Cosa vuole fare Giorgia Meloni con l’aborto

Dice di non voler abolire né modificare la 194, ma per limitare l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza non ce n'è bisogno

di Giulia Siviero

Giorgia Meloni al XIII Congresso Mondiale delle Famiglie, Verona, 30 marzo 2019 (Claudio Martinelli/LaPresse)
Giorgia Meloni al XIII Congresso Mondiale delle Famiglie, Verona, 30 marzo 2019 (Claudio Martinelli/LaPresse)
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Negli ultimi giorni la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha parlato spesso di aborto e della legge che in Italia lo rende possibile, soprattutto per difendersi da chi, anche sui giornali internazionali, ha segnalato come la vittoria del suo partito potrebbe portare a una limitazione del diritto di autodeterminazione delle donne.

Meloni in queste settimane ha negato che in Italia ci siano problemi di accessibilità all’interruzione di gravidanza, e ha difeso l’obiezione di coscienza mettendo sullo stesso piano la libertà di abortire e quella dei medici di fare obiezione. Ha detto di non voler abolire né modificare la legge 194, quella che consente l’aborto in Italia, ma di volerla applicare pienamente. E di volerla rafforzare nelle parti in cui la legge parla di «tutela sociale della maternità».

Ha cercato insomma di minimizzare l’ipotesi, emersa in diverse occasioni, che un eventuale governo di destra possa intervenire per limitare il diritto di aborto: ma movimenti femministi e per la libertà di scelta delle donne ritengono comunque assai problematiche le proposte di Meloni, che ha notoriamente legami molto stretti con i movimenti che in Italia e nel mondo si oppongono all’aborto.

Cosa ha detto Giorgia Meloni
Al programma di La7 Non è l’Arena, Meloni ha detto: «Non intendo abolire la legge 194. Non intendo modificare la legge 194. In che lingua ve lo devo dire? Voglio applicare la legge 194, aggiungere un diritto: se oggi ci sono delle donne che si trovano costrette ad abortire, per esempio perché non hanno soldi per crescere quel bambino, o perché si sentono sole, voglio dare loro la possibilità di fare una scelta diversa, senza nulla togliere a chi vuole fare la scelta dell’aborto».

Ospite il giorno prima su Rai3 a Mezz’ora in più, aveva detto: «Non mi risulta sia accaduto da nessuna parte che una donna che voleva interrompere la gravidanza non abbia potuto farlo. Il diritto all’aborto in Italia è sempre stato garantito». Facendo riferimento a chi le contestava che, in Italia, c’è però un problema di accessibilità all’interruzione volontaria di gravidanza a causa dell’alto numero di obiettori di coscienza, Meloni ha detto: «Però c’è anche la coscienza delle persone, non possiamo costringere le persone a fare cose che in coscienza non si sentono di fare. Bisogna garantire la libertà. Io credo che l’equilibrio che si è creato sia un equilibrio che attualmente tiene».

Negando di voler abolire o modificare la 194, Meloni ha detto piuttosto di volerla applicare pienamente e anzi rafforzare: «Vorrei aggiungere un diritto: che le donne che si fossero trovate nella condizione di abortire perché non avevano alternative possano avere quelle alternative». E ancora: «Vorrei che una donna fosse libera di non farlo se è costretta a farlo», ad esempio per motivi economici.

Queste posizioni si ritrovano anche nel programma di Fratelli d’Italia che, al primo punto, parla di sostegno alla natalità e alla famiglia: propone «la piena applicazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, a partire dalla prevenzione» e «l’istituzione di un fondo per aiutare le donne sole e in difficoltà economica a portare a termine la gravidanza».

Il compromesso della 194
La legge che in Italia consente di interrompere una gravidanza, la 194, venne approvata nel 1978 grazie alle lotte dei movimenti femministi e dopo un passaggio parlamentare durato circa due anni durante il quale, trasversalmente, molte forze politiche presenti in parlamento provarono, con più o meno forza, a opporsi alla proposta. Alla fine la legge passò, ma fu il risultato di un compromesso.

Da subito i movimenti femministi segnalarono che il testo conteneva gli strumenti che l’avrebbero svuotato, primo fra tutti quello dell’obiezione di coscienza, ma non l’unico. A più di quarant’anni dall’approvazione della 194, la legge ha mostrato non solo i moltissimi problemi legati alla sua mancata applicazione e per cui l’Italia è stata più volte richiamata dalle istituzioni europee, ma anche i limiti che dipendono direttamente da quello che contiene.

Mancata applicazione
Per quanto riguarda la mancata applicazione di ciò che la legge contiene, il problema principale ha a che fare con l’obiezione di coscienza.

La 194 stabilisce dei limiti all’obiezione di coscienza: dice innanzitutto che lo status di obiettore riguarda esclusivamente la pratica, ma niente che sia tecnicamente precedente o successivo alla pratica stessa, come ad esempio la consegna del documento che attesti lo stato di gravidanza e la volontà della donna di interromperla, documento che è necessario per l’aborto ma che non coincide con la pratica abortiva. Stabilisce che l’attestazione necessaria per accedere all’IVG (interruzione volontaria della gravidanza) possa essere rilasciata da un «medico del consultorio, della struttura socio-sanitaria» o da un «medico di fiducia», e dice che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenute «in ogni caso ad assicurare» che l’IVG si possa svolgere. Stabilisce dunque che l’obiezione debba riguardare il singolo medico e non l’intera struttura.

Questi limiti non vengono rispettati. Marina Toschi, ginecologa che fa parte del direttivo dell’European Society of Contraception and Reproductive Health e che è membro di Pro-Choice, Rete italiana contraccezione aborto, spiega che «un medico obiettore non solo potrebbe fare l’attestato per l’IVG: sarebbe obbligato a farlo», ma questo non avviene. La legge, poi, non dice che il certificato deve essere necessariamente rilasciato da un ginecologo, ma da qualsiasi medico, compreso il medico di base: «E invece, non solo sono pochi i medici di famiglia che sono disposti a fare il certificato per l’IVG, sono anche pochi quelli che sanno di poterlo fare perché durante la loro formazione spesso questa possibilità non viene nemmeno esplicitata».

Infine, l’obiezione di struttura esiste, anche se non emerge dai dati ufficiali, cioè dalla Relazione sullo stato di applicazione della legge 194 che viene redatta ogni anno dal ministero della Salute. Qui, i dati vengono riportati aggregati per regione e non raccontano la specifica situazione delle singole strutture. Nelle Marche, ad esempio, l’obiezione di coscienza tra i ginecologi è al 70 per cento, più della media nazionale, che è del 64,6 per cento. La Relazione del ministero della Salute dice anche che il 92,9 per cento degli ospedali della regione pratica aborti. Ma dai dati disaggregati – raccolti nell’indagine “Mai dati” da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, e da Sonia Montegiove, informatica e giornalista – risulta che nelle Marche ci siano due strutture con più del 90 per cento di ginecologi obiettori e una con il 100 per cento di ginecologi obiettori.

– Leggi anche: Perché si parla dell’accesso all’aborto nelle Marche

L’indagine dice anche che su oltre 180 ospedali e consultori italiani che dovrebbero garantire l’interruzione volontaria di gravidanza ci sono 31 strutture con il 100 per cento di obiettori di coscienza tra ginecologi, anestesisti, infermieri e assistenti sanitari ausiliari.

Considerando le strutture con una percentuale superiore al 90 per cento si arriva a 50, e si sale a 80 contando quelle con un tasso di obiezione superiore all’80 per cento. Anche quando formalmente il divieto all’obiezione di struttura viene rispettato, una così alta percentuale di obiettori non garantisce il servizio e causa, nel migliore dei casi, frequenti spostamenti tra chi vuole accedere a un’interruzione volontaria di gravidanza. Fermo, nelle Marche, risulta ad esempio tra le prime città italiane in cui più del 50 per cento delle IVG viene effettuato fuori dai confini provinciali.

Se dunque nella prospettiva di Meloni va garantita la libertà all’obiezione di coscienza, tale libertà diventa molto spesso un impedimento all’accesso garantito di una pratica stabilita per legge.

– Leggi anche: L’obiezione di coscienza non è un’obiezione

«Mettere sullo stesso piano, come fa Giorgia Meloni, la libertà delle donne di abortire e quella dei medici di fare obiezione di coscienza significa essere irresponsabilmente ingenui» ha commentato nelle ultime ore la leader di +Europa Emma Bonino. «Come può una donna essere libera di scegliere se nella propria città e nella propria regione non resta neppure un medico non obiettore?». E ancora: «Nessuno obbliga un medico a fare il ginecologo se è obiettore di coscienza e nessuno può obbligare una donna ad andare in una regione diversa dalla sua per abortire. Le istituzioni devono garantire questo diritto conquistato, punto. Se la legittima libertà di coscienza dei medici mette a rischio la libertà e la salute delle donne, semplicemente si trasforma in violazione di un diritto».

Piena applicazione
Quando Meloni chiede una piena applicazione della 194 non riconosce come un problema l’alto numero di obiettori di coscienza: cita anzi il rafforzamento della legge nelle parti in cui la legge stessa parla di tutela della maternità. Parti che sono uno degli altri motivi per cui, di fatto, in Italia l’accesso all’aborto è difficoltoso.

La 194 non si basa sull’affermazione positiva del diritto all’aborto, ma regolamenta i casi in cui l’aborto non è considerato un reato. La legge si intitola “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” e all’articolo 1 dice che «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio».

La legge parte dunque dal presupposto che la maternità possa non essere portata avanti per un’impossibilità: per la presenza di alcune circostanze sfavorevoli che la legge stessa chiede, innanzitutto, di superare. Per questo, dice, una delle funzioni fondamentali dei consultori e delle strutture sociosanitarie è proprio quella di contribuire «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza». E nel farlo «possono avvalersi (…) della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita».

È a causa di questa impostazione che i gruppi antiabortisti, cioè dichiaratamente contro l’aborto, si sono potuti attivare negli ospedali o nei consultori pubblici: perché la 194 lo consente e lo promuove. E il loro ingresso, che Meloni dice ora di voler rafforzare, è stato a sua volta favorito, sostenuto e finanziato con specifiche politiche a livello locale o regionale in quelle regioni dove il partito di Meloni governa. Con finalità antiabortiste, appunto, per rendere più complicato l’accesso all’aborto.

– Leggi anche: Breve storia del successo dei movimenti antiabortisti italiani

In Italia, il primo movimento antiabortista, il Movimento per la vita (Mpv), venne fondato subito dopo l’approvazione della 194. Dopo aver tentato inutilmente di abrogarla attraverso l’organizzazione di due referendum, il Movimento per la vita ha avviato una serie di progetti per incentivare la donna a non interrompere la gravidanza applicando alla lettera quello che una parte della 194 stabilisce. Tra le attività del Movimento per la vita c’è anche il Progetto Gemma, cioè «un servizio per l’adozione prenatale a distanza di madri in difficoltà, tentate di non accogliere il proprio bambino». Si dice che «una mamma in attesa nasconde sempre nel suo grembo una gemma (un bambino) che non andrà perduta se qualcuno fornirà l’aiuto necessario».

I movimenti femministi sostengono che gli ostacoli materiali alla “maternità per scelta” vadano sì rimossi, ma con interventi strutturali: non attraverso bonus, incentivi o iniziative di movimenti antiabortisti che intervengono nelle decisioni delle donne. Ma attraverso una riforma del lavoro che combatta il precariato, attraverso l’eliminazione delle discriminazioni sul lavoro, il sostegno all’occupazione femminile, congedi ben remunerati e paritari, attraverso il sostegno alla parità di genere non solo nel mercato del lavoro ma anche in famiglia. I dati mostrano infatti che il tasso di fertilità è più alto dove sono maggiori il tasso di occupazione femminile e l’uguaglianza di genere.

Non è poi chiaro che cosa intenda Fratelli d’Italia quando, nel programma, cita «la piena applicazione della legge 194 a partire dalla prevenzione», visto che secondo gli esperti la prevenzione delle gravidanze indesiderate si fa principalmente con l’educazione sessuale nelle scuole, insegnamento che in Italia non è obbligatorio. I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità confermano che è uno degli strumenti più efficaci per ridurre l’incidenza di gravidanze precoci e indesiderate, di aborti, ma anche di infezioni sessualmente trasmissibili o episodi di abusi e di discriminazioni legate all’orientamento sessuale. Un altro strumento di prevenzione consiste nel rendere accessibili, gratuiti o comunque meno costosi, i contraccettivi. A entrambe le questioni, però, né Meloni né il suo programma fanno riferimento.

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