Il governo spagnolo, di sinistra

Ha appena proposto nuove tasse sui più ricchi, e da anni è uno dei più progressisti d'Europa su diritti e disuguaglianze

di Mariasole Lisciandro

Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez (AP Photo/Michal Dyjuk)
Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez (AP Photo/Michal Dyjuk)
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Negli scorsi giorni il governo spagnolo ha annunciato che nel 2023 e nel 2024 chiederà un contributo di solidarietà, cioè di fatto una nuova tassa, agli spagnoli più ricchi. La misura fa parte di un più ampio pacchetto che ha l’obiettivo di rendere il sistema fiscale spagnolo più equo e meno oneroso per le persone più povere, maggiormente colpite dai rincari dell’energia e dall’inflazione.

Questa è solo una delle tante misure di sinistra che ha promosso il governo guidato da Pedro Sánchez, leader del Partito Socialista. Il governo era nato a gennaio 2020 dopo un periodo di notevole instabilità politica e con una maggioranza particolarmente risicata in parlamento. Le premesse non erano delle più favorevoli, ma il governo non soltanto sta reggendo, tra qualche difficoltà: è anche riuscito a realizzare gran parte del programma annunciato tre anni fa, uno dei più progressisti d’Europa.

Il governo è nato in un momento particolarmente difficile e frammentato per la politica spagnola. Nel solo 2019 ci sono state due elezioni politiche. Le prime si erano tenute in aprile e non avevano fatto emergere una maggioranza chiara: nonostante la vittoria del Partito Socialista (PSOE), le forze di sinistra non erano riuscite ad accordarsi ed era stato pressoché impossibile formare un governo. Dopo sei mesi gli spagnoli hanno votato di nuovo. Questa volta il Partito Socialista, guidato da Pedro Sánchez, e la seconda forza di sinistra Unidas Podemos, il cui leader era Pablo Iglesias, hanno trovato un accordo (soltanto due giorni dopo il voto, peraltro).

L’abbraccio tra Pedro Sánchez e Pablo Iglesias dopo la firma dell’accordo nel novembre 2019 (Xaume Olleros/Getty Images)

È un governo di minoranza, che è nato con la fiducia della sola maggioranza semplice del parlamento, ottenuta esclusivamente grazie all’astensione di Esquerra Republicana (ERC), principale partito catalano indipendentista di sinistra che ha continuato a fornire il suo appoggio esterno in questi anni.

Nonostante la sua apparente precarietà, l’attività legislativa dell’esecutivo è stata notevole ed è chiara la matrice progressista, sia nel campo dei diritti civili sia nel campo della lotta alle disuguaglianze.

Partendo dalle misure economiche, all’inizio del 2022 è stata approvata un’importante riforma del mercato lavoro. Era una promessa elettorale fatta da Sánchez ed è stata anche chiesta formalmente dall’Unione Europea per l’accesso alle risorse del Recovery Fund. È entrata in vigore dopo lunghissimi negoziati con le imprese e i sindacati e grazie a un solo voto in parlamento (che potrebbe pure essere stato dato per errore).

Il punto principale della riforma promossa dalla ministra del Lavoro Yolanda Díaz consiste nel limitare fortemente l’uso del contratto a tempo determinato, a cui si deve ricorrere solo nei casi di stagionalità, picchi di produzione e sostituzioni. È stato rafforzato il contratto a tempo indeterminato e impostato come via di accesso ordinaria al mercato del lavoro.

La riforma sembra che effettivamente stia avendo buoni risultati: dopo 14 anni a luglio i disoccupati sono scesi per la prima volta sotto i 3 milioni di individui e l’aumento dell’occupazione è stato guidato soprattutto dai contratti a tempo indeterminato.

Sempre in ottica di maggior tutela delle fasce più deboli, nel 2020 il governo ha introdotto l’ingreso minimo vital, un reddito minimo garantito per legge, molto simile al reddito di cittadinanza italiano. Successivamente sono stati approvati anche l’innalzamento del salario minimo e una legge per la maggior tutela dei rider.

Il re di Spagna, al centro, insieme ai membri del governo spagnolo in occasione del giuramento del luglio 2021, dopo un rimpasto dell’esecutivo (Ballesteros, Pool photo via AP)

Poi ci sono le misure recenti per contrastare il carovita. Sánchez a luglio ha annunciato l’introduzione di due nuove imposte straordinarie per finanziare misure a favore dei cittadini più colpiti dall’inflazione. Tali prelievi verranno fatti sui profitti delle società energetiche e sui profitti accumulati dalle banche a causa del rialzo dei tassi d’interesse. Entrambe le nuove tasse avranno una durata di due anni, coinvolgeranno le società di entrambi i settori che fatturano più di un miliardo di euro l’anno e secondo le previsioni dovrebbero portare nei bilanci dello stato 7 miliardi di euro.

Con l’obiettivo di cercare di limitare i consumi energetici privati, il governo ha reso gratuiti fino a dicembre gli abbonamenti per il trasporto ferroviario statale a corta e media percorrenza, per incentivare l’uso del trasporto pubblico.

In queste settimane, inoltre, sono in corso i lavori per la nuova legge di bilancio. Quella per il prossimo anno potrebbe essere la terza di fila approvata dal governo guidato da Sánchez, che è di per sé già un traguardo politico importante. Vista la grande frammentazione politica, per molto tempo i governi non avevano avuto la maggioranza e avevano approvato d’ufficio quella dell’anno precedente.

Per il prossimo anno Sánchez punta a introdurre un nuovo insieme di misure fiscali per attutire gli effetti dell’inflazione (che a settembre è stata del 9,3 per cento): secondo quanto spiegato in conferenza stampa dalla ministra del Tesoro, María Jesús Montero, le principali novità sono agevolazioni che permetteranno di pagare meno tasse al «50 per cento dei lavoratori» e alle piccole e medie imprese.

Il governo finanzierà questi sconti fiscali con l’introduzione di un’imposta straordinaria valida per il 2023 e il 2024 per i contribuenti più ricchi, quelli con i redditi netti a partire dai 3 milioni di euro, con l’obiettivo di raccogliere in totale 1,5 miliardi di euro. È stato definito un «contributo di solidarietà» e interesserà circa 23.000 contribuenti nel Paese, ossia lo 0,1 per cento della popolazione.

È una misura largamente progressista e redistributiva. L’inflazione, infatti, danneggia di più il potere d’acquisto di chi ha un reddito più basso e il governo cerca di compensare questa erosione tassando i più ricchi e distribuendo quanto ottenuto ai più poveri.

Questa proposta è stata formulata dal Partito Socialista e Unidas Podemos nel quadro di un più ampio negoziato ancora in corso sulla prossima legge di bilancio. Arriva in un momento in cui anche varie regioni hanno già annunciato nuovi sgravi fiscali, che cambiano a seconda dell’orientamento politico delle amministrazioni in carica, segno che la campagna elettorale per le elezioni del 2023 sta per iniziare.

La ministra Montero ha tenuto a specificare in conferenza stampa che non si tratta di «una riduzione generalizzata delle tasse, bensì un aiuto per i più vulnerabili», dopo che il piano di taglio delle tasse britannico proposto dal governo conservatore di Liz Truss ha fatto crollare la sterlina. In quel caso però si trattava di un taglio alle tasse dei più ricchi, mentre in Spagna avverrà esattamente il contrario.

A tutto questo si sommano tante altre leggi progressiste nel campo dei diritti, che rendono di fatto la Spagna un paese all’avanguardia sul rispetto e il riconoscimento legislativo dei diritti civili. Un ruolo che aveva già ottenuto grazie al riconoscimento dei matrimoni omosessuali nel 2005 e promosso dal governo socialista di José Luis Rodríguez Zapatero. Da quel momento in poi i partiti progressisti spagnoli si sono fatti portatori delle istanze valoriali provenienti dalla società, fino a farne uno dei principali temi di scontro con lo schieramento conservatore.

Un partecipante del Pride di Madrid, nel 2016 (Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images)

Lo scorso anno il parlamento ha approvato con una larga maggioranza una legge sull’eutanasia, diventando così uno dei pochi paesi al mondo ad avere una regolamentazione simile. Anche se nel titolo della discussione parlamentare era indicata soltanto l’eutanasia, la norma regola sia l’eutanasia – descritta come «somministrazione di una sostanza al paziente da parte di personale sanitario competente» – sia il suicidio medicalmente assistito, cioè «la prescrizione o la dotazione da parte di personale sanitario di una sostanza al paziente, in modo che questo possa somministrarsela in autonomia, per causare la propria morte».

Una legge presentata ma che sta incontrando molte difficolta è quella per il riconoscimento dei diritti delle persone trans, la cosiddetta “Ley Trans”. La prima proposta del governo non è riuscita ad avere l’approvazione del parlamento e prevedeva l’autodeterminazione della propria identità di genere sopra i 16 anni, senza la necessità di certificati che attestino la disforia di genere né la necessità di «modifiche dell’aspetto o delle funzioni del corpo della persona attraverso procedure mediche, chirurgiche o di altra natura».

Il disegno di legge prevedeva che fosse «sufficiente la libera dichiarazione della persona interessata», senza altri requisiti, e riconosceva inoltre le identità non binarie, ammettendo che le persone che non si identificano come uomo o come donna possano anche non indicare il proprio sesso sulla carta d’identità. Il governo ci sta riprovando e dovrebbe riproporla in parlamento a breve.

Un cartello di una manifestazione a Madrid per l’approvazione della “Ley Trans”, nel giugno 2021 (Isabel Infantes/Getty Images)

In discussione c’è anche un disegno di legge su salute riproduttiva, sessuale e diritto all’aborto, che prevede anche il congedo mestruale. È stato approvato a maggio dal consiglio dei ministri ma anche questo deve ancora ricevere l’approvazione definitiva del parlamento.

È una legge molto importante che introdurrebbe il congedo mestruale retribuito senza limiti di giorni per le donne che hanno mestruazioni molto dolorose e invalidanti e che ottengano per questo un certificato medico. La spesa sarebbe a carico dello stato, in modo che non diventi un onere per le aziende.

La riforma contiene poi diverse iniziative a favore della salute riproduttiva e del diritto di aborto: tra le altre, la creazione di un albo che impedisca a un medico che vi compare come obiettore di coscienza nel pubblico di praticare aborti nel privato, l’eliminazione del permesso obbligatorio di genitori o tutori per abortire a partire dai 16 anni, e l’eliminazione dei tre giorni di riflessione attualmente obbligatori prima dell’interruzione di gravidanza.

Un’altra legge che amplia la sfera del rispetto dei diritti civili è stata quella approvata in via definiva dalla Camera ad agosto, che prevede che venga considerato uno stupro qualsiasi atto sessuale in cui una delle persone coinvolte non abbia dato il proprio consenso esplicito. La nuova legge elimina la distinzione tra abuso sessuale e aggressione sessuale (stupro), qualificando come stupro qualsiasi atto sessuale compiuto senza il consenso: finora infatti erano considerati stupri solo i rapporti in cui fossero dimostrabili minacce, violenze o costrizioni. In base alla legge, il silenzio o l’atteggiamento passivo della persona che subisce l’abuso non potranno essere interpretati come consenso.