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  • Martedì 18 ottobre 2022

Gli effetti di Hollywood su Modena

Il regista Michael Mann ci ha girato il suo prossimo film su Enzo Ferrari: una produzione dal grande budget con impatti immediati e futuri

di Valerio Clari

(Foto della produzione)
(Foto della produzione)

«Io so solo che devo stare qua. A fare cosa non lo so, hanno pure già portato via tutto». La ragazza è seduta di fronte a un tavolo, su una sedia di plastica. Intorno a lei, un capannone vuoto, un paio di scatole con fiori appassiti, alcune foto in bianco e nero appese alle pareti. Siamo a Modena, via Bering, a soli 10 minuti in macchina dal centro, ma già in periferia per le dimensioni della città.

Per entrare in quel capannone, presidiato dalla ragazza, si passa per un portone con in cima la scritta “Ferrari”: il muro è di mattoni, l’immagine è familiare a chi è appassionato di corse, di auto, di miti italiani. È l’ingresso della fabbrica della Ferrari, quella di Maranello. Ma è a Modena, ed è ovviamente finta. Dietro al muro non c’è niente, il capannone che c’è alle spalle è quello che è stato trasformato in una officina di fine anni Cinquanta (e ora smantellato) per le riprese del film su Enzo Ferrari di Michael Mann, regista 79enne fra i più noti di Hollywood.

La facciata (finta) dello stabilimento Ferrari, nella periferia di Modena (Valentina Lovato/Il Post)

Da agosto c’è sempre qualcuno, in quel capannone, a fare da custode: ci sono giorni vuoti e altri in cui lì intorno si muove un mondo. Il mondo di una grande produzione hollywoodiana che per tutta l’estate, e fino a fine ottobre, ha girato e girerà sempre in Italia, quasi sempre a Modena, in vari punti della città, in interni ed esterni ricostruiti per tornare a essere l’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta: tempi e luoghi che continuano a esercitare un grande fascino sugli americani, e non solo.

Modena è una città da 185.000 abitanti, tranquilla e poco abituata a essere al centro di eventi, dalla fine dei concerti con musicisti internazionali organizzati da Luciano Pavarotti, nel 2003. L’ultimo che citano tutti, in città, è il concerto di Vasco Rossi del 2017, con 250.000 spettatori: preparativi a parte, fu però questione di un giorno. Per il film su Enzo Ferrari la produzione si è installata in città da fine giugno, per tutto agosto strade e piazze sono state chiuse saltuariamente, mascherate con locandine, edicole e semafori che riproducevano quelli di 70 anni fa, percorse da auto d’epoca.

Per tutto agosto in città, al bar, in profumeria, in gelateria si incrociavano Adam Driver, che reciterà nel ruolo di Enzo Ferrari; Penelope Cruz, che sarà la moglie Laura Ferrari; Shailene Woodley, nella parte dell’altra compagna (era più di un’amante) Lina Lardi; Patrick Dempsey nel ruolo del pilota Piero Taruffi: i profili social di molti modenesi si sono riempiti di foto con gli attori, e negozi e bar hanno pubblicizzato sui propri canali visite più o meno costanti.

Bar, ristoranti e alberghi di vario livello, da quelli dello chef Massimo Bottura (dove si è stabilito Dempsey) in giù, si sono riempiti per mesi. La produzione muove più di un centinaio di persone e ha possibilità di spesa importanti. È il cosiddetto indotto primario, che fa felici anche economicamente i commercianti locali, anche quelli costretti a chiudere l’attività per qualche giorno per permettere le riprese, che sono stati ricompensati in modo generoso dalla produzione.

Poi c’è l’indotto secondario, che si aspetta l’amministrazione cittadina. Andrea Bortolamasi, assessore alla Cultura, dice: «Speriamo che il film sia un vero blockbuster e che questo contribuisca a metterci sulla mappa, come si dice, più di quanto non siamo già come centro della Motor Valley [cioè il distretto industriale in cui hanno sede varie industrie automobilistiche e motociclistiche, ndr]. C’è Hollywood e c’è il marchio Ferrari, uno fra i più noti al mondo».

I casi assimilabili non sono molti, fra città medio-piccole italiane, ma sono incoraggianti: Matera ha ottenuto una grossa di notorietà internazionale grazie alla Passione di Cristo di Mel Gibson nel 2004 e più recentemente all’ultimo film di 007 No Time to Die.

I motivi che possono spingere una grande produzione americana a girare in una particolare città possono essere artistici, di sceneggiatura o commerciali. Nel caso del film di Michael Mann, che racconterà gli anni più difficili di Enzo Ferrari e in particolare l’ultima edizione della corsa automobilistica Mille Miglia in versione classica, la scelta del luogo era in parte obbligata, visto che il fondatore della casa automobilistica visse sempre in città.

Non era scontato però che il film venisse girato completamente in loco, con un ricorso quasi nullo alla computer grafica e ricreando sui luoghi originari l’ambientazione dell’epoca (più spesso, a parte alcune grandi scene, alcuni ambienti vengono ricreati negli studios o, appunto, in postproduzione con strumenti informatici). Il film ha avuto una genesi complessa nel tempo, Michael Mann pensava al progetto da quasi vent’anni. Le riprese dovevano iniziare già nel 2016 con Christian Bale come protagonista, e sono poi state rinviate: l’amministrazione comunale era allertata da tempo sulla possibilità di un set in città.

Dice sempre l’assessore Bortolamasi: «La politica dell’Emilia-Romagna è di mettere in condizioni le città e i territori di ospitare sempre di più produzioni di questo tipo, attraverso l’Emilia-Romagna Film Commission». Quest’ultima è molto attiva negli ultimi anni: solo a Modena, quest’estate si girava anche un altro film, La conversione di Marco Bellocchio, nella chiesa di San Barnaba.

La E-R Film Commission prevede dei bandi di finanziamento per le produzioni cinematografiche locali o anche internazionali, ma che effettuino le riprese sul territorio: nel caso specifico della produzione di Mann però le somme non potevano influire se non molto parzialmente sul budget del film. Piuttosto gli enti locali hanno dovuto garantire un sostegno strutturale: spazi, collaborazione, disponibilità a chiudere strade, nonché presenza di strutture alberghiere per ospitare la produzione.

Per quel che riguarda le cifre, un’indicazione può arrivare dal prestito che la banca Intesa Sanpaolo, partner della produzione, ha concesso per coprire le spese da sostenere in Italia: oltre 22 milioni di euro. È uno dei finanziamenti più grandi concessi dalla banca per un’opera cinematografica negli ultimi anni in Italia.

Fondamentalmente, fra Comune e produzione non c’è stato un passaggio di denaro: Modena non ha pagato per il futuro ritorno di immagine, la produzione non ha pagato la città per girare, a eccezione di rimborsi spese per alcuni interventi necessari. Le scenografie anni ’50, la cartellonistica, le insegne, i semafori del tempo sono tutte state create e pagate dalla produzione. Piuttosto l’amministrazione sta pensando a un modo per riutilizzarle in futuro, magari in una mostra, anche su espressa richiesta dei cittadini («In realtà qualcuno ci chiede di lasciare i semafori anni ’50, ma non ci sembra il caso», dice Bortolamasi). Gli interventi necessari attuati dal Comune si sono limitati a smontare e rimontare alcuni depositi di biciclette e alcuni “panettoni” spartitraffico.

Alcuni elementi della scenografia subito prima di essere rimossi (Valentina Lovato/Il Post)

In più occasioni è stato necessario chiudere vie, anche centrali, bloccare l’accesso alle due stazioni, allestire Piazza Grande o la via Emilia come negli anni ’50, riservandone l’accesso a troupe, attori e comparse. Alcuni parcheggi sono stati occupati stabilmente, alcuni mercati sono stati rinviati, ogni tanto qualcuno sui social ha chiesto ironicamente al regista se non gli servisse un qualche corso di effetti speciali, ma per lo più la città si è divertita e interessata.

Il grosso delle riprese è avvenuto ad agosto, quando c’erano meno gente e meno fretta, non si sono registrate proteste o la creazione di comitati anti-film. C’è stata piuttosto una grande curiosità, dimostrata ad esempio dalle lunghe code davanti al teatro quando si sono aperti i casting per le comparse.

Alcune comparse in un momento di pausa (foto della produzione)

Le selezioni hanno compiuto una prima scrematura a inizio giugno, divisa su tre giorni (uomini, donne, minori), e poi una ulteriore scelta con le aspiranti comparse già vestite, pettinate e truccate secondo lo stile dell’epoca. I selezionati, obbligati da un contratto a un totale riserbo riguardo al contenuto del film, hanno conosciuto realtà e metodi di una grande produzione. Raccontano di un lavoro «molto bello, ma faticoso», con un giorno intero per girare una scena. La convocazione poteva arrivare per le 3 di mattina e le riprese proseguire fino a sera, una sessione poteva durare anche venti ore, in cui «restare a disposizione». La paga era superiore ai cento euro al giorno.

Il regista Michael Mann, che in oltre 35 anni di carriera ha girato meno di 15 lungometraggi, è noto nell’ambiente cinematografico per una cura maniacale dei dettagli e per pretendere molto dai suoi attori, a cui chiede lunghe preparazioni, allenamenti e prove per “entrare davvero nel personaggio”, come si dice in gergo.

Alessandro D’Elia fa il barbiere in una bottega ereditata dal padre, in corso Canalgrande. Suo padre l’aveva ereditata dallo zio, che faceva regolarmente la barba a Enzo Ferrari, come testimoniato da qualche memorabilia fra le poltrone e sugli scaffali. Michael Mann lo ha saputo: «Il regista venne qui in barberia la prima volta quindici anni fa e fece un sacco di domande a mio padre, poi tornò a Modena quando doveva girare con Christian Bale, mentre in negozio hanno fatto altri due sopralluoghi, prima con la produzione, poi Mann con Adam Driver». Poi lo hanno fatto chiudere per 15 giorni per lavorare sulla bottega e farla tornare come quella del 1957; infine hanno girato una scena, con D’Elia come barbiere.

Alessandro D’Elia nella sua barberia “Da Antonio” (Valentina Lovato/Il Post)

Beppe Cottafavi, editor e consulente di Mondadori Libri, è stato invece contattato perché recentemente ha riscoperto un’autobiografia di Ferrari, Le mie gioie terribili, uscita nel 1962 per l’editore Cappelli, per lo più dimenticata e poi ripubblicata con Mondadori nel 2016. La sceneggiatura del film di Mann è un adattamento di un altro libro, Enzo Ferrari – The Man and the Machine di Brock Yates, ma l’autobiografia fu scritta a inizio anni ’60 e raccontava approfonditamente il periodo difficile del 1956 e 1957, oggetto del film.

Allora l’azienda si trovò sull’orlo della bancarotta, Enzo Ferrari perse per malattia il figlio Dino e dovette fare i conti con la morte di alcuni piloti delle sue auto in rapida successione. Puntò molto, per il riscatto, sulla Mille Miglia, che allora era assimilabile al Giro d’Italia ciclistico per svolgimento e seguito popolare: ma anche qui un grave incidente causò la morte di nove spettatori, fra cui cinque bambini. Persino il Vaticano, attraverso l’Osservatore Romano, attaccò Ferrari come simbolo di un mondo delle corse troppo pericoloso: «Ferrari, un Saturno ammodernato che uccide i suoi figli».

Fu l’ultima edizione “classica” della Mille Miglia, cioè l’ultima in cui le automobili corsero in una vera competizione di velocità. Oggi la Mille Miglia è una commemorazione celebrativa, una gara di regolarità storica.

Cottafavi dice: «Mann mi ha fatto parlare per ore di questo, ma mi ha chiesto anche una consulenza per le grafiche con cui avrebbe dovuto realizzare le locandine, le pubblicità, le insegne dell’epoca. E poi era particolarmente interessato al comunismo all’emiliana, questo capitalismo a modo nostro che ha dato vita a realtà come la Ferrari che potevano nascere solo qui». Il regista ha preso casa in centro, in questi mesi lo si è visto spesso passeggiare e prendere appunti al bar, così come molti attori sono diventati frequentatori abituali dei quartieri centrali. Fra loro anche Javier Bardem, marito di Penelope Cruz: solo Adam Driver, dicono, ha fatto una vita più riservata.

Un altro esempio del lavoro del regista sui dettagli e sul territorio arriva dalla testimonianza di Marta Pulini, chef modenese, ma con una lunga esperienza negli Stati Uniti, dove ha aperto, lanciato e gestito molti ristoranti. Pulini è venuta a contatto con regista e staff del film in quanto consulente del ristorante “Locanda in San Francesco” all’interno dell’hotel in cui erano ospitati. Mann ha interrogato anche lei sull’Italia e sulle donne dell’epoca, di cui aveva ricordi da bambina.

Poi, racconta Pulini, «un giorno mi ha chiamato la produzione chiedendomi se potessi incontrare le attrici Penelope Cruz e Shailene Woodley. Sono venute a casa, l’idea era che gli insegnassi come si fa la pasta fresca, i tortellini, i tortelloni, cose così. Ma anche che raccontassi loro com’era la vita di una donna italiana dell’epoca». La produzione le ha chiesto anche di fare un elenco degli strumenti e degli ingredienti che si usavano nelle cucine dell’epoca. E, riguardo alle attrezzature, l’assessore Bortolamasi racconta: «A inizio agosto mi chiamò un’assistente di produzione, con voce disperata: aveva bisogno di una scrivania ministeriale del 1960 a 12 cassetti».

Marta Pulini e Shailene Woodley dopo aver tirato la pasta (per gentile concessione di Marta Pulini)

Modena, città occupata dalla produzione Moto Pictures, coadiuvata in Italia da ILBE, è stata colpita da un’altra cosa: le dimensioni delle troupe e della macchina organizzativa. Nei primi giorni di ottobre si girava una scena in esterna nei pressi dello stadio di Modena, dove era stata ricreata una stazione di partenza o di arrivo della Mille Miglia. Ai molti camion fissi ospitati in vari parcheggi della città si aggiungevano altri truck temporanei, per lo più provenienti da Roma (lì le imprese di supporto al lavoro cinematografico hanno un lavoro più costante).

Si trattava di almeno una decina di camion; tre-quattro camper adibiti a camerini; auto e furgoni per trasportare la troupe e, in prossimità dell’inizio delle riprese, gli attori; monopattini e biciclette per muoversi all’interno del set, più una sfilata di almeno una dozzina di auto d’epoca.

Chiudevano il gruppo di mezzi mobili due auto speciali, su cui si possono montare telecamere in ogni angolo, per riprendere le auto di scena in movimento. Queste due erano targate California e protette da barre antiurto, perché utilizzate anche per i film d’azione. Il cameraman americano specializzato, che aveva partecipato ai film della serie Fast & Furious, sembrava annoiato: «No big action, no explosions, just races» («Niente grande azione, niente esplosioni, solo corse»). A questi veicoli si aggiungevano strutture fisse (uffici, depositi) e un gruppo di lavoro variegato e numeroso: facchini, montatori, costumisti, fonici, pittori, assistenti di produzione, tecnici audio e video, falegnami, stuntman.

Le automobili usate per girare le scene in movimento (Valentina Lovato/Il Post)

Non tutti, ma una buona quota, erano lavoratori locali. Gli altri, in città, sono stati coinvolti per un avvistamento di un attore, per un ruolo da comparsa che magari passerà al taglio del montaggio, per un amico che una volta ha dato un’indicazione a Patrick Dempsey, per un impiego interinale in un capannone vuoto.

Il resto, quando si chiuderanno le riprese, arriverà con l’uscita del film, prevista nel 2023: alcune delle scene della corsa passano in luoghi perfetti per la promozione turistica: ad esempio sotto il Duomo e in Piazza Grande, che le corse del tempo in realtà non toccavano. A Modena sperano che gli effetti del film, che potrebbe chiamarsi proprio Ferrari, siano a lunga scadenza.