europea si faccia promotrice di una soluzione di pace che possa risolvere il conflitto. Sembra comunque che sul tema non cambierà molto, almeno nell’immediato: martedì Repubblica ha fatto notare che subito dopo la sua elezione Schlein ha spiegato a Letta e ai principali dirigenti del partito che la posizione ufficiale rimarrà la stessa, cioè di sostegno diplomatico e militare all’Ucraina per contrastare l’invasione russa.

Da Schlein, comunque, il sostegno all’Ucraina in sé non è mai stato messo in discussione, come hanno fatto invece, almeno all’inizio dell’invasione, alcuni leader della sinistra europea. In Francia Jean-Luc Mélenchon ha sempre condannato l’invasione russa, ma è stato più volte accusato da altri partiti di sinistra di essere stato nel tempo piuttosto compiacente verso Putin. Mélenchon ha più volte accusato gli Stati Uniti e la NATO di aver fatto pressioni alla Russia, chiedendo il “non-allineamento” della Francia nella NATO.

Anche Scholz, in Germania, è stato criticato sia dai suoi alleati di governo sia dai principali giornali tedeschi per l’approccio iniziale sulla guerra in Ucraina. Era stato accusato di avere approvato con ritardo un importante invio di nuove armi all’Ucraina, dopo settimane di dibattito. Nel frattempo aveva fatto capire che non intendeva approvare sanzioni sul gas naturale russo, e si era tirato indietro dalla promessa di inviare centinaia di soldati nei paesi baltici per rafforzare il confine nordorientale della NATO. Via via, la Germania aveva comunque cominciato ad assumere posizioni più nette, soprattutto in merito all’invio di armi. Ma anche la dirigenza dell’SPD aveva ammesso una serie di errori interni commessi per quanto riguardava la Russia: «Nella nostra ricerca di un terreno comune, abbiamo spesso trascurato ciò che ci separava. È stato un errore», aveva detto ad esempio nell’ottobre del 2022 il copresidente del partito Lars Klingbeil, aggiungendo anche di non poter pensare a una futura normalizzazione dei rapporti con la Russia perché «un ritorno allo status quo di prima della guerra contro l’Ucraina non può esserci e non ci sarà».

Per quanto riguarda l’Europa, Schlein sostiene la necessità di rilanciare il progetto federalista europeo, cioè di una sempre maggiore cessione di sovranità alle istituzioni dell’Unione Europea: «Un’Unione più democratica, multilateralista, sociale e ecologista», si legge nella sua mozione. Anche in questo caso non si tratta di un’idea così radicale. Di una «Unione Europea più forte democraticamente, più capace di agire e strategicamente sovrana» e di un «ulteriore sviluppo di uno Stato federale europeo» si parlava anche nel programma per il nuovo governo tedesco presentato nel 2021 da SPD, Verdi e FPD.

Infine, sull’immigrazione Schlein ritiene che sia necessario trattare il tema a livello europeo, riformando il Regolamento di Dublino, cioè la principale norma europea in tema di immigrazione e accoglienza entrato in vigore nel 1997 e aggiornato l’ultima volta nel 2013.

Di riformare il trattato di Dublino, o meglio di abolire e sostituire il Regolamento, ha parlato più volte anche la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Il tentativo più concreto di farlo era iniziato nel 2015 al Parlamento Europeo: fra le altre cose, Schlein era fra le relatrici di quella riforma. Ai tempi fu approvata dal Parlamento Europeo con l’astensione della Lega e il voto contrario del Movimento 5 Stelle: venne accolta anche dalla Commissione Europea, che ne aveva scritto il testo base, ma fu bloccata in sede di Consiglio dell’Unione Europea, l’organo dove sono rappresentati i governi nazionali dei 27 paesi. All’approvazione si erano sempre opposti i paesi dell’Est, tradizionalmente ostili all’accoglienza dei migranti dal Medio Oriente e dal Nord Africa.